"(…) eppure i loro pensieri oh, gli veniva da ridere, tutto intorno, per i chilometri e chilometri suddetti, pensieri simili ai suoi, sconci e squisiti, per la misteriosa voce che chiama alla propagazione della specie, trasumanata in vizi strani e brucianti, perché mai nessuno aveva il coraggio di dirlo? pensieri di lei, di lei, di quella bocca speciale, di quelle labbra fatte in certo modo, di una prospettiva di muscoli tesi, ricordi? morbidi e fluidi, in una curvatura diversa da tutte le altre, di una piega, di una pienezza, di una concavità, di un caldo, di un umido, di una cedevolezza, di uno sprofondamento, di un abisso cocente. E i giornali parlavano di irrigidimento sovietico, di interpellanze alla Camera per l'Alto Adige, assicurazioni di Nenni circa l'autonomia del PSI, incendio del cinema Fiamma, crisi della giunta regionale siciliana, che pazzesca buffonata".
Una lunga citazione, punteggiatura "fantasiosa" compresa, per introdurre l'ultima rilettura dell'estate, torrida e sensuale come si conviene. E dopo quattro romanzieri americani, anzi, newyorchesi, è la volta di un classico italiano, Un amore di Dino Buzzati (Belluno, 1906 – Milano, 1972), uscito nel 1963, non senza sollevare qualche critica, sia per lo stile, sia per l'argomento.
La prima cosa che un lettore dei giorni nostri potrebbe notare iniziando questo libro è la distanza siderale del protagonista rispetto al politicamente corretto di oggi. Il tema del romanzo è noto: l'amore totalizzante di un maturo ingegnere 49enne, nella Milano del boom economico, per una ragazzina. Ma è anche la prostituzione. La "maschietta" che la signora Ermelina, nella sua casa d'appuntamenti, presenta a Dorigo, è una minorenne, una ballerina di fila della Scala, o aspirante tale, "faccino pallido, reso arguto dal naso dritto e prominente", con qualcosa "di fresco, di popolaresco, ma non volgare". La senatrice Merlin all'epoca ha già messo al bando i casini, la sua legge come si sa è del '58. Tuttavia l'amore a pagamento continua, più florido che mai, e Dorigo, uomo solido, ben posizionato, ma di scarso successo con le donne, vi ricorre senza un'ombra di rimorso, nemmeno nei confronti della giovane età della prescelta. Lo fa per risparmiare tempo, fatiche, per prevenire il rischio di un rifiuto, ma anche perché la prostituzione in fondo gli sembra una cosa meravigliosa, uno sogno facile da realizzare con poche migliaia di lire (non tanto poche in realtà, Dorigo è generoso), e poi perché quel tanto di turpe, di crudele, di diabolico, di degradante insito nel mercimonio lo affascina (e al tempo stesso lo disgusta).
La vicenda del romanzo, poi, ribalta le parti che sembrerebbero assegnate. L'uomo in realtà è la vittima, la prostituta-ragazzina la carnefice. Dorigo diviene schiavo di un amore cieco, che assorbe tutto il resto, che trasfigura la città e la pianura che la circonda, che toglie interesse al lavoro, che lo costringe a confessioni umilianti. Laide, diminutivo piuttosto evocativo di Adelaide, lo tiene in pugno e lo trasforma nel suo cavalier servente, gli racconta ogni sorta di panzana, insomma, lo mena per il naso (usiamo in questa recensione espressioni un po' vetuste, per adeguarci al linguaggio del libro, un italiano piuttosto "passato"). Tutto questo fino ad un finale un po' improbabile, che mette finalmente i due protagonisti su un piano di equilibrio, per quanto precario e foriero di futuri disastri.
Nel corso della rilettura, mi sono accorto di una cosa che la prima volta che ho incontrato quest'opera, cioè quando avevo forse 11 anni (il privilegio di leggere da bambini libri adulti!), mi era sfuggito. All'epoca ero stato attratto dalla trama proibita, dalla scabrosità di certe scene, da quelle ascelle umide e spalancate, da quegli amplessi consumati in fretta, di pomeriggio, "verso le 3, 3 e mezza", mentre la città attorno si muove, strepita, suda, fuma. Non avevo prestato attenzione allo stile, non avendo ancora un bagaglio di letture sufficientemente ampio alle spalle per apprezzarlo. E così, più avanti, avevo sempre pensato che la mia predilezione per i flussi di coscienza, per gli elenchi, per le descrizioni-fiume di città e situazioni, per pagine e pagine spericolate, senza punti, senza una particolare attenzione per le maiuscole, fossero un portato delle letture beat iniziate verso i 13, 14 anni, Kerouac su tutti, e non solo il Kerouac de Sulla strada, anche quello del Dottor Sax.
Invece, ecco qua. Prima di Kerouac c'era stato Buzzati, ma me ne sono reso conto 40 anni dopo, il che dimostra senza ombra di dubbio che rileggere è importante, mette le cose nella giusta prospettiva. Non da ultimo perché nel frattempo si è ampliata la propria conoscenza della letteratura e si è in grado ad esempio di capire che dietro ad entrambi – cioè dietro sia a Buzzati che a Kerouac – c'era lo stesso Joyce. In quest'ottica, il libro risalta nella sua modernità e si allinea a un altro classico di quegli anni, Lolita di Nabokov, anche lì una ragazzina "diabolica" che si impossessa della vita di un uomo maturo.
Chiusa la divagazione. Un amore è l'ultimo vero romanzo di Buzzati. Quando venne pubblicato, lo dicevamo prima, qualcuno criticò questa svolta metropolitana dello scrittore delle montagne per eccellenza (con Rigoni Stern), e soprattutto l'adesione a tematiche esplicitamente sessuali. Si disse che l'autore aveva ceduto ad un certo gusto commerciale. Non è così. Intanto perché la storia che lo scrittore racconta è parzialmente autobiografica. Poi perché Dorigo in realtà ricorda il sottotenente Drogo, protagonista del celebre Il deserto dei tartari, che Buzzati aveva pubblicato nel 1940. Solo che Drogo aveva mancato il suo appuntamento con la battaglia, cioè con l'epica, la gloria, il pericolo…se stesso. L'unico vero appuntamento che non poteva disattendere era quello con la morte (una morte "naturale" e tutt'altro che epica). Dorigo invece la sua battaglia ce l'ha. Una volta nella vita, getta il suo cuore di la' dell'ostacolo (dell'amore). Dorigo attraversa tutto. Piacere, gelosia, litri e litri di menzogne. Nonostante il denaro e la posizione sociale. Non è però del tutto innocente, come gli spiega alla fine una collega di Laide, è un uomo maturo che ha creduto di comprare l'amore di una ragazzina approfittando della sua posizione e dei suoi mezzi. La favola di Pretty Woman è ormai dietro l'angolo, ma qui non è ancora Hollywood, è solo l'Italia della doppia morale cattolica, che condanna con la mano destra ciò che carpisce con la sinistra.
Il romanzo andrebbe letto anche solo per la parte del viaggio in macchina di Dorigo che va a recuperare "la Laide" da un presunto cugino, così poco cugino. L'amore può cambiare un paesaggio, renderlo diverso da ciò che pensavamo di conoscere a menadito: quando lessi certe pagine, da bambino, in un'estate come questa, le capii così così, ma mi sembrarono piene di senso e di mistero, foriere di future incognite, di croci e delizie.
E poi, andrebbe letto per Milano: la città operosa e ipocrita degli uffici e degli appartamenti presi a prestito e quella popolare delle case a ringhiera, dei cortili, del vizio, della vita "verace" delle giovani delle classi popolari, all'inseguimento del divertimento, della ricchezza, della velocità, della bellezza ad ogni costo, o così almeno sembra a Dorigo, risucchiato in un mondo altro, finalmente al centro del suo personale campo di battaglia, sofferente, ingannato, coglione, sensibile in ogni sua piega e parte.
Dino Buzzati, Un amore, Arnoldo Mondadori Editore, I edizione 1963.
In inglese: Dino Buzzati, A love affair, Farrar, Straus & Co., NYC, 1964.
Nel 1965 Gianni Vernuccio ha tratto un film dal romanzo, non molto fortunato.