Partiamo dall'inizio. Si percorre un chilometro netto sul decumano, all'incrocio con il cardo si svolta a sinistra ed ecco Palazzo Italia. Le vie, ricordiamolo, riprendono i nomi della disposizione viaria romana, il decumano nella direzione ovest-est e il cardo nord-sud. Affianco, ma più a nord il simbolo di Expo: l'albero della vita.
L'Italia non è solo Palazzo Italia. Me la ritrovo spesso "addosso" sotto forma di due grandi sedie fintamente impagliate di spaghetti. Me la ricorda una Madonna, lassù, altissima, come a controllare che tutto vada bene. Me la ricordano Carabinieri e Polizia, insieme in mirabile armonia, e menù che strizzano l'occhio alla gastronomia italiana, seppur italiani non solo. Come quel gelato alla vodka, dispensato al padiglione Bielorussia, dal quale mi allontano non appena letti gli ingredienti: ne va del mio lavoro.
Ma veniamo al nostro padiglione. L'attesa, ci dicono, è di circa quindici minuti. In tutto, compresa la visita, mezzora. Alla fine ci vuole quasi un'ora, la fila è lunga e non posso non soffermarmi su certe situazioni. Dal punto di vista architettonico molto si è detto:
l'edificio bianco e luminoso è una mescolanza di cemento e vetro disposti con grande leggerezza, progettato da Michele De Lucchi. Per un momento, illusorio e troppo precipitoso, ho avuto la sensazione di essere a Potsdamer Platz, la famosa piazza di Berlino. È stato un attimo; il tempo di ricordare che anche quella fu disegnata da un italiano, Renzo Piano. Sensibilità italica? Può darsi, ma il giudizio resta comunque frettoloso.
Sotto il padiglione si possono vedere tre video che proiettano le immagini di tre mercati nelle piazze di Roma, Venezia e Palermo. Convivenza tra modernità e tradizione.
Saliti tramite una scala si giunge ad una sala introdotta dalla scritta “La potenza del saper fare”: Venti personaggi dell’eccellenza italiana, suddivisi per regione, raccontano la loro storia e le ragioni del loro successo. Poi si entra nella stanza del caos. La scritta questa volta è “Crescita senza regole”. Non voglio svelare troppo di quanto si prova in quella stanza, diciamo solo che rimane più un fatto simbolico. Usciti, ventuno schermi riportano le immagini di tremendi disastri ambientali che hanno colpito le regioni italiane anche per colpa della negligenza e dell’irresponsabilità degli uomini. Poi ecco “La potenza della bellezza”: giochi di specchi riflettono ovunque – sotto i piedi, sopra la testa, di fianco – immagini della bellezza italica: paesaggi, opere d’arte, chiese. È il tuttotondo della bellezza che avvolge quotidianamente chi vive in Italia.
Si prosegue con la Vucciria di Guttuso che ci aspetta alla fine di un corridoio prima di immergerci nella sala delle invenzioni in cui ogni regione propone una sua risposta ai problemi posti dal tema di Expo: nutrire il pianeta, energia per la vita. E qui viene fuori tutta la genialità italica. È, a mio avviso, il momento più accattivante del percorso. Semplicità e genio si uniscono, caratterizzando la nostra identità: una creatività unica intrisa di pragmatismo. Ecco, allora, il pecorino a impatto zero firmato Calabria, i funghi dai fondi del caffè, dalla Basilicata, il filo d’arancia dalla Sicilia (tessuti ricavati dalla buccia d'arancia), i fichi dei miracoli pugliesi, con le loro proprietà ancora da studiare e sviluppare, e poi lo zafferano curativo abruzzese ed ancora i pomodori su Marte, nuovi sviluppi della coltivazione laziale nello spazio o nel profondo del mare, come il basilico dell’orto di Nemo ligure. Dal Piemonte un sistema per scindere facilmente dall’acqua sostanze inquinanti e radioattive.
Tra le altre cosa da segnalare la stanza #WorldWithoutItaly che racconta che mondo sarebbe senza l’Italia. Un Mar Mediterraneo come un grande lago, non più tagliato in due dall'Italia, è raffigurato in un plastico. Video installazioni raccontano attraverso le parole di architetti, chef, studenti non italiani quanto la cultura italiana sia presente nel loro mestiere e nella loro vita.
E altro ancora che non sveliamo. Chiediamo qualche impressione a chi ha appena visitato il padiglione, soprattutto agli stranieri. Il giudizio è positivo e all’altezza della aspettative. Lo definiscono creativo, innovativo, emozionante, luminoso, un insieme grandioso, seppur molto autoreferenziale.
Il giudizio, tuttavia, non è definitivo. Va comparato con gli altri padiglioni, che non mancherò di visitare alla prossima occasione. Siamo al viaggio numero uno dentro Expo 2015, ne seguiranno altri.
Ad un primo sguardo, tra apocalittici e integrati di Expo, molto dipende dal tipo di utilizzo che si vuole farne. L'Expo sembra valido per divertirsi, svagarsi, imparare qualcosa di nuovo, meno per dare risposte al tema della sostenibilità alimentare al centro di questa edizione.
Più che un Lunapark mi sembra un Terrapark, parco terreste con in mostra desideri, vizi e pregi degli esseri umani contemporanei.