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January 21, 2015
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Nello State of the Union Obama indica ai suoi il chiodo da battere

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 7 mins read

Il momento culminante del discorso sullo State of the Union di martedì sera, a nostro avviso, è stato quello in cui Barack Obama ha richiamato gli americani a riflettere sul proprio modello economico: "It’s now up to us to choose who we want to be over the next 15 years, and for decades to come. Will we accept an economy where only a few of us do spectacularly well? Or will we commit ourselves to an economy that generates rising incomes and chances for everyone who makes the effort?” ("Tocca a noi ora scegliere chi vogliamo essere nel corso dei prossimi 15 anni e per i decenni a venire. Accetteremo un'economia in cui soltanto a pochi di noi le cose vanno incredibilmente bene oppure ci impegneremo a creare un'economia che generi un aumento dei redditi e possibilità per tutti coloro che si impegnano?”).

I temi su cui si sarebbe concentrato il presidente erano stati rivelati in anticipo ed era stato anticipato anche che Obama avrebbe parlato ad un "muro di gomma", che il nuovo Congresso a maggioranza repubblicana non solo non lo avrebbe applaudito, ma mai avrebbe acconsentito alle nuove proposte della Casa Bianca su come dare una spinta economica alla classe media. Insomma una chiusura totale confermata dalle prime dichiarazioni rilasciate dal blocco repubblicano a seguito del discorso del presidente. E allora perché Obama ha concentrato il suo discorso su proposte che, per il resto della sua presidenza, hanno zero possibilità non solo di essere approvate ma di essere addirittura dibattute nelle commissioni del Congresso? Forse Obama è ormai solo un presidente dimezzato, un'anatra zoppa che starnazza proposte pur sapendo che non potrà mai più volare?

Noi crediamo che ci sia una precisa strategia politica nella proposta di Obama per il rilancio della Middle Class. Come avevamo scritto il giorno dopo la sconfitta delle elezioni di Midterm, che ricordiamo fu determinata dal record storico di astensionismo più che da un nuovo consenso per il GOP, Obama è adesso un presidente "liberato", che finalmente trova il coraggio di indicare al suo Partito democratico la strada per riconquistare il Congresso e mantenere la Casa Bianca. E se ne trova conferma nelle stesse parole del presidente che, in conclusione del suo discorso, ha sottolineato di non avere più campagne elettorali da vincere e di volersi (potersi) quindi concentrare sullo sforzo di rendere l'America più solida.

senatoObama aveva dalla sua le cifre che lo hanno fatto più di una volta sorridere con uno sguardo beffardo nei confronti dei repubblicani che continuavano ad ostinarsi nel non applaudirlo: 11 milioni di nuovi posti di lavoro creati in cinque anni. E col nuovo programma per la copertura sanitaria, ecco spuntare anche 10 milioni di assicurati in più!

I temi scelti da Obama durante il discorso riguardano la classe media anche quando sembrano rivolti alle fasce più povere della popolazione. Molto si era parlato, ancora prima di martedì, della proposta di Obama per creare un programma gratuito per i Community College (college che offrono programmi per i primi due anni di università con un processo di ammissione meno selettivo di quello dei college privati) per gli studenti che altrimenti non penserebbero mai di accedere ad un livello d'istruzione più alto. Questa proposta apparentemente "rivoluzionaria" e che scandalizza molti conservatori in America, non è affatto una novità nella storia degli Stati Uniti. Basterebbe ricordare come un "peso massimo" delle amministrazioni Bush, il generale Colin Powell, il quale arrivò anche a coprire la carica di segretario di Stato di George W.  (finendo per "mentire" al Consiglio di sicurezza dell'ONU sulle armi di Saddam), si laureò dal City College di Harlem. Oggi quel City College si paga, come tutte le  università della CUNY, ma quando Powell lo frequentò, mezzo secolo fa, era gratis!

Questa e le altre proposte di Obama per rinforzare la classe media si basano su un presupposto che, se per i Repubblicani è quanto di più anti-americano si possa concepire, per il presidente era e resta una “conditio sine qua non”: l'aumento della tassazione sui redditi più alti, con particolare attenzione, ha ribadito Ombama martedì sera, ai redditi da investimento. È da lì che Obama vuole attingere per generare le entrare necessarie a finanziare misure di supporto alla classe media, nella convinzione che aiutare la middle class significhi rendere più forte l'intero paese.

E ancora, quando Obama parla dell'aumento del salario minimo, con quella battuta efficace ai repubblicani che lo ascoltavano senza applaudirlo: "Provate voi a mandare avanti una famiglia con 15.000 dollari l’anno. E, se non ci riuscite, votate questa legge”. Eppure, come ha scritto anche il New York Times, un compenso che sia in linea col costo della vita e che di riflesso possa produrre anche un aumentato potere d'acquisto nella middle class non può essere i 9 dollari l'ora che propone Obama (adesso il salario minimo è ancora fermo a 7,25). Obama dovrebbe non essere "prudente", e cercare di puntare a $14, anche $15 l'ora, e dirlo apertamente. Poi se i repubblicani voteranno per $12 o magari $13, almeno avranno aiutato quei lavoratori che in questo momento non possono crescere una famiglia pur lavorando oltre dieci ora al giorno.

Tra le priorità in cima alla lista di Obama c'è anche il climate change. E Obama ha espresso nel suo discorso la sua preoccupazione, elogiando gli scienziati che stanno cercando di svegliare il mondo. Ma qui ci viene da fare una critica al presidente: su questo tema alle belle parole e alla sua retorica Obama non ha fatto sempre corrispondere i fatti. A parte i livelli di estrazione di petrolio e carbone aumentati negli Stati Uniti, l'attenzione dell'opinione pubblica americana su questo punto poteva essere maggiore soprattutto lo scorso settembre, ma fu proprio Obama a impedirlo. Alle Nazioni Unite si era preparata una mega conferenza sul clima con i leader mondiali che avrebbe potuto scuotere (almeno un po') l'opinione pubblica. Il week-end prima c'era stata anche una grande manifestazione con trecento mila persone sulla Broadway di New York. Ma poi Barack Obama inizia i bombardamenti contro l'ISIS in Siria proprio la sera prima di quella conferenza al Palazzo di Vetro, oscurandola del tutto dall'attenzione dei media. Forse l'ISIS avrebbe invaso Israele e l'Egitto se l'attacco USA fosse iniziato un paio di giorni più tardi? 

Per rimanere alla politica estera: Obama ha parlato della guerra all'ISIS e del bisogno del Congresso di autorizzare formalmente la Casa Bianca a condurla con tutte le risorse necessarie. Avremmo voluto da Obama, anche in questa occasione, un accenno alle cause di questa "minaccia terroristica", come quando accusò, sempre all'Assemblea generale dell'ONU lo scorso settembre, l'Arabia Saudita (senza nominarla),  quando puntò il dito contro chi sovvenziona nel mondo le scuole di estremismo islamico… 

E non sono mancati accenni alla Russia, a Cuba, all'Iran. Anche qui Obama si assume il successo del "contenimento" o del "cambiamento" della politica USA. E ha ragione quando dice che nuove sanzioni contro l'Iran, toglierebbero ogni speranza alla sua diplomazia di continuare nel lavoro di trovare un accordo sul nucleare che, se raggiunto, proteggerebbe anche Israele (e mentre queste parole venivano pronunciate, i tamburi di guerra tra Gerusalemme e Theran continuavano a sentirsi, dopo la morte di un generale iraniano in Siria dopo un bombardamento israeliano…). 

Non poteva mancare un accenno alla questione che più di ogni altra negli ultimi mesi ha acceso l'America con proteste e tensioni: le discriminazioni e il diverso atteggiamento usato da parte delle forze dell'ordine nei confronti dei cittadini afro americani e che è in più di un'occasione sfociato in tragedia. Ci sembra che il presidente abbia messo il dito nella giusta piaga, quella del sistema giudiziario (come tra l'altro aveva fatto notare un nostro commentatore su queste pagine): "Surely we can agree it’s a good thing that for the first time in 40 years, the crime rate and the incarceration rate have come down together, and use that as a starting point for Democrats and Republicans, community leaders and law enforcement, to reform America’s criminal justice system so that it protects and serves us all." ("Sicuramente possiamo essere d'accordo che sia una buona cosa che per la prima volta in 40 anni il tasso di criminalità e il tasso di carcerazione sono scesi contemporaneamente, e utilizzarlo come punto di partenza per democratici, repubblicani, leader di comunità e forze dell'ordine, per riformare il sistema di giustizia penale americano in modo che protegge e serva noi tutti").

"Rebekha e Ben, voi siete la ragione per cui mi sono candidato…" aveva detto all'inizio del discorso Obama a una coppia seduta accanto a Michelle, ricordando come con tenacia questi due giovani, con due figli, siano riusciti a superare la crisi economica. Alla fine, pur con le mancanze e certi silenzi, il discorso di Obama ci ha soddisfatti per la sua forza nel ribadire che il benessere della democrazia americana si fonda sul benessere della sua classe media, che invece resta tuttora schiacciata, nonostante le cifre positive dell'andamento dell'economia, nel pessimismo dell'americano medio che ha ormai la sensazione che anche i suoi figli non avranno opportunità. Obama ha indicato il chiodo dove battere il martello di chi vorrà conquistare la Casa Bianca nel 2016. Hillary o chi cercherà di sottrarle la nomination, sono avvertiti.

 

Guarda il video e leggi il discorso completo del presidente Obama (in inglese).

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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