Carmela Cenicola ha un fratello, che si chiama Vincenzo; il fratello, il 30 Agosto del 2011 ha 26 anni, partecipa ad una lite, nata nel sottobosco criminale di Lucera, paesino del foggiano. Ci scappa il morto, Fabrizio Pignatelli, 26 anni pure lui. Poveracci che nascono male, vivono peggio e, spesso, muoiono malissimo. La vicenda è piuttosto confusa, quanto a dinamica e gravità; tanto che già in primo grado c’erano state 14 assoluzioni e 11 condanne (per vari reati che sempre emergono dalle indagini); ma nell’agosto del 2014, la Corte di Appello di Bari, oltre a confermare le 14 assoluzioni, ha riformato tutte le condanne, tranne una, proprio quella a carico di Vincenzo Canicola; tuttavia, da quattordici anni inflitti in primo grado, la pena è stata ridotta a otto anni e sei mesi; perchè ritenuto l’omicidio preterintenzionale (letteralmente “oltre l’intenzione”) e gli sono state riconosciute varie attenuanti. Egli, peraltro, aveva sempre affermato di aver sparato per difendersi, sicchè è stato quasi creduto.
Carmela Cenicola, durante un colloquio col fratello detenuto, si era espressa piuttosto vividamente nei confronti del magistrato inquirente (gli sparerei un colpo, più o meno): perchè, a suo dire, mosso da particolare accanimento (l’accusa era di omicidio premeditato, cioè non solo volontario, ma deliberato e programmaticamente eseguito; e la pena è l’ergastolo); detto fatto, il colloquio tra fratello e sorella diventa prova, processo per minacce; come si diceva, alla fine assolta pure lei, perchè non minaccia ma mero sbotto generico, quasi un modo di dire, nel contesto emotivo considerato. Un’ovvietà che è valsa a Carmela Canicola un triennio di processi.
Va bene, acqua passata, pensa; arrivano le elezioni regionali in Puglia, maggio 2015 e si candida: una lista collegata a SEL, che sostiene l’ex magistrato Michele Emiliano, candidato alla Presidenza della Regione; il particolare è irrilevante, e lo si riferisce per mera completezza. Il punto è che una cittadina della Repubblica si accingeva ad esercitare il suo diritto di elettorato passivo, diritto politico fondamentale. Problema. L’Italia non è più una Repubblica democratica. E, da ogni dove, zampilla una sua certa vena carsica, servile e prona, quant’è bigotta e incivile.
E ormai non è nemmeno rilevante il dato formale giudiziario; l’unica volontà rilevante è ‘lo sfondo’, il fatto di essere stati coinvolti dall’accusa di un Pubblico Ministero; una volta che questo è accaduto, avete voglia a difendervi “nel processo e non dal processo”, ad essere assolti; sarete “a disposizione”, per tutta la vita. Siete contaminati.
Qualcuno, immagino, in questa palude di sottomessi che è la prevalente pubblica opinione, potrebbe, quasi con un ghigno di soddisfazione, osservare che sì, lei è a stata assolta, ma il fratello…Ancora peggio: perchè varrebbe non un processo proprio, assolutorio o condannatorio che sia, che a questo punto avrebbe pure potuto non esserci, ma un processo altrui; con l’implicita ma univoca indicazione dell’impurità che si estende per via di sangue, e che sarebbe emendabile (forse) solo col ripudio o versando il sangue infetto.
Infatti, intervenuto ad una qualche piazza televisiva, l’On. Gennaro Migliore, player di un marchio concorrente, ha mosso le sue accuse: Carmela Canicola, sorella di tanto fratello, non si deve candidare. La solita “Repubblica”, aveva già scritto il suo spot nel segno della contaminazione. Perciò, il Segretario regionale di SEL Puglia, tale Ciccio Ferrara, si è profuso in un saggio di genuflessa incultura politica e civile, che ci dà la misura del grado di affanno, soggezione e inadeguatezza politica di troppi organizzatori e rappresentanti della Sovranità Popolare. Sentiamo.
“Pur restando fermamente garantisti, nel caso di processi in corso, e tanto più dinanzi ad una sentenza di assoluzione, riconosciamo una nostra possibile disattenzione…”. Ma che dice, Ciccio Ferrara? Ma si sente quando parla? “Carmela Cenicola è estranea a qualsiasi vicenda giudiziaria e tuttavia per ragioni di opportunità non avrebbe dovuto far parte della nostra squadra”.
Opportunità. E’ stata assolta. Ma “la macchia”, la contaminazione, una volta subita, è eterna. Dietro questa parola vile e melliflua, “opportunità”, si cela l’ancor più vile e melliflua tradizione inquisitoria. Che non è mai stata, nella sua sostanza, solo una faccenda di ceppi: è stata un potere sulle persone, semmai effettivamente libero da ogni controllabile presupposto e da ogni onere di esibirsi necessariamente con durezza. E’ anzi al suo apogeo, l’Inquisizione, quando non deve dimostrare nulla, quando è prevalente su tutto e su tutti il suo indice puntato, il suo imperscrutabile e insuperabile sospetto.
L’Inquisizione sa di essere costituita quando il suo primo sguardo è l’unico vere dictum. Quando le assoluzioni sono interpretabili e, se troppo insistentemente ribadite, incriminabili come complici del Male. Quando i comportamenti, pubblici e privati, non guardano all’ultimo atto della serie, la sentenza che assolve; ma al primo, l’unico realmente rilevante, la “comunicazione” che accusa. E che autorizza e sostiene il connesso lenocinio della gogna, un giro con il collo e i polsi dentro la morsa per le vie principali, con invito-dovere per le folle al dileggio, all’insulto e alle percosse; oppure, come usa oggi, un giro sulle prime pagine dei giornali, i tutori della nostra libertà. Ed infine, l’Inquisizione è costituita quando la sua regola, la soggezione al suo potere arbitrario funzionano come un automatismo: per cui basta richiamare le due o tre formulette di rito, e avanti il prossimo.
Correlativo a questo potere violento per com’è fariseo, imbiancato di lurido candore, v’è l’autodafè: “Ritiro pertanto la mia candidatura. Chiedo scusa per tale gesto ai miei compagni di lavoro, a quelli che hanno riposto fiducia in me e che si sono tanto adoperati per propormi”.
Nel processo e non dal processo. Cialtroni.