Dalla Turchia dove si trova in visita ufficiale, il Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi venerdì si è reso protagonista della solita, noiosissima strimpellata in favore delle “riforme”. Ha sollecitato i politici ad “avere il coraggio” di attuarle queste ‘riforme’, è ripiombato nell’ovvietà quando ha detto che “le cose da sole non si cambiano”, ci vogliono le persone per cambiarle… Ha riaffermato l’esigenza di un fisco snello, semplificato, e qui siamo d’accordo, ma non verrà mai il giorno in cui agli italiani verrà fatta fare la conoscenza del fisco “snello e semplificato”. Ha tuonato: “Declino senza cambiamento”.
Gli era giunta notizia dell’inizio e dello sviluppo dello sciopero generale indetto sempre venerdì dai sindacati guidati dalla CGIL. Alta, anche se non altissima (70%), la percentuale delle adesioni all’agitazione particolarmente diffusa in Lombardia, Piemonte, Liguria, Toscana, Puglia e in “sacche” qua e là del Mezzogiorno e dell’Italia Centrale. Il dato, i numeri, il tono assai vivace della protesta nel Settentrione come nelle Puglie, lo devono aver irritato… Irritato non poco. Magari anche “deluso”… Già, ‘deluso’ da chi si ostina a chiudersi a riccio “contro il progresso”, da chi non sa prendere atto di quanto di proficuo, di “civile”, rechino con sé “i nostri tempi” portatori, appunto, di “bellissime novità”, di smaglianti “opportunità” per i giovani “a noi assai cari”…
Ma come? Il Jobs Act è “perfezione”, “mirabile sintesi”, “segno di modernità”! Come la TAV! La linea ferroviaria ‘siderale’ Torino-Lione di cui lui, ‘anche’ lui, è acceso sostenitore, partigiano appassionato. Tutta questa gente che “non” capisce… Non vuol capire. Va incontro al declino! Lo deve aver messo, eccome, di cattivo umore la satira su di lui sciorinata dai dimostranti a Milano, a Torino, e altrove. Satira esibita in sue effigi di sapore goliardico, satira pungente, impietosa, ma, almeno secondo noi, tutt’altro che volgare, tutt’altro che offensiva.
Incontro al declino? Ma il Grande Tramonto italiano è bell’e cominciato, si trova in fase assai avanzata, si stende sull’intera nazione: lo si avverte in Lombardia (nella “ricca” Lombardia) come in Sardegna, in Sicilia come in Friuli, in Toscana come nelle Puglie. Un inabissamento così non s’era mai avuto in Italia: nemmeno la Seconda Guerra Mondiale ci aveva svuotati come svuotati ci troviamo oggigiorno. Anzi, la catastrofe del secondo conflitto mondiale aveva confermato le nostre notevoli qualità: la voglia di lavorare, il desiderio di costruire, la disciplina nella Scuola e sul Lavoro, lo spirito d’adattamento, la capacità d’assorbire il colpo e reagire alla svelta, alla svelta e con successo; l’immaginazione, la creatività, il senso delle proporzioni; la resistenza psico-fisica, la volontà del miglioramento personale, la sagacia espressa negli studi classici, nella Scienza, nell’ingegneria, nell’artigianato, nell’abbigliamento; il gusto del Bello, l’amore per il Bello.
A questo declino ci ha costretti il Sistema che Renzi rappresenta e di cui egli è alfiere, araldo entusiasta; c’è perfino qualcosa di “monastico” in lui. Non sembrerebbe nemmeno toscano… Del Toscano non ha il dubbio, il sommo, utile, anzi, essenziale dubbio. Non ha la passione asciutta, sobria, che perciò non scade nel fanatismo. Non ha compostezza, non ha ”aplomb”, non ha un vero e proprio ‘cachet’, un ‘quid’. Il Sistema che Matteo Renzi rappresenta è quello del neo-liberismo; d’un neo-liberismo che presso un popolo che non legge quasi più, accetta tutto ciò che gli viene presentato come “moderno”, s’ubriaca di televisione, diserta i cinema d’essai (i pochissimi ancora rimasti), affolla le orrende, impersonali multi-sala cinematografiche, ha assistito inerte, amorfo all’assassinio della Lira, all’assassinio della “schedina”, del vecchio, italianissimo Totocalcio che seppe perfino ispirare uno o due pregevoli film negli anni Cinquanta; ecco, presso un popolo ridotto così, il neo-liberismo nostrano ha trovato un terreno quantomai fertile, sicuramente propizio: forse agli inizi i suoi stessi caporioni una “passeggiata” così nemmeno se l’aspettavano…
Ora la Consorteria chiede, indica, esige “riforme”… Non la smette un momento. Parla, straparla, blatera. Fa parlare, fa straparlare, fa blaterare chi in quest’esercizio dimostra doti d’alta classe…
Abbiamo già osservato su questo giornale che di riforme in Italia ne sono state ideate e applicate parecchie, per almeno 40 anni, dal 1930 al 1970 all’incirca; si è passati da una riforma all’altra; ci si svegliava la mattina e trovavamo una nuova riforma… Andavamo a nanna in compagnia del radiofonico, bellissimo “Notturno dall’Italia” e campioni della nostra classe politica, infaticabili, s’accingevano a lanciare l’indomani mattina un’altra riforma ancora… Intendiamoci: un lavoro nella gran parte dei casi lodevole, utile, di vero beneficio per i cittadini. Ma ora, che “riforme” vogliamo inventare e imporre a un Paese ormai sfinito, stremato quale l’Italia uscita da venti o ventidue anni di governi neo-liberisti, perciò aridi, avari, neghittosi? Già ne venne promulgata una, negli Anni Novanta, con la quale venne spazzata via la SIP allo scopo di consegnare la telefonia italiana a consorterie di imprenditori che meritano tutto il nostro scetticismo, per non dire altro. Bella, sì, geniale la riforma che portò appunto alla morte della SIP, la quale SIP funzionava in modo egregio e se il cittadino chiedeva una rateizzazione al fine di poter onorare il debito, la rateizzazione gliela concedevano in quattro e quattr’otto. Ottenere un appuntamento con un dirigente SIP era assai facile, era normale, ecco, normale. Provate ora a essere ricevuti da un funzionario Wind o Tim o Tiscali o vattelappesca…! Non le conosciamo nemmeno la sedi di questi “mostri”, di queste grandi bellezze del Capitalismo che arricchisce e rende felici noi tutti!
Lasci perdere le “riforme” Matteo Renzi. Si renda piuttosto conto che in questo Paese il riscaldamento invernale è un lusso, la luce elettrica è un altro lusso; si è costretti a svenarci per pagare, sì, luce e riscaldamento. Ci si svena “anche” per far fronte alle esose tariffe dei servizi di nettezza urbana municipale. Non è morale, non è civile, non è giusto, no, che combustibile e corrente elettrica siano, appunto, un “lusso”.
Rieccoci così alle prese con un signore il quale conduce una vita del tutto avulsa da quella dei cittadini qualunque come noi. Non così Mussolini e Donna Rachele, non così De Nicola, Einaudi, Fanfani, Pella; gli stessi Olivetti, Pirelli. Lo stesso Mattei, anzi. Da oltre vent’anni i nostri destini si trovano nelle mani di chi nulla sa, forse nulla vuol sapere, di come vivono l’iperteso lavoratore con contratto a tempo determinato, la cassiera di supermercato snervata e sotto ‘sorveglianza’, la vedova con pensione superstiti di 700 euro al mese, i quali 700 euro non hanno per niente il potere d’acquisto che avevano il milione e quattrocentomila lire.
Ma Renzi non ci penserà nemmeno ad affrontare il grossissimo problema energetico che a quattro quinti degli italiani rende la vita assai difficile, come se non bastassero i famigerati contratti a tempo determinato, gli stipendi e le pensioni che non salgono, il cronico ristagno nelle assunzioni e una pressione fiscale spaventosa, iniqua.
Intanto i sindacati si dichiarano soddisfatti. Soddisfatti poiché allo sciopero generale di queste ore le adesioni, così ci dicono i sindacalisti, “sono state del 70 percento”. In altra epoca una cifra come questa sarebbe risultata fallimentare. Non che ogni sciopero fosse sacrosanto nell’Italia di quaranta, cinquanta e più anni fa, ma nella maggior parte dei casi l’astensione dal lavoro appariva giusta, comprensibile; utile al rafforzamento della coscienza nazionale, della coscienza sociale; e di quella individuale. I comunisti facevano da battistrada, la CGIL rappresentava un organismo massiccio, temibile, molto bene articolato, sia in Alt’Italia che in Sicilia, in Sardegna, nelle Puglie. Ma la faccia feroce la sapeva fare anche la CISL, il sindacato della Democrazia Cristiana. Si dava un bel daffare anche la CISNAL, il sindacato molto vicino al Movimento Sociale Italiano: nel 1952 la CISNAL fra i metalmeccanici della “Pignone”, a Firenze, raggiunse quota 110 iscritti.
Oggi la situazione è diversa, piuttosto diversa: si manifesta in modo abbastanza massiccio a Milano, Torino, Genova, in altre città del Settentrione; si manifesta con una certa verve anche a Firenze, a Roma, in qualche “sacca” del Mezzogiorno. Non basta. Non può bastare. Anzitutto, deve aumentare di parecchio la percentuale degli aderenti allo sciopero, ma un simile risultato non lo si otterrà certo con il semplice annuncio d’uno sciopero, fatto il quale ci si dedica di nuovo alle sole apparizioni nelle varie tv, ai talk-show che banalizzano temi e argomenti o incanagliscono non pochi fra i partecipanti a questi programmi rumorosi, velleitari, perfino mondani, o pseudomondani…
Ci vuole ben altro. Ci vuole il ritorno delle sezioni sindacali, il ritorno alla discussione quotidiana nelle sezioni, discussione fondata sulla conoscenza dei fatti presenti nel mondo del lavoro, sulla conoscenza della politica nostrana, della situazione internazionale, degli equilibri, e squilibri, internazionali. Ci vuole un po’ di “febbre”, di ‘sana’ febbre politica e sociale. Ci vuole un diverso assetto mentale generale. Possibile dopo l’annicchilimento di tante giovani menti, dopo la colossale sbronza del fatuo, del vuoto, del superfluo, e di ogni imitazione? Imitazione nella Moda (che belle ragazze di periferia sembrino giovani Frescobaldi, Rucellai, Ruspoli!), imitazione nell’architettura, se così la si può ancora definire per via delle mostruosità erette quasi ovunque in Italia da quarant’anni a questa parte. Possibile mentre moltitudini di italiani vengono convogliate verso il gioco d’azzardo legalizzato in tabaccherie, caffè, negozi fasulli, freddi?
Una piccola speranza forse c’è. Oggi venerdì 12 dicembre 2014 – sulla base di quanto accaduto appunto a Milano, Torino, Genova, Firenze, Roma, Bari, e altrove – ci sentiamo autorizzati a coltivarla questa minuscola speranza che fa anche tenerezza. Si tratterebbe di dar luogo a un’inversione di marcia ciclopica, un’impresa che mobiliti milioni di belle menti, menti non ancora sciupate dal Caravanserraglio Italia.
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