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January 27, 2015
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Prima vennero, e ancora vengono, per gli ebrei

Valter VecelliobyValter Vecellio
Un'immagine del museo Yad Vashem a Gerusalemme

Un'immagine del museo Yad Vashem a Gerusalemme

Time: 5 mins read

 

Prima vennero…

Molti l’attribuiscono al drammaturgo tedesco Bertold Brecht. In realtà la poesia è di un teologo e pastore protestante, sempre tedesco, Martin Niemoller. Questi i versi:

“Quando i nazisti presero i comunisti,/io non dissi nulla/perché non ero comunista./Quando rinchiusero i socialdemocratici/io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./Quando presero i sindacalisti/io non dissi nulla/perché non ero sindacalista./Poi presero gli ebrei/e io non dissi nulla perché non ero ebreo./Poi vennero a prendere me./E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”.

Brecht poi modifica la parte iniziale della poesia: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano”; e prosegue con gli ebrei, gli omosessuali e i comunisti. Il finale è laconico: “Un giorno vennero a prendere me e non c’era nessuno a protestare”.

Manifesto con omissione

La poesia, nel corso degli anni diventa una sorta di “manifesto” che ognuno ha modificato a seconda delle occasioni; circolano molte varianti, che vedono citati di volta in volta gli ebrei, i cattolici, i malati incurabili…

Negli Stati Uniti la poesia comincia a circolare nei primi anni ’50. Da “manifesto” anti-nazista presto diventa un’invocazione di libertà. E qui, il primo paradosso, amaro paradosso: i primi versi parlano dei comunisti, e in quegli anni imperversa il maccartismo e la “paura dei rossi”; cosicché, prudentemente, quei versi sono omessi. La versione inscritta nel Monumento all'Olocausto del New England a Boston però parla di comunisti, ebrei, sindacalisti, cattolici.

Nell’agosto del 1989 il settimanale Time, commemora il cinquantesimo anniversario della Seconda guerra mondiale, e ne pubblica una variante: parla di comunisti, ebrei, cattolici, ma la maggior parte dei manifesti e dei poster in lingua inglese parla di socialisti, sindacalisti ed ebrei. La poesia influenza anche una canzone, Yellow Triangle, di Christy Moore. Nel 1991 la poesia viene trasformata in canzone dal duo scozzese Hue and Cry: “When they came for the Jews and the blacks, I turned away. When they came for the writers and the thinkers and the radicals and the protestors, I turned away. When they came for the gays, and the minorities, and the utopians, and the dancers, I turned away. And when they came for me, I turned around and around, and there was nobody left…”.

La poesia, negli Stati Uniti, viene poi utilizzata negli anni Sessanta, nel corso delle manifestazioni e delle iniziative a sostegno dei diritti civili e in opposizione alla Guerra in Vietnam.

Degli ebrei non ci si dimentica mai

Questa, in sintesi, la storia di una poesia che è diventata un più generale “manifesto” contro il razzismo, l’intolleranza, la violenza, il fanatismo e la stupidità, che quasi sempre si accoppiano. Un “manifesto” per ricordarci che gli orrori di un passato anche troppo vicino, se si smarrisce la memoria, possono diventare ancora un prossimo futuro, ed è già “presente”: che l’espressione “sporco ebreo” solo in Israele ha il significato di un ebreo che non si è lavato; e che storia e quotidiana cronaca ci dicono che, quando si tratta di orrore, razzismo, intolleranza, violenza, fanatismo e stupidità, si comincia con gli ebrei, o si finisce con gli ebrei; in ogni caso, degli ebrei non ci si dimentica mai.

Yad Vashem, Rita Rosani…

Non c’è volta, andato in Israele, che la mia guida, o l’amico che venuto ad accogliermi all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, che non mi abbia voluto portare al museo Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto. E’ il memoriale ufficiale di Israele delle vittime ebree dell’Olocausto, fondato nel 1953 in seguito alla Legge del memoriale, approvata dalla Knesset.

Visita opprimente, e per tante ragioni che si possono forse intuire: quelle montagne di effetti personali, quei nomi, quelle fotografie… ogni scarpa, ogni pettine, ogni bottone, una persona, uccisa, gasata, saponificata… migliaia, milioni. Consola un poco che vicino al museo vi sia un Giardino dei Giusti, dove sono onorati i Giusti tra le nazioni che, spesso a rischio della propria vita, hanno salvato Ebrei dallo sterminio; e consola, un poco, la piccola targa che ricorda i cittadini di Le Chambon-sur-Lignon, nell’Alta Loira francese; durante la guerra gli abitanti trasformano quella cittadina in rifugio per gli Ebrei in fuga dal nazismo, e in parte riscattano le infamità del complice governo di Vichy, con cui i francesi ancora oggi, dopo aver punito draconianamente alcuni capri espiatori, non hanno completamente fatto i conti.

E anche in Italia, patria di quella “brava gente” che sarebbero gli italiani: ma pur italiani sono i militi repubblichini di Salò, a guardia dei vagoni piombati dove gli ebrei, gli zingari, i “diversi” vengono mandati nei lager a morire. Susan Zuccotti, una storica italo-americana, anni fa ha scritto un libro importante: The Italians and the Holocaust: Persecution, Rescue and Survival. Tra le altre racconta la storia di una ragazza, Rita Rosani che anche in Italia pochi conoscono: nata a Trieste nel 1920, insegna nella scuola israelita della sua città fino al 1943. Quando i tedeschi occupano l’Italia, trova un nascondiglio per i genitori, due ebrei cecoslovacchi che vivono in Italia da anni. Entra poi nella Resistenza armata, e partecipa a numerose azioni nella zona di Verona. Il 17 settembre 1944 due partigiani che erano stati catturati e torturati vengono costretti a condurre un contingente di circa cinquecento soldati tedeschi e fascisti al loro nascondiglio. Il gruppo di Rita, formato da una quindicina di partigiani, tenta una disperata resistenza. Durante la ritirata Rita viene ferita, un fascista la trova e la finisce con un colpo di pistola. Una lapide nella sinagoga di Verona onora Rita Rosani; ce n’è un’altra nella scuola israelita di Trieste dove Rita ha insegnato. E’ l’unica partigiana in Italia di cui si sappia con certezza che sia caduta in combattimento, uccisa non da un tedesco, ma da un fascista italiano. Medaglia d’oro alla memoria.

Francia anti-semita

In queste ore un rapporto del ministero della Diaspora israeliano ci ricorda che la Francia oggi è "la nazione più pericolosa per gli ebrei". Il rapporto indica un aumento del 100 per cento di atti antisemiti nel paese. Inoltre, "l'antisemitismo islamico si sta rivelando, tra le forme di antisemitismo, quello guida nel mondo occidentale". Il rapporto prende in considerazione oltre la Francia, la Gran Bretagna, il Belgio, l'Olanda, la Germania, l'Australia, la Turchia, gli Stati Uniti, l'Argentina e i paesi dell'ex Unione Sovietica.

Chi salva una vita, salva il mondo intero

Dice il Talmud che “colui che salva una sola vita salva il mondo intero”. Più propriamente, “Per questa ragione l’uomo fu creato solo, per insegnarti che chiunque distrugge una singola anima di Israele, la Scrittura gli imputa (la colpa) come se avesse distrutto un mondo intero; e chiunque preserva una singola anima di Israele, la Scrittura gli scrive (il merito) come se avesse preservato un mondo intero”.

 

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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