Sabato pomeriggio il presidente americano Barack Obama e l'House representaive ed eroe dei diritti civili, John Lewis (Democratico della Georgia) hanno parlato davanti alla folla riunitasi a Selma (Alabama) per commemorare il 50° anniversario del Bloody Sunday, una protesta del movimento per diritti civili in favore del diritto di voto. Cinquant'anni fa quella protesta, trasmessa dalle reti TV, mostrò al Paese il brutale pestaggio di manifestanti non violenti da parte delle truppe dello Stato e contribuì a far passare lo storico Voting Rights Act del 1965.
Ma a giugno del 2013, la Corte Suprema ha annullato una parte fondamentale del Voting Rights Act che impediva a stati in ripetuta violazione delle norme e a giurisdizioni con una storia di discriminazioni di cambiare le regole di voto senza autorizzazione federale. Ciò che seguì fu tragico. Alcuni stati si affrettarono a passare nuove restrizioni al voto, creando nuove leggi sull'identificazione degli elettori, riducendo gli orari di apertura dei seggi, cambiando i criteri di accesso alle liste elettorali ed eliminando la possibilità di registrarsi ai seggi.

Il pestaggio durante la marcia a Selma, il 7 marzo 1965
Nel suo discorso di sabato il presidente Obama ha fatto riferimento alla questione, dicendo: "In questo momento, nel 2015, 50 anni dopo Selma, ci sono leggi in tutto il paese progettate per rendere più difficile per la gente andare a votare " e "Cento membri del Congresso sono venuti qui oggi per onorare persone che erano disposte a morire per i diritti difesi dal Voting Rights Act. Se vogliamo onorare questo giorno, che questi cento tornino a Washington e si uniscano ad altri cento e, insieme, si impegnino perché ripristinare quella legge quest'anno diventi la loro missione".
Il presidente ha anche ricordato i progressi fatti: "Se pensate che nulla sia cambiato negli ultimi 50 anni, chiedete a qualcuno che ha vissuto la Selma, la Chicago o la Los Angeles degli anni Cinquanta". Per ironia, l'intero discorso è stato pronunciato davanti all'Edmund Pettus Bridge, luogo cruciale della marcia del Bloody Sunday, che porta tuttavia il nome di un leader del Ku Klux Klan. Va detto che è in corso una petizione per cambiare il nome del ponte.
Nel discorso del presidente ci sono state alcune mancanze piuttosto evidenti. Obama ha auspicato una maggiore partecipazione al voto, una più equa distribuzione delle condanne e carceri meno affollate, oltre a fare appello ad una rinnovata lotta per il diritto di voto. Ma non ha specificato che ci sono 5.85 milioni di cittadini americani, mappati dall'ACLU (American Civil Liberties Union), banditi dal voto per precedenti penali.
Ha anche lamentato la morte prematura di uomini di colore, ma solo un giorno prima, un altro adolescente nero disarmato, Anthony Robinson, era stato ucciso dalla polizia a Madison, nel Wisconsin, scatenando proteste. Il presidente ha preferito non attribuire la colpa di queste morti a soggetti specifici. Ha invece auspicato un miglioramento delle relazioni tra i dipartimenti di polizia e le comunità locali. "I cittadini di Ferguson, New York e Cleveland – ha detto – vogliono semplicemente la stessa cosa per cui 50 anni fa giovani cittadini marciarono in questo luogo, la protezione della legge". Ma, con proteste in tutto il paese contro la violenza della polizia, sarebbe stato più corretto dire che questi cittadini cercano protezione dalla legge.
Nonostante una retorica appassionata e potente, il presidente ha evitato di ricordare le politiche fallimentari che affliggono le minoranze nere e non solo, né ha dato atto del pregiudizio razziale e del ruolo che questo ha nelle più eclatanti disparità razziali della nazione. Obama non ha fatto cenno alle analisi pubblicate il 3 marzo dal Bureau of Justice Statistics secondo cui oltre la metà del totale dei decessi dovuti a scontri a fuoco con la polizia non viene conteggiato dall'FBI i cui numeri hanno tuttavia fortemente influenzato la copertura mediatica seguita alla morte di Michael Brown che diede inizio alle proteste di Ferguson, la scorsa estate.
Obama ha parlato del rapporto pubblicato il 4 marzo dal Dipartimento di Giustizia che ha portato alle dimissioni di due agenti del Dipartimento di Polizia di Ferguson e al licenziamento di un impiegato del tribunale. A proposito di Ferguson, dove il 67,4 per cento della popolazione è afro-americana, il rapporto dice che: "C'è una maggiore probabilità che un afro-americano sarà sottoposto ad un trattamento più duro […] L'85% dei veicoli fermati dall'FPD [Ferguson Police Department] appartiene ad afroamericani, il 90% delle citazioni dell'FPD è rivolto ad afro-americani, e il 92% del totale delle ingiunzioni è a carico di afro-americani. I dati disponibili mostrano che tra chi è sottoposto alle azioni più severe regolarmente imposte da questo sistema – reali arresti per particolari ingiunzioni municipali – il 96% è rappresentato da afro-americani". Secondo lo stesso rapporto i cittadini afro-americani hanno il doppio delle probabilità di essere perquisiti durante un fermo stradale ma hanno meno probabilità di essere trovati i possesso di materiale illegale, ma ciò nonostante l'88 per cento dei casi di uso della forza si è verificato nei confronti di afro-americani.
Il presidente si è spinto fino a dire che il rapporto evoca la "mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini che diedero vita al movimento per i diritti civili". Ma nel confrontare la Ferguson di oggi con la Selma di 50 anni fa, il presidente ha detto che le pratiche discriminatorie non sono "più sancite per legge o per prassi". Ma in ogni fase del processo che porta un cittadino al carcere, gli afro-americani hanno più probabilità di essere: fermati dalla polizia, perquisiti, portati in centrale, multati e sanzionati, condannati, e, infine, incarcerati. A causa di pregiudizi razziali in un sistema di polizia orientato al profitto (in molte città i poliziotti prendono provvigioni sugli arresti), i pubblici ministeri spesso trattano gli imputati neri più duramente, le giurie sono più propense a condannarli e la polizia è più propensa a prenderli di mira. Nonostante le osservazioni attentamente pronunciate dal presidente, è questa la prassi negli Stati Uniti.
Un problema che non è mai risultato tanto evidente quanto a New York lo scorso gennaio, durante il programmato calo degli arresti da parte dell'NYPD come protesta contro de Blasio: la Patrolmen’s Benevolent Association, uno dei maggiori sindacati di polizia, ha esortato gli ufficiali a non effettuare arresti a meno che "assolutamente necessari". Gli arresti diminuirono del 66 per cento, portando molti newyorchesi a chiedersi se la polizia di New York non stesse in ogni caso facendo arresti inutili e chi ne fossero le vittime.
Proprio di recente, il capo della polizia di New York, Bill Bratton ha auspicato un aumento di pena per la resistenza all'arresto, portandolo da violazione a reato. Si tratta di un capo d'accusa spesso criticato per essere stato utilizzato come pretesto per un eccessivo uso della forza. E nonostante John Lewis e Barack Obama esortino a una protesta pacifica, coloro che furono pestati a Selma anni fa, stavano, di fatto, resistendo all'arresto.
Prima dell'abolizione del Jim Crow (le leggi sulla segregazione razziale negli USA), gli afro-americani venivano esplicitamente discriminati, ma oggi la discriminazione è più nascosta. Un dibattito su come progredire dovrebbe quindi concentrarsi sull'individuazione di politiche deboli e sulla loro modifica. Il Dipartimento di Giustizia lo sa, ed è per questo che si sta muovendo verso riforme come l'obbligo per i poliziotti di indossare telecamere e il divieto di confisca degli effetti personali delle persone fermate da parte degli agenti.
E tuttavia anche questi provvedimenti sono stati ritenuti inefficaci. Se è vero che le telecamere in genere risultano in una riduzione sia dei casi di uso della forza sia delle denunce contro gli agenti, alcuni poliziotti sono già stati sorpresi a spegnere le telecamere un attimo prima di esercitare un uso eccessivo della forza.
Barack Obama non ha nessuna intenzione di entrare nello specifico di prassi e politiche che risultano nel perdurare delle discriminazioni razziali negli Stati Uniti e nel suo discorso ha scelto con cautela temi e termini.
Non ha espresso alcuna condanna delle più brutali azioni da parte delle forze dell'ordine al giorno d'oggi, ma non ha esitato a parlare delle brutalità del Bloody Sunday di 50 anni fa. Per qualsiasi presidente, di qualsiasi razza, risulta di gran lunga più efficace politicamente enfatizzare e schierarsi nelle questioni del passato, che concentrarsi su quelle odierne e in particolare su quelle sfumature nelle politiche che consentono disparità razziali collettive in tutto il paese. Per il presidente, è meglio schierarsi con una buona storia che con un presente controverso.
*Alexander Rubinstein è un attivista politico, impegnato nei movimenti contro la brutalità della polizia e per la giustizia civile. E' anche giornalista freelance.
Traduzione dall'originale inglese di: Maurita Cardone.