La verità a Cuba come sempre sta dietro le apparenze. In questa importante tappa di Papa Francesco nell’isola dei Castro, il Papa ha parlato di timori di una terza guerra mondiale e di sete di pace nel mondo, ha salutato i cubani “che non potrà incontrare” e Fidel Castro. Mentre Raúl Castro, generale dell’esercito cubano e presidente del Consiglio, ha fatto un discorso di ecologia, lotta al consumismo e alle ingiustizie sociali rilanciando subito la richiesta agli americani di togliere l’embargo e di restituire la base navale di Guantanamo.
Se il processo di riconciliazione con gli USA è cominciato a luglio con l’apertura delle sedi diplomatiche, è anche vero che Obama non ha ancora nominato il suo ambasciatore all’Avana e che rispetto ai diritti civili Raúl Castro fa orecchie da mercante, sostenendo che nel suo paese siano rispettati.
Intanto domenica per la visita papale il leader ha fatto ripulire le strade (asfaltando quelle del tragitto della papa mobile, ridipingendo alcuni edifici e chiese), affisso alcuni cartelli con la foto di papa Francesco (e del Che) e fatto sparire migliaia di prostitute, mendicanti, senzatetto e persone anziane malmesse, affinché giornalisti e pellegrini non vedessero la miseria che impera a Cuba, dove si vive di stenti con la tessera annonaria. Lo denuncia lo storico dissidente Elizardo Sanchéz che l’ha chiamata “pulizia sociale” .
Le brigate di Respuesta rapida, gruppuscoli di militanti, sono mobiliate in tutto il percorso, pronti ad intervenire in caso di manifestazioni di protesta, mentre le piazze della Revolucion sono state adattate per celebrare Messa. Il papa impartirà anche la prima Comunione ai bambini. Un miracolo se si pensa che fino al 1998, prima dell’arrivo di Papa Wojtyla (dopo ci fu Benedetto XVI nel 2012: questo è il terzo papa che viene a Cuba) i Castro avevano proibito anche il Natale. Ma la cosa più importante è che sono stati restituiti alla Chiesa i monasteri e gli edifici confiscati con la rivoluzione, ora è anche permesso fare processioni e la TV cubana ospita spesso il cardinale di Cuba, Jaime Ortega, sia pure per dichiarare che non esistono dissidenti nell’isola. Subito smentito dal vescovo di Santa Clara Arturo Gonzales che invece assiste i prigionieri politici.
Il papa all’arrivo a Cuba, ricevuto da una delegazione guidata da Raul Castro
Gli oppositori dei Castro oggi non saranno ricevuti dal Papa e vivono un momento di grande isolamento. Come grande delusione e isolamento vive la dissidenza di Miami, che fino ad oggi ha pagato con l’esilio le critiche a un regime che dura da oltre 56 anni, prima con Fidel, al potere dal 1959, e poi, dal 2008, con Raúl.
Domenica, quando il Papa è andato via dopo la messa, sono state fermate e rilasciate le dissidenti Miriam Leiva E Marta Beatriz Roque che avrebbero dovuto incontrare il pontefice alla Nunziatura. Fermate anche oltre 22 dissidenti delle Damas en Blanco che da anni si battono per i diritti civili. Mentre la figlia del Che, Aleida Guevara ha dichiarato alla France Presse che non andrà alla messa perché:"La chiesa cattolica è in gran parte la responsabile dei problemi che viviamo oggi, a causa dell'oscurantismo, dell'oppressione. Guardiamo alla storia della nostra America: la Chiesa cattolica è la più grande conquistatrice del nostro popolo".
Intanto la Gazzetta ufficiale ha pubblicato la lista dei nomi dei 3.522 detenuti liberati, non i reati. Yoani Sanchez, la dissidente più nota con il suo blog Generacion Y ha contato 411 indultati i cui nomi cominciano con la penultima lettera dell’alfabeto, la Y, una moda diffusa tra i genitori cubani dalla fine degli anni '70 ai '90. Un indizio da cui la blogger deduce che quelle persone abbiano tra i 20 e i 45 anni e che siano cresciuti con la Revolucion. Perché dietro le sbarre ci sono così tanti giovani della mia età? – si chiede la Sanchez. “Siamo in presenza dell’uomo nuovo” che i Castro hanno promesso di creare? O si tratta di disillusi a cui hanno promesso un paese differente, diventati “una generazione intrappolata dalle circostanze, spesso costretta a delinquere, a fuggire e condannata a poche opportunità”?
Una risposta a questa domanda non ci sarà: a Cuba non ci sono dissidenti. Dopo la messa domenicale in piazza della Revolucion a cui parteciperà anche la presidente dell’Argentina Cristina Fernandéz e l’incontro pomeridiano con i giovani del centro Cultural Felix Varela, il papa al palazzo presidenziale incontrerà privatamente Raùl e Fidel (ormai impossibilitato anche a camminare ), quindi andrà ad Holguin, dove celebrerà la messa e benedirà questa piccola cittadina al centro dell’isola. Quindi volerà a Santiago de Cuba, a Est, dove nel pomeriggio reciterà un rosario con i vescovi alla patrona di Cuba. Martedì dopo la Messa nella basilica benedirà la città, incontrerà le famiglie e quindi partirà per Washington. Mercoledì alle 9.00 ora americana, sarà con Obama alla Casa Bianca. Giovedì parlerà al congresso e nel pomeriggio arriverà a New York dove dirà una messa serale nella cattedrale di San Patrick's. Poi l’ONU, il 9/11 Memorial, la scuola di Harlem e, come una rock star, dirà messa al Madison Square Garden. A Philadelphia visiterà carceri e gruppi cattolici per poi tornare a Roma, lunedì 28 settembre. Ventisei discorsi in programma, quattro in inglese il resto nella sua lingua, lo spagnolo, e un tour di oltre 20.000 chilometri con sette voli.
Ma lo sforzo diplomatico di papa Francesco e di Obama per avvicinare Cuba alla verità e alla libertà per molti intellettuali è costellato di errori dettati da ingenuità e superficialità, perché spesso finiscono solo per riconoscere regimi feroci e atroci. Carlos Alberto Montaner, autore cubano in esilio, liquida il Papa come un ingenuo ed eccentrico che non considera le conseguenze verso la dissidenza dell’isola che soffre isolamento sociale e spessissimo il carcere. Molti esiliati sperano che nel programma del Papa ci sia anche l’estrema unzione a Fidel che considerano ancora il burattinaio dell’isola. Durissimo il commento dello scrittore italiano Domenico Vecchioni, ex ambasciatore a Cuba e autore dell’unica biografia su Raúl Castro, che dice: “Il Papa ha chiesto a Raúl Castro di trasmettere a Fidel i suoi sentimenti di speciale considerazione e rispetto. Considerazione e rispetto per colui che perseguitò la Chiesa cattolica che cacciò dall’isola tutti i gesuiti? Che trasformò il collegio di Belén in un centro militare? Per colui che non esitò a chiudere i preti cattolici nelle famigerata Unità Militare di aiuto e produzioni (lavori forzati) compreso un giovane Jaime Ortega oggi immemore cardinale di Cuba? Se è vero che bisogna guardare al futuro, è altrettanto vero che non dobbiamo dimenticare il passato. Ci saremmo insomma aspettati che il Papa chiedesse considerazione e rispetto per tutte le vittime del regime, non per il loro carnefice”.
“Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba” disse papa Wojtyla, oggi santo, quando baciò il suolo cubano. Il mondo si apre a Cuba, ma i Castro? Senza più soldi né risorse, con un’economia al collasso (devono importare anche lo zucchero), il regime ha bisogno degli americani e dei prestiti della Banca Mondiale per andare avanti. “I Castro ci hanno abituato a tutto – dice Miguel del Rosario, giovane jinetero (gigolò) dell’Avana, laureato in economia – Aspettiamo e vediamo che cosa succede. Magari gli americani costringeranno il regime a cambiamenti. D’altronde non si possono fare affari con un paese che non garantisce equità nei tribunali. Dentro il Socialismo tutto, fuori niente, la nostra Costituzione lo dice. Come possono gli investitori dividere gli affari con militari che ti possono togliere tutto da un momento all’altro? Con chi pretende di essere tuo socio al 50% senza capitali e riscuotendo mille dollari per un salario ma pagandone 15 al lavoratore? Questa è moderna schiavitù che non può durare. E gli americani non accetteranno”.
Cuba ha solo 11 milioni di abitanti e il 60 per cento ha meno di 50 anni. Giovani che conoscono solo i Castro, il cui futuro è quello di lavorare per lo stato a 15 dollari al mese, senza informazione né libertà. La speranza è dunque l’unica risorsa. E chi meglio di papa Francesco può dar loro risorse. La speranza è anche quella che non ne dia ulteriori al regime dei Castro.
*Marcella Smocovich, ispanista, viaggiatrice e appassionata lettrice. Ha lavorato 15 anni con lo scrittore Leonardo Sciascia con cui ha imparato a leggere; 35 anni al Messaggero come giornalista professionista. Ha collaborato a El Pais, El Mundo di Spagna, alla CBS di New York . E’ stata vice direttore del mensile Cina in Italia. Viaggia frequentemente a Cuba, su cui ha scritto due libri, un’opera teatrale e moltissimi articoli. Vive tra Tunisi, New York, Roma e La Habana. E’ laureata a Salamanca e a Chieti.