La sostanza del mio commento al precedente articolo di Giulio Ambrosetti era che i Siciliani, prima di sferrare bastonate su tutti e su tutto (talora con eccellenti ragioni, magari a partire dall'invasione dei Piemontesi e dalla tassa sul macinato) dovrebbero farsi l'esame di coscienza per vedere se una buona parte dei loro mali non siano dovuti a causa propria. Se scorriamo l'elenco dei Presidenti della Regione ci si rizzano i capelli solo a leggere i nomi, prima ancora di approfondire le conoscenze sulle loro malefatte. Per citare la più folcloristica, il proconsole andreottiano Salvo Lima (la cui fine è nota) fu il sindaco di Palermo che consentì il sacco della città ad opera di Vito Ciancimino, poi sindaco a sua volta. Ora, questo dico: la Sicilia è uno dei posti più belli al mondo, un'area dove si concentra in maniera avvincente più storia di quasi ogni altra parte del pianeta. Ritengo i Siciliani un grande popolo, del passato come del presente – eredi di molteplici culture, culla dell'Europa fin dai tempi della Magna Grecia. Tuttavia la democrazia – strumento imperfetto, ma di meglio non ci è dato – prevede che sia la maggioranza dei cittadini ad eleggere i propri rappresentanti politici. A farne le spese, purtroppo, sarà la minoranza di persone oneste e consapevoli. Se la maggioranza ha inviato al governo della Regione e di alcune città dei malfattori che hanno depredato il territorio, le finanze e le istituzioni, i Siciliani non possono prendersela con Angela Merkel o con Graziano Del Rio. O forse sì, ma non prima di essersi raccontati i propri peccati a capo chino. Voglio dire che fatti e numeri assumeranno il valore comunque relativo che hanno solo se si descrive appropriatamente il contesto. Come dovrebbe fare ogni buon giornalista, anche se è un lavoro gravoso, inglorioso e persino frustrante, al contrario delle randellate che sferra il populista.
Se la Sicilia non fosse stata derubata fino all'osso da questi delinquenti, se fossero state attuate politiche regionali di probità economica e finanziaria, se la coscienza e l'ethos collettivi, la sicilitudine se vogliamo, non fossero stati brutalmente mortificati – fin da molto prima della nascita dell'euro – non si troverebbe di sicuro nelle presenti, tristi condizioni. E l'economista Massimo Costa non avrebbe potuto esporre le sue nefaste e scriteriate previsioni sul fallimento della Sicilia e sui conseguenti moti e disordini popolari. Una riedizione dei Vespri Siciliani, questa volta non contro i francesi angioini ma contro i tedeschi di Angela Merkel e della Bundesbank. Con il rischio di farsi alla fine governare da qualcosa di borbonico.
Ambrosetti se la prende (e giustamente) con quanto ci costano i parlamentari Italiani e di Bruxelles. Però, siccome stiamo parlando della Sicilia, dovrebbe, sia pure con dolore, menzionare quanto sono costati e costano alla regione, sia in quantità che in qualità, i suoi dipendenti. Quanto sono costati e costano alle amministrazioni di Palermo e di altre città. Mentre, pure forse con le sue ottime ragioni, Ambrosetti urla per lo scippo dei fondi, ci racconti come la regione Sicilia ha impiegato in tutti questi anni i fondi europei che pure aveva a disposizione. Oppure come e in quali servizi ha speso le tasse che ha incassato come regione autonoma. La Sicilia possiede un patrimonio artistico e culturale quasi senza pari, eppure non ha sviluppato, come avrebbe potuto, un turismo responsabile e compatibile con l'ambiente. Solo negli Stati Uniti ci sono 18 milioni di persone con una parte di sangue siciliano nelle vene, potenziali visitatori. I suoi vini e i suoi oli straordinari, come altri prodotti del suolo, andrebbero aiutati e resi noti ovunque e la loro produzione incoraggiata. La Sicilia è un territorio ricco, anche dal punto di vista umano, se non è un luogo di prosperità economica e di creatività umana e culturale, è discutibile darne la colpa alla Germania.
Veniamo all'euro e all'Unione Europea. Ambrosetti scrive che non ha attaccato l'Unione Europea, ma l'Unione Europea dell'euro. A me pare una distinzione tanto sofisticata da sfiorare il sofisma. Se fallisse l'euro, cadrebbe inevitabilmente l'intero progetto dell'unità europea. Ora, Ambrosetti ritiene che l'euro sia stata una sciagura, anzi una truffa. Forse non lo diceva prima della crisi del 2008, ma è caratteristica dei populisti, quando le cose vanno male, di sparare all'istante contro qualsiasi cosa si muova. Intanto, l'euro è una parte importante del progetto di costruzione dell'Europa unita. Le difficoltà nella realizzazione del quale sono ben presenti nella mente di tutte le persone responsabili, con i talora feroci e ottusi nazionalismi radicati in secoli di guerre e conflitti in primo piano. Agli Stati Uniti, pur con un modello diverso e con un inconscio culturale forse meno tenace, sono occorsi decenni e una guerra civile. Sappiamo bene che il maggior problema dell'euro è che la Banca Europea non ha uno Stato alle spalle, per cui le viene impedita la flessibilità di azione che ha, per esempio, la Fed. Chi ama l'idea dell'Unione Europea e fa il tifo perché si realizzi, non può che augurarsi che nel tempo gli egoismi e le cecità nazionali si affievoliscano – anche grazie alla spinta delle necessità contingenti – e consentano la creazione di una politica economica e finanziaria totalmente condivisa (assieme alla politica estera, all'organizzazione militare e, forse, anche al sistema educativo). Ma non ci sono, mai, garanzie per nessun futuro. Ambrosetti spera (forse) in una Sicilia indipendente, io spero in un'Europa che unisca politicamente la molteplicità delle culture e ne conservi la diversità. La creazione dell'euro, accompagnata e corrotta, lo sappiamo, dagli interessi nazionali e dalla stupidità (del governo Berlusconi, per esempio) nella sua gestione iniziale è stato tuttavia un grande passo del processo unitario. L'unione monetaria ha portato benefici e semplificazioni nel sistema, ha facilitato gli scambi interni e internazionali. Ha avuto un'importanza quasi incommensurabile dal punto di vista della psicologia collettiva, del senso di appartenenza alla nuova comunità europea. E' evidente, che quando i cicli diventano negativi e i problemi rischiano la putrefazione, salgono alla ribalta i populisti e vanno allo sbaraglio, inconsapevolmente segandosi il ramo dove, imprecando, stanno seduti. Ambrosetti scrive che sono "almeno" dieci (sono nove) i paesi che non aderiscono all'euro (e che "stanno benissimo"). Avrebbe potuto elencarli. La Gran Bretagna è un caso particolare, i britannici sono insulari e hanno forti legami culturali ed economici con gli USA. I paesi scandinavi sono anche un caso particolare, la Norvegia (popolazione circa 5 milioni, come la Sicilia, con un territorio molto più vasto) ha avuto la fortuna del petrolio ed ha amministrato il ricavato in modo saggio. In Danimarca e in Svezia i referendum hanno dato esito negativo, ma le due nazioni si sono riservate di indirne successivamente – non nel vortice e nell'incertezza della crisi, come è ovvio. La moneta di altri paesi europei è legata all'euro, altri ancora sono in lista di attesa. La Lituania è appena entrata, pur nel cuore della tempesta. Saranno scemi i Lituani, avrebbero dovuto informarsi presso il professore millenarista Massimo Costa e presso Ambrosetti. Anche il greco Alexis Tsipras, nonostante i suoi periodici fuoco e fiamme, ha dichiarato che non intende uscire dall'euro. Infine, non si tratta soltanto di unione monetaria. Occorre considerare la complessità e l'interezza del progetto.
Ambrosetti non si esime dal citare Keynes. Ormai lo citano pure Grillo e Salvini, fra un po' lo citeranno anche le proverbiali casalinghe di Voghera quando vanno a far la spesa. "Il debito pubblico, in termini keynesiani, non significa nulla" ci rivela Ambrosetti, citando anche il Giappone. Io non so se Keynes sottoscriverebbe, da vivo, una sentenza del genere in questo contesto (o, forse, le sue stesse teorie economiche). Non so di economia, tuttavia, a occhio e tenendo i piedi ancorati al suolo, direi che il debito, privato e pubblico, conta sempre. Il Giappone "batte moneta e va avanti". Va avanti, infatti, con molti gravi e riconosciuti problemi, tanto è vero che il premier Abe si è fatto eleggere promettendo le riforme di cui il paese ha estremo bisogno per non affondare nella stagnazione e nel grigiore economico e sociale. Non ci è riuscito, se non in minima parte, per l'opposizione delle gerontocrazie politiche che difendono lo status quo e la sclerosi economica, per cui ha indetto nuove elezioni (vinte) promettendo ulteriori, più ardue riforme, politicamente impopolari. I singoli paesi non possono battere moneta, comunque la BCE, propri ieri, e con i troppi e dolorosi vincoli su cui si può tristemente concordare, lo ha finalmente fatto. Probabilmente in ritardo e senza gli effetti provvidenziali del QE effettuato dalla Fed già nel 2008. Poi, a ciascuno la scelta tra speranza o disfattismo. Ora, battere moneta è un'operazione che può essere utile e persino necessaria in determinate contingenze. Ma se la si usa senza razionalizzare e porre limiti alla spesa, senza riformare i modi in cui si spende il danaro in entrata, sarà la rovina, per gli stati come per le famiglie.
Scrive Ambrosetti : "La Germania – Paese che in Europa ha spesso portato morte e disperazione… che non avrebbe mai dovuto riunificarsi". E altre considerazioni simili in questo e nel precedente articolo. Questa è la clava populista che Ambrosetti brandisce con la bava alla bocca. Fatti e verità, anche, ma menzionati per colpire alla cieca, senza il dovuto contesto, non solo storico, ma anche temporale e spaziale. Intanto: il clima bellicoso anteriore alla Grande Guerra era condiviso in tutta Europa, anche se indubbiamente molto più intenso in Germania, purtroppo governata da un imbecille sociopatico come Guglielmo II. La Germania fu sconfitta, ma, successivamente, fu trattata dalle potenze vincitrici molto (ma molto) peggio di quanto qualcuno accusa la Germania attuale di aver trattato la Grecia (in un contesto totalmente diverso e non dopo una guerra devastante). In questa folle terapia punitiva stanno molte radici del nazismo, il quale, in ogni caso, prese a modello la creazione politica di un altro idiota, l'italiano Mussolini. Tutto ciò non sminuisce di un granello le tragedie, ma ci fa riflettere che quando parliamo delle cose e delle vicende della vita, individuale e comune, occorre anche guardare le cose dall'alto, in maniera da sfuggire alle trappole dei giudizi motivati dalle emozioni che si aggirano in basso tra i cespugli. Se i tedeschi, accusati in sostanza di essere guerrafondai e nazisti, nonostante Kant, Goethe e Beethoven, ragionassero con le stesse logiche arcaiche di Ambrosetti, direbbero che i Siciliani sono, nonostante la Magna Grecia, antropologicamente mafiosi (infatti, alcuni lo dicono). Quanto al fatto che la Germania non avrebbe dovuto unificarsi, la ritengo una bestialità. Come anche tutto il discorso sulla scristianizzazione dell'Europa. Se posso usare anch'io il randello, ritengo il cristianesimo una iattura e comunque preferirei che la religione non entrasse del tutto nel discorso politico.
"I veri responsabili del debito pubblico italiano sono due personaggi: Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi. Furono questi due signori – nel lontano 1981 – a attuare il ‘divorzio’ tra Banca d’Italia e Tesoro". So che i due sono considerati da molti economisti alternativi praticamente dei delinquenti. Non escluderei che, in parte, sia una comprensibile rivolta adolescenziale contro l'autorità costituita o una sorta di reazione puerile e parareligiosa che spera di trovare la radice di ogni male nella personificazione del Maligno. Non m'azzardo ad entrare nelle alchimie economiche, ma direi che il divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia non può essere stato la ragione per cui l'Italia si è trasformata dal Paese di Pangloss, dove bastava "battere moneta e avere un po' di inflazione" per essere felici (sembra di sentire Berlusconi), in una rovina postapocalittica. Il debito è stato creato di chi, nelle condizionate date e ben note, ha speso male i soldi dei contribuenti e non ha fatto le riforme che le nuove alleanze politiche avevano promesso. Da chi, mentre amministrava quei soldi, anziché porre rimedio alla slavina della corruzione precedente, creò il sistema parallelo di Tangentopoli. Aggiungo anche che lo spread non è un'invenzione dei mercati. Se io presto i soldi a chi ha debiti fino al collo e un'economia non robusta, voglio un interesse maggiore che mi compensi del rischio. Come dicono qui in America: "There is no free lunch".
Le vie della dialettica e del ragionamento umano sono curiose (incluse le mie). La conoscenza a posteriori di un evento ci consente una relativa chiarezza nel darne un giudizio (non, tuttavia, se abbiamo un'agenda), ma non di presumere che decisioni diverse o opposte avrebbero certamente prodotto risultati migliori, in particolare nel caso di una materia complessa come l'economia. Si esprime adorazione per la perduta sovranità finanziaria e per l'indipendenza da determinate costrizioni economiche e politiche, ritenendo che, in assenza di tali vincoli, il nostro mondo sarebbe automaticamente migliore. Non esiste azione umana, soprattutto se politica e collettiva, che non porti con sé, oltre a ogni sorta di vincoli, anche il suo carico di rifiuti da smaltire (proprio come il cibo) o che riesca a sfuggire all'agguato delle conseguenze non previste. Io non vedo un conflitto mortale tra il cosiddetto predominio dei mercati e le relativamente libere azioni economiche di singoli stati o di organismi certamente elefantiaci come la UE. Non considero la cosiddetta globalizzazione come un mostro, ma semplicemente una realtà inevitabile e, come ogni altro accadimento umano, un'opportunità. La liberalizzazione delle attività economiche e umane in generale non si trasforma ineluttabilmente nel Drago del Liberismo, è anch'essa un processo inevitabile – e un'ulteriore opportunità. Rifugiarsi nei sogni, nel mondo del possibile, nella pura reazione, nella redenzione tramite apocalisse, questo sì è letale. E non ci sono ricette infallibili, neppure in cucina.
Rimane da vedere cosa ne sarà dell'Unione Europea e dell'unione monetaria diciamo tra 20 anni. Io mi auguro che funzioni, sia pure con imperfezioni. Ma concludo questo lungo ragionamento dicendo che l'Europa, con tutti i problemi attuali è, a mio parere, ancora il posto migliore al mondo per viverci. E auguri alla Sicilia, la mia isola preferita, assieme alla Sardegna.
Enzo Pollono, Evergreen, Colorado
Ma l'Europa dei massoni ha fallito, i siciliani e altri popoli europei vogliono tornare a sognare la libertà
Il signor Pollono scrive e pontifica: ma lo fa dal Colorado, dove – supponiamo – vive bene. Noi, invece, viviamo in Italia, per la precisione in una delle regioni più povere del Belpaese: la Sicilia. C’è un po’ di differenza, no?
Chi scrive fa il mestiere di giornalista da trentacinque anni o giù di lì. Da Palermo. Lima e Ciancimino li ha conosciuti. Di presenza. Ne ha scritto, ovviamente male. Ma questo che c’entra con l’Italia di oggi? Che c’entra con i danni che l’euro sta provocando in alcuni Paesi europei? Che c’entra con la povertà che si va diffondendo in mezza Europa?
Che la Sicilia sia stata male amministrata non ci sono dubbi: lo scrivo e lo continuo a scrivere dai primi anni ’80. Anche se non tutto è da buttare, alla Regione come a Palermo (città dove chi scrive vive). Ma, ribadisco, che c’entra questo con l’euro?
Il signor Pollono paragona gli Stati Uniti – Paese dove il federalismo è una cosa seria – con l’Unione europea, che di federale non ha nulla. Al signor Pollono bisogna ricordare che il federalismo, negli Stati Uniti d’America, è partito dal basso. Mentre il Mec, poi la Comunità europea e quindi l’Unione europea e l’euro sono stati ‘confezionate’ dall’alto, seguendo gli interessi di ristrette cerchie, spesso massoniche, non le esigenza dei cittadini europei.
Al signor Pollono ricordo che non è un caso che nove Paesi dell’Unione europea non hanno aderito all’euro. Non lo hanno fatto perché i loro politici – che erano veri leader – sapevano in anticipo come sarebbe andata a finire. Anche in Italia i vari Andreotti e Craxi sapevano come sarebbe finita con l’euro: e infatti, con l’operazione Tangentopoli, ‘pilotata’ dalla Germania, li hanno eliminati. Con il probabile assenso della lobby ebraica statunitense e, in generale, internazionale: lobby ebraica che non ha mai ‘digerito’ la politica filo palestinese di Andreotti e Aldo Moro (che infatti è stato ammazzato) e che considerava Craxi – e non si sbagliava affatto – uno dei leader dell’Olp.
Egregio signor Pollono, lei paragona un Paese democratico – gli Stati Uniti – con un’Unione europea che non è affatto democratica. Se il Senato e il Congresso si mettono di traverso, il presidente degli Stati Uniti balla la samba. Non lo fanno governare. Nell’Unione europea dell’euro il Parlamento europeo non conta nulla. Solo da quest’anno dà una formale investitura al presidente della Commissione europea. Ma questo è avvenuto dopo che le massonerie finanziarie, prima delle elezioni, si sono assicurate che il Partito popolare e il Partito socialista europeo (due partiti-fantoccio, che rinnegano le proprie radici culturali e politiche) avrebbero governato assieme. La Commissione presieduta da Juncker aveva la maggioranza già prima delle elezioni. Altro che democrazia!
Lei vive in un Paese democratico e viene da noi in Sicilia a ‘spiegarci’ cos’è l’Unione europea e cos’è la Sicilia. Guardi – per sua scienza – che l’Europa uscita dal Congresso di Vienna celebrato tra il 1814 e il 1815, al cospetto dell’Europa dell’euro, era una realtà ‘democratica’. Oggi, in molti luoghi dell’eurozona, si sta molto peggio di allora. Si fa la fame. Metternich, rispetto ai massoni che governano la Bce, era un progressista…
Lei cita la ‘svolta’ di Mario Draghi, che inonderà di liquidità monetaria l’Eurozona. Ebbene, abbiamo la sensazione che non servirà a nulla. E non solo perché è un provvedimento tardivo, ma perché si tratta di un nuovo indebitamento che, per l’80 per cento, è stato posto sul groppone della Banche centrali di ogni Paese dell’Eurozona (che poi Banche centrali non sono più, perché non sono autonome, visto che prendono ordini dalla Bce, che è una banca privata!). Questa immissione di moneta sortirà qualche effetto all’inizio. Poi tutto tornerà come prima. Anzi, peggio di prima. Perché gli Stati si ritroveranno ulteriormente indebitati. E saranno obbligati dalla Germania – vera padrona della Bce – a massacrare famiglie e imprese. A queste condizioni la mossa di Draghi è una follia che peggiorerà la situazione.
Semmai, sarebbe servita un’immissione di liquidità costo zero, come avveniva in Italia prima del ‘divorzio’ tra Banca d’Italia e Tesoro (a proposito, su questo tema le consiglio un approfondimento con i libri del professore Nino Galloni).
Lei non ci crederà, ma in Europa, lungi dal pensare alla Grande Europa dei popoli che non c’è, in molte realtà – Catalogna, Scozia, Corsica, Sardegna, Veneto e, perché no?, anche in Sicilia – si sogna la libertà. La libertà che questa pessima Unione europea massonica ci ha tolto.
Sa perché succede questo? Perché all’Unione europea manca – e mancherà sempre – quello che lo storico Mosse chiamava “processo di nazionalizzazione delle masse”: ovvero le masse popolari che prendono coscienza dell’appartenenza a una storia, a una cultura, a una ‘nazione’ nel senso nobile del termine.
E con chi dovrebbero ‘nazionalizzarsi’ le masse italiane? Con la Germania che ci vuole sopraffare?
Giulio Ambrosetti, Palermo