Per la terza o quarta volta gli inquirenti dicono di aver stretto il cerchio intorno a Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa nostra che fino ad oggi, però, è riuscito a sfuggire a tutte le strette. E non c’è da stupirsi, se è vero che nel nostro Paese non mancano latitanze trentennali e persino quarantennali di grandi capi mafia. Il magistrato inquirente Teresa Principato dice che Messina Denaro gode di protezioni ad alto livello. Anche in questo caso non c’è da stupirsi, se è vero che, in Italia, quando si parla di lotta alla mafia, si è avuta spesso la sensazione di assistere a uno Stato che lotta contro se stesso…
Oggi le cronache ci raccontano di undici esponenti di vertice delle famiglie mafiose di Trapani e di presunti favoreggiatori del boss arrestati nell’operazione definita “Ermes”. In azione sono la Polizia Stato coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo. L’inchiesta è condotta dal Procuratore della Repubblica del capoluogo siciliano, Franco Lo Voi, dai sostituti Paolo Guido, Carlo Marzella e dal procuratore aggiunto, la già citataTeresa Principato.
Gli investigatori ritengono di aver colpito il sistema di comunicazioni di Messina Denaro, ovvero il già noto

Matteo Messina Denaro
sistema dei ‘pizzini’ (in siciliano piccoli pezzi di carta, o bigliettini, con scritti gli ordini del boss: ‘pizzini’ diventati noti perché molto utilizzati dal boss corleonese, Bernardo Provenzano). Attraverso i ‘pizzini’ Matteo Messina Denaro impartisce gli ordini ai suoi uomini per la gestione degli affari.
Stando a quanto scoperto dagli inquirenti, il centro di smistamento si trovava in un casolare nelle campagne di Mazara del Vallo. Arresti e perquisizioni sono stati eseguiti nelle province di Palermo e Trapani. Alle operazioni partecipano il personale delle Squadre Mobili delle due città con il coordinamento del Servizio centrale operativo della polizia di Stato e con la partecipazione del raggruppamento operativo speciale (Ros) dei Carabinieri. Non è la prima volta che gli inquirenti si avvicinano a Matteo Messina Denaro colpendo la sua rete di connivenze e di protezione. Ne 2010 sono state arrestate poco meno di 100 persone considerate vicine al boss. Tra questi anche la sorella. “Siamo alle battute finali”, ha detto il procuratore aggiunto Principato in conferenza stampa. I ‘pizzini’, che risalgono a un arco temporale che va dal 2012 a oggi, sono stati usati da Messina Denaro per controllare il territorio. In questa azione di monitoraggio esercitata dal boss venivano impiegati soggetti di mandamenti diversi, mai lasciati soli nelle operazioni di raccolta dei ‘pizzini’.
Gli inquirenti hanno colpito i capi del mandamento di Mazara del Vallo e dei clan di Salemi, Santa Ninfa, Partanna, tutti centri del Trapanese ritenuti ‘feudi’ di Messina Denaro. L’operazione “Ermes”, che punta a disarticolare la rete di protezione e di connivenza del boss, è la prosecuzione delle operazioni “Golem” ed “Eden” condotte dalla Polizia e dai Carabinieri grazie alle quali sono stati arrestati favoreggiatori e familiari del boss. “Gli arrestati erano per la maggior parte dei pregiudicati, condannati per favoreggiamento – ha precisato Teresa Principato -. Quelli che vengono ritenuti dei pecorai, sono in realtà i capi mafiosi sul territorio. Territorio che continua a essere battuto: gli arrestati sono stati osservati da anni”.
Agli arrestati sono finiti Vito Gondola, mazarese, 77 anni; Leonardo Agueci, 28 anni; Ugo Di Leonardo, 73 anni; Pietro e Vincenzo Giambalvo, 77 e 38 anni, padre e figlio; Sergio Giglio, 46 anni; Michele Gucciardi, 62 anni; Giovanni Loretta, 43 anni; Giovanni Mattarella,49 anni (genero di Vito Gondola); Giovanni Domenico Scimonelli, 48 anni; Michele Terranova, 46 anni.
Secondo gli inquirenti, il ruolo centrale era esercitato da Vito Gondola, considerato il regista dello smistamento dei ‘pizzini’: uno smistamento che gli inquirenti hanno già in altre operazioni antimafia, con comunicazioni tra boss e favoreggiatori che andavano in scena, in media, ogni 15. Con una procedura collaudata: i ‘pizzini’, una volta letti, venivano sotterrati e talvolta eliminati. Una procedura che continua sino a fine febbraio 2014 con il pentimento di Lorenzo Cimarosa.
Gli inquirenti hanno tenuto sotto osservazione la zona. E hanno accertato che i ‘pizzini’ venivano nascosti sotto terra durante i summit. Solo al termine delle riunioni i ‘collettori’ li andavano a prendere per consegnarli ai destinatari. I ‘pizzini’ erano ripiegati e chiusi con dello scotch. A questo rituale si aggiungevano altre regole molto rigide: i messaggi, una volta letti, andavano distrutti e le risposte dovevano arrivare al boss entro termini prestabiliti, con un tempo massimo di 15 giorni.
Le indagini culminate negli arresti di ieri sono iniziate nel 2011, dopo che un’operazione di Polizia ha disarticolato la rete dei favoreggiatori del boss. Da qui la necessità per gli uomini d’onore di riorganizzare tutta la comunicazione. Un ruolo importante, stando a quanto appurato dagli inquirenti, era svolto dagli allevatori che, come già accennato, erano in realtà personaggi di peso dell’organizzazione. Tra le parole utilizzate per convocare i summit spiccavano termini come “concime” e “favino”, cereali dati in genere ai maiali. Gli scambi di ‘pizzini’, a un certo punto, hanno subito un arresto, che gli inquirenti hanno collegato a un possibile allontanamento di Matteo Messina Denaro. Anche in questo caso non si tratta di una novità, perché il boss, sempre secondo gli inquirenti, potrebbe, in alcuni periodi, allontanarsi dalla Sicilia. E attualmente potrebbe anche non trovarsi nell’Isola.
A quanto si è capito, gli uomini arrestati ieri avevano intuito di essere braccati. In ogni caso, anche questa nuova ondata di arresti non dirada la nube di misteri che accompagna la latitanza di un boss trapanese che rimane misteriosa. Di fatto, al di là degli annunci e degli arresti, Matteo Messina Denaro rimane imprendibile.