Il ciclone papa è passato. La città saluta mentre torna alla normalità, per quanto di normalità si possa parlare in una città come New York. Fittissima l’agenda papale di venerdì, in una città con decine di strade chiuse al traffico e migliaia di persone arrivate per vedere (o avere la speranza di vedere) il Pontefice.
Nel complesso la sensazione generale è di gioia. Non solo perché tutto è andato liscio e New York ha dimostrato di essere all’altezza anche della delegazione vaticana, ma anche perché in una metropoli che sempre più vuole dare di se stessa un’immagine di apertura e inclusione, il messaggio del papa suona come se fosse stato ritagliato su misura per la Grande Mela.
Arrivato giovedì e sbrigate a St. Patrick’s le formalità col clero e la politica, il papa venerdì si è dedicato alla gente e ai temi a lui più cari. Dopo il discorso all’Assemblea Generale dell’ONU, dove Francesco ha voluto approfittare dell’auditorium d’eccezione per ricordare l’urgenza delle questioni climatiche e la necessità di far prevalere il diritto naturale sui falsi diritti avanzati dalle potenze economiche, il papa si è spostato a Ground Zero.
Mani tese a Ground Zero
Sul sito dell’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001, dove simbolicamente il papa ha convocato un meeting delle religioni del mondo, Francesco ha voluto ricordare che le religioni devono essere forze di riconciliazione e di pace, pur nella valorizzazione delle differenze: “Davanti ad ogni tentativo di rendere uniformi è possibile e necessario riunirci dalle diverse lingue, culture, religioni e dare voce a tutto ciò che vuole impedirlo. Insieme oggi siamo invitati a dire: ‘no’ ad ogni tentativo uniformante e ‘sì’ ad una differenza accettata e riconciliata”.
Nel luogo dove tante vite sono state interrotte dalla violenza, Francesco ha incontrato alcuni familiari delle vittime e dei soccorritori: “Nei familiari, si può vedere il volto del dolore, un dolore che ci lascia attoniti e grida al cielo. Ma, a loro volta, essi mi hanno saputo mostrare l’altra faccia di questo attentato, l’altra faccia del loro dolore: la potenza dell’amore e del ricordo. Un ricordo che non ci lascia vuoti”. E Francesco ha proseguito ricordando come New York abbia saputo unirsi nel momento della tragedia: “Nel momento di maggior dolore, sofferenza, voi siete stati testimoni dei più grandi atti di dedizione e di aiuto. Mani tese, vite offerte. In una metropoli che può sembrare impersonale, anonima, di grandi solitudini, siete stati capaci di mostrare la potente solidarietà dell’aiuto reciproco, dell’amore e del sacrificio personale. In quel momento non era una questione di sangue, di origine, di quartiere, di religione o di scelta politica; era questione di solidarietà, di emergenza, di fraternità. Era questione di umanità. I pompieri di New York sono entrati nelle torri che stavano crollando senza fare tanta attenzione alla propria vita. Molti sono caduti in servizio e col loro sacrificio hanno salvato la vita di tanti altri”.
Dall’incontro, tuttavia, sono usciti un po’ delusi i familiari di una delle vittime, Kathy Mazza Delosh, capitano della Port Authority, morta perché rientrata in una delle torri per aiutare alcuni feriti, un attimo prima che la torre crollasse. Rose Mazza, la madre di Kathy, è un’anziana signora cattolica ed è arrivata a Ground Zero da Massapequa, nella contea di Nassau, accompagnata dal figlio. Ai giornalisti che le chiedono cosa ha ricavato da questo incontro col papa risponde: “Che sono stanca”. Avrebbe voluto un momento di scambio, di incontro più intimo: “Speravo di vedere un po’ di più. Non ho visto il papa, l’ho solo intravisto di sfuggita da lontano. Se avessimo avuto modo di avere un momento con gli altri familiari delle vittime, allora sì, sarebbe stato di consolazione”.
Fuori dal sito del 9/11 Memorial, sulle strade transennate, la gente si allineava nella speranza di vedere passare l’ormai mitica Cinquecento del papa. “Sono venuta nella speranza di vederlo perché sono assolutamente innamorata di questo Papa – ha detto Tracy, una donna afro-americana sui quaranta – Quello che sta facendo è rivoluzionario. Guarda quello che ha fatto a Washington dove ha voluto pranzare insieme ai senza tetto, invece che pranzare con le istituzioni. La mia fede ne è stata rafforzata. Prima andavo a messa, sì, ma c’erano volte in cui andavo senza senza troppa convinzione, ora sono molto coinvolta. Lui sta riportando la chiesa nel Ventunesimo secolo”.
Un signore regalava spille di Occupy Wall Street e sorreggeva un cartello che parlava di amore. “Io sono stato con Occupy Wall Street fin dal primo giorno e vengo qui ogni venerdì per mantenere vivo Occupy Wall Street – ha detto Chuck mentre sedeva su una panchina, proprio in quello Zuccotti park che è stato casa del movimento – L’amore è solo amore e non vede sesso, razza, classe sociale o religione. E credo che la Chiesa cattolica e questo papa si stiano muovendo nella mia direzione. Il papa si rende conto che le corporazioni, essendo un’entità che non è viva, possono approfittarsi delle persone e per questo ci sono i sindacati. Questo papa manda un messaggio che è il nostro messaggio e l’America sta iniziando ad ascoltare”. A quanto pare, Francesco è anche il papa di Occupy Wall Street e Chuck sperava di potergli regalare una delle sue spillette: “Ne avevo preparata una nel suo linguaggio nativo, lo spagnolo”.
Erano un po’ smarriti, invece, tre italiani in vacanza a New York da Roma, che venerdì mattina avevano in programma di andare a vedere il Memoriale dell’11 settembre, ma non avevano calcolato il papa: “Ci insegue” ha scherzato Daniele. Ai passaggi papali i romani sono abituati, “ma è divertente vedere come reagiscono loro – ha detto ancora Daniele – Adorano una figura del genere. Almeno alcuni, poi, come vedi, non tutti…”
Dall’altro lato della strada, infatti, è in corso una protesta. A New York, si sa, le voci contro non mancano mai. È uno sparuto gruppetto che però fa sentire la propria voce. Nessuno può farsi portatore della parola di dio, dicono, e nessuno può usurpare il titolo di dio in terra che spetta solo ed esclusivamente a Cristo. “Esiste solo la parola di dio – ha spiegato tra uno slogan e l’altro James, mentre sorreggeva un enorme cartello dai toni accusatori – La chiesa cattolica vede nel papa un rappresentante di dio in terra e questo è blasfemo. Non siamo contro di lui, ma solo Gesù Cristo può dirci come dobbiamo condurre la nostra vita. Tutti gli altri sono falsi profeti”. E anche se il papa dice cose giuste, chi è lui per dirle?
Si aggirava come un pesce fuor d’acqua un uomo sulla trentina, giacca e cravatta e impeccabile pettinatura con capelli tirati indietro. “C’è il papa in città? Ah, già è vero…”. Robert lavora nel Financial District per una società finanziaria di cui preferisce non dire il nome. Venerdì era in pausa pranzo e si è imbattuto nella folla con bandierine, magliette e spillette. “Il messaggio del papa? In linea di principio potrà anche essere giusto, ma è utopistico. Il mondo non funziona come dice lui… E se cambiasse probabilmente la società come la conosciamo finirebbe in un batter d’occhio”. Anche questa è New York.
Ad Harlem con i figli dell’immigrazione
Dopo Ground Zero è stato il momento dell’appuntamento più francescano di questa visita di papa Francesco: l’incontro alla scuola Our Lady Queen of Angels di East Harlem. In un quartiere che appena qualche decennio fa era simbolo di degrado e conflitto sociale, i giovani sono una forza di cambiamento e l’espressione di un processo di integrazione fra culture che sta iniziando a dare i suoi migliori frutti. Ad accogliere Francesco c’erano proprio quei giovani, in buona parte figli di immigrati, tanti arrivati a New York da quell’America Latina che a un papa figlio di immigrati ha dato i natali. Gli studenti di quattro diverse scuole cattoliche locali hanno salutato il papa con canzoni francescane e hanno avuto modo di parlare personalmente con il capo della Santa sede. “Tutti voi che siete qui, piccoli e grandi, avete il diritto di sognare – ha detto Francesco agli studenti e agli insegnanti della scuola – e mi rallegro molto che possiate trovare, sia nella scuola, sia qui, nei vostri amici, nei vostri insegnanti, in tutti quelli che si avvicinano per aiutare, l’appoggio necessario per poterlo fare. Dove ci sono sogni, dove c’è gioia, lì c’è sempre Gesù. Sempre”.
Prima di lasciare i ragazzi di Harlem, papa Francesco ha fatto loro una richiesta: “Vorrei darvi un ‘compito a casa’, va bene? È una richiesta semplice ma molto importante: non dimenticatevi di pregare per me, perché io possa condividere con tante persone la gioia di Gesù. E preghiamo anche perché molti possano godere di questa gioia che avete voi quando vi sentite accompagnati, aiutati, consigliati, anche se ci sono problemi, però c’è questa pace nel cuore, perché Gesù non ci abbandona”.
Passeggiata a Central Park
Da Harlem il papa si è spostato a Central Park dove ha attraversato la parte ovest del parco, per la gioia di 80.000 vincitori di una lotteria indetta per assegnare i biglietti. Il parco era transennato, ma questo non ha impedito a migliaia di persone di affollarsi intorno a Columbus Circle e lungo i perimetri del parco, nella speranza di riuscire a catturare una seppure fugace immagine del papa.
Immancabili i venditori di magliette, spillette e gadget che seguono il papa in tutto il suo American Tour e in questi giorni sono diventati una costante nelle vie di New York.
Mentre all’interno del parco l’avvicinarsi della papamobile veniva annunciato da un’onda di grida di gioia che precedeva la delegazione man mano che scendeva lungo il viale, fuori, la folla cercava di sbirciare attraverso le rete e bastavano i lampeggianti di una macchina della polizia o un abito bianco a far urlare d’eccitazione.
Steve e Neal sono una giovane coppia gay, non sono cattolici, ma hanno simpatia per questo papa: “Siamo qui perché è un bel momento”, hanno esordito quasi in coro con i volti raggianti. “Papa Francesco sta riuscendo a fare un aggiornamento in chiave liberal della Chiesa. Sta diventando la voce del mondo cristiano del ventunesimo secolo, non solo dei cattolici, e sta raggiungendo molte più persone. Il suo messaggio è molto bello” ha poi approfondito Steve. La speranza è che possa lasciare un’eredità di accettazione: “Accettazione delle più diverse strade della vita: Non importa la religione, quello che importa è il suo messaggio di infinito amore e gentilezza” ha concluso Neal.
All’uscita dal parco, due signore sulla settantina venute dalla contea di Westchester erano decisamente soddisfatte: “Sì, avrei voluto vederlo più da vicino, ma… delusa? Per niente!”, ha detto Joanne che ha aggiunto che la cosa più bella è stata essere circondata da così tante persone carine, felici di essere lì. “Perfino i poliziotti erano gentili”, è intervenuta l’amica Irene, spiegando che tutto era organizzato alla perfezione. Irene e Joanne se ne sono tornate a casa con un messaggio importante: “Dobbiamo tutti andare d’accordo gli uni con gli altri, non importa da dove veniamo”.
Al Madison Square Garden come le star
Erano ormai le 6.00 di sera quando il papa si avviava verso il Madison Square Garden per chiudere da star la sua visita a New York, con una grande messa in uno spazio che ha ospitato alcuni dei più grandi concerti al mondo. A seguirlo, da Central Park a 34th street, c’era Teddy, che per 10 dollari vende una T-shirt con Francesco che saluta sullo sfondo di una bandiera americana. Teddy fa questo di mestiere e ne ha viste tante: “Ho fatto tutti i principali concerti, Madonna, tutte le star, Obama e adesso il papa. Seguo il papa per tutto il suo viaggio, sono stato a DC e domani sarò a Philly. Mi piace questo papa, mi piace quello che ha da dire. Non si fa distrarre da tutta l’attenzione che ha intorno, vuole stare in mezzo alla gente”. Se Teddy, nato e cresciuto al Bronx, potesse chiedere al papa di lasciare qualcosa in regalo ai newyorchesi gli chiederebbe di “benedirci tutti”.
E dall’interno del Madison Square Garden, che ha definito “sinonimo di questa città”, Papa Francesco deve aver ascoltato le parole di Teddy, perché ha dedicato parte della sua omelia proprio al tema dell’inclusione. “Nelle grandi città – ha detto Francesco davanti alle 20.000 persone riunite nell’arena – sotto il rombo del traffico, dietro il ritmo rapido del cambiamento, tante facce passano inosservate perché non hanno ‘diritto’ di essere lì, di essere parte della città. Sono gli stranieri, i bambini che restano senza un’istruzione, quelli privi di assicurazione medica, i senzatetto, gli anziani dimenticati. Queste persone stanno ai margini dei nostri grandi viali, nelle nostre strade, in un assordante anonimato”.
Parole che aleggiano ancora su New York, travolta da un’ondata francescana. Ma questa città ne ha viste tante e la sua resilienza è proverbiale, nel bene e nel male. Louise è di New York, ma ha origini portoricane e secondo lui la visita del papa potrebbe avere una scia positiva: “Questo Papa farà grandi cose. È umile, positivo e pieno di energia. È un papa del popolo e se New York lo ascolterà, magari ci saranno dei buoni cambiamenti”.
A Christine, 46 anni, di New York, questo papa piace, lo vede come un personaggio colmo di “bontà, saggezza e purificazione”. Eppure Christine non pensa che la città ne uscirà cambiata: “Non credo che New York risentirà di qualche cambiamento, ma almeno si è sentita l’energia”. La pensa allo stesso modo Antony, newyorchese di trentuno anni: “Sicuramente la città di New York ringrazia il papa per la visita, ma sarà difficile che qualcosa qui cambierà”.
Forse non sarà un papa a far cambiare New York. Ma poi il messaggio di Francesco non è quello dell’accettazione pur nella diversità?
Giulia Catani e Silvia Scarmuzza hanno contribuito alla copertura per questo articolo.