In questi giorni in Parlamento si discute una proposta di legge che punta a modificare l’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario italiano nella parte in cui afferma la presunzione di non rieducatività del condannato, trasformandola da assoluta in relativa. Con questa norma sarà possibile, di fatto, sempre previa la valutazione della magistratura di sorveglianza, far venire meno il divieto d’accesso al lavoro esterno, ai permessi premio ed alle misure alternative alla detenzione diverse dalla liberazione anticipata in determinati casi. In tal modo, soprattutto la pena dell’ergastolo verrà resa maggiormente compatibile con gli standard richiesti dalla nostra Costituzione.
In linea di principio, nulla questio. Il problema nasce esclusivamente da un interrogativo, a mio avviso, irrisolvibile: si applicherebbe anche ai mafiosi irriducibili? Potrebbe uscire dal carcere anche lo stragista Totò Riina? Il rischio, purtroppo, sta tutto nella revisione della disciplina di preclusione ai benefici penitenziari per i condannati alla pena dell'ergastolo. In molti, tra i quali mi annovero, temono che serva ad aprire le porte del carcere alle belve sanguinarie che hanno ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, tanto per citare le vittime di mafia più emblematiche. Il pericolo concreto è che si possa dare la possibilità ai mafiosi di usufruire dei benefici penitenziari anche se non collaborano con la giustizia. Se così fosse (e il rischio c’è), verrebbero meno gli strumenti antimafia fortemente voluti dallo stesso Falcone il quale, non dimentichiamocelo, ha sempre sostenuto che per la lotta alla mafia l’art. 4 bis o.p. fosse uno strumento operativo importantissimo. Lo stesso magistrato sosteneva, quasi venticinque anni fa, la assoluta necessità che in stato di detenzione il mafioso fosse messo nell'impossibilità di mantenere, all'esterno e all'interno del carcere, quei collegamenti con l'organizzazione criminale che costituivano e costituiscono la regola di comportamento di tali criminali per dirigere gli associati. A questo proposito il legislatore introdusse l’art. 41 bis.
Teniamo ben a mente che se Riina uscisse dal carcere certamente riprenderebbe i contatti con l’organizzazione nonché il suo ruolo dominante all'interno del clan mafioso. Il che conferma la necessità che per i mafiosi si possa godere dei benefici solo in via eccezionale e quando emergano con certezza le condizioni che escludano ogni pericolo derivante da una maggiore o anticipata libertà. Toccando gli art. 4 bis e 41 bis pro reo, si infanga la memoria di tutte le vittime di mafia: io la penso così. Se passerà un orientamento simile i rappresentanti del Parlamento dovranno prendersi le proprie responsabilità di fronte a milioni di persone.
* Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise