Per capire cosa sta accadendo a Roma, e in particolare la posizione del sindaco Ignazio Marino, conviene ricordare ciò che accadde a New York nei primi anni Novanta. La metropoli era diventata il simbolo del degrado urbano, con livelli insostenibili di violenza e corruzione. Nelle elezioni del 1989 vinse un democratico e una persona per bene, David Dinkins che, già pochi mesi dopo la sua elezione, era riuscito a fermare la crescita della criminalità che andava avanti da un trentennio, e a invertire la tendenza. In modo clamoroso: le statistiche dimostrano che in nessun altro periodo nella storia della città, né prima né dopo, c’è stato un calo altrettanto ampio e rapido della violenza.
Ma non bastò. Nella percezione degli abitanti e dell’opinione pubblica mondiale, New York restò pericolosa, sporca e invivibile. Al punto che nelle elezioni del 1993 il conservatore Rudolph Giuliani sconfisse Dinkins grazie allo slogan della tolleranza zero: e benché negli otto anni in cui restò sindaco la diminuzione della criminalità rallentò, fu a lui, non a Dinkins, che venne riconosciuto il merito di aver salvato New York.
Come mai? Un ruolo fondamentale lo giocarono i media: che proprio allora, negli anni della crisi e poi dissoluzione dell’Unione Sovietica, si consolidarono in network globali trasformandosi in macchine promozionali e propagandistiche del neocapitalismo liberista, ormai consapevoli di poter seminare disinformazione e costruire qualsiasi realtà virtuale senza doverne rendere conto – la magia della “deregulation”.
Tuttavia gravi colpe le ebbero anche Dinkins e la sinistra americana in genere. Che evidentemente Machiavelli non lo avevano mai letto e non avevano fatto caso al fatto che la gente tollera più facilmente poche eccezionali calamità o sopraffazioni che uno stillicidio di disagi. Dubito che Giuliani conoscesse Il principe: ma aveva l’istinto e il realismo politico dei sovrani portati a modello da Machiavelli. Gran parte della sua strategia si basò sulla cosiddetta “teoria delle finestre rotte” (corroborata da numerosi esperimenti sociali), secondo la quale in un ambiente disordinato, e che dunque dia la sensazione di una mancanza di controlli e di norme condivise, la gente finisce per allentare il proprio rispetto per le cose e le persone.
Non credo che negli anni Novanta New York sia diventata migliore di quanto fosse negli anni Sessanta; ci ho vissuto per l’intero periodo di Giuliani (e oltre) e il processo di gentrificazione e commercializzazione di parecchie zone della città, ripulite e trasformate in parchi tematici per famiglie (emblematico lo scempio di Times Square) o in quartieri di lusso per una plutocrazia cosmopolita e per speculatori immobiliari, me l’ha resa estranea, più o meno come Venezia, disneyficata per compiacere i turisti più frettolosi e distratti.
Però capisco bene che la maleducazione, i soprusi, i furti, gli atti vandalici, irritino e irrigidiscano la gente, anche mentalmente; o in alternativa, ed è peggio, la convincano che è meglio essere furbi piuttosto che fessi, portandola a compiere le piccole illegalità che poi la renderanno tollerante nei confronti di illegalità molto più gravi.
A me Marino sembra una persona decente; però politicamente sta sbagliando tutto. Soprattutto perché è di sinistra e dunque non può contare sul sostegno incondizionato delle multinazionali e dei loro giornali. Nell’età del liberismo globalista la sinistra proprio non può rinunciare al populismo, ammesso che potesse in passato (Gramsci parlava dell’esigenza di una cultura nazionale-popolare). Roma ha tanti problemi: alcuni li ha sempre avuti e forse fanno parte, nel bene e nel male, della sua identità, al punto che non andrebbero eliminati neppure se si potesse farlo. Ma negli ultimi decenni il degrado ha assunto caratteristiche diverse, alimentato da flussi di immigrati, prima dal resto d’Italia e ora dall’estero, che non si sono davvero integrati (nel senso che non contribuiscono al mantenimento e sviluppo della cultura della città) e che hanno trasformato il tipico lassismo romano in una sorta di autorizzazione a delinquere. Giocare la carta delle Olimpiadi non è populismo: è un trucco mediatico e nelle partite mediatiche il liberismo vince sempre. Populismo è lottare contro i privilegiati e al tempo stesso contro i clandestini, contro i nullafacenti e contro gli evasori, contro le raccomandazioni e l’abusivismo.
Forse è già troppo tardi per salvare Marino dall’attacco a tenaglia di Renzi e di Salvini. Ma prima che arrivi un Giuliani romano, ossia un politico di destra (probabilmente un renziano più che un fascistoide) ad approfittare della crisi per svendere il patrimonio pubblico ai privati in cambio di una parvenza di ordine e disciplina, mi piacerebbe che Marino trovasse il coraggio e l’intransigenza per riportare a Roma un po’ di legalità, moralità e pulizia, nei fatti ma anche a livello d’immagine, abbandonando cioè la retorica buonista che ormai fa il gioco del liberismo più sfrenato (in regime di globalizzazione l’anarchia è il sistema preferito dalle corporation) e che gli sta alienando il sostegno della popolazione. E se i duri e puri che lo sostennero nelle primarie si opporranno, imprigionati nonostante tutto nel sogno giovanilistico di un multiculturalismo da supermercato e di una trasgressività radical chic, al diavolo i duri e puri.