Negli ultimi anni, in periferia come nel centro, Roma è stata insanguinata da decine di morti ammazzati. Si è sparato e si sono uccisi malavitosi di mezza tacca, spacciatori, colletti bianchi e insospettabili professionisti, per regolamenti di conti, tradimenti, conquista di “territori” da depredare con il pizzo, lo spaccio di droga, la prostituzione e ogni tipo di attività illecita. Una quantità di delitti, forse tra loro collegati, forse no. Basta per chiamarla mafia? No, la mafia intesa come Cosa Nostra o come ndrangheta è altra cosa, sanguinaria, violenta, rapace. Ma altro. Eppure “Roma mafiosa” è diventata un luogo comune; e certamente a Roma opera la 'ndrangheta calabrese, la mafia siciliana, la camorra campana; e poi la mafia cinese, quella russa, quella albanese, nigeriana… come a Parigi, Londra, Berlino, New York. Non ci facciamo mancare nulla. E ora l’inchiesta di cui tutti parlano da giorni, e che più propriamente dovremmo chiamare con il suo nome originario: “mondo di mezzo”. Non per sminuirne la portata e la gravità; al contrario, proprio per darne il giusto valore, e non banalizzarla con luoghi comuni.
In questi anni Roma, cuore istituzionale dell'Italia, è il teatro di una inquietante mutazione: chiamiamola per convenzione “nuova mafia” che punta al centro dei luoghi del potere e porta i suoi uomini direttamente nelle file della politica, dell'amministrazione, delle istituzioni. Una nuova mafia, avvertono gli investigatori, presente nella vita dei cittadini in modo più pervasivo di quanto si avverta e immagini. Una sorta di format che finisce con il coinvolgere anche chi dovrebbe contrastarla.
Gli investigatori ci dicono che al vertice di questa cupola malavitosa c’è Massimo Carminati, ex estremista di destra, presunto appartenente alla Banda della Magliana. Con lui sono finiti in carcere ex amministratori, manager di municipalizzate, imprenditori; un centinaio gli indagati, di destra come di sinistra. Tra i vari reati viene contestata l’associazione a delinquere di stampo mafioso; di sicuro hanno messo in essere un formidabile sodalizio criminale che mungeva e depredava la macchina amministrativa della Capitale, dotato di una sconcertante capacità di penetrazione nella pubblica amministrazione: dal business dei rifiuti a quello per l'accoglienza agli extracomunitari. E ancora: usura, gioco d'azzardo e appalti, tutto gestito da un comitato d'affari permanente che aveva interlocutori bipartisan pronti ascendere a patti con il clan. Coinvolti, naturalmente, una quantità di politici su cui ancora si indaga. Comunque ex terroristi, malavitosi, colletti bianchi uniti dall’avidità e denaro da ottenere non importa con quale mezzo. Ecco l’inedita rete di potere che oggi controlla la Capitale.
Di tutto questo, si sapeva, o comunque sapeva chi doveva sapere. Documentate inchieste giornalistiche avevano puntualmente raccontato lo stato dei fatti. Politici avevano descritto i loro partiti, nelle articolazioni locali, come associazioni per delinquere, territori di scorribanda di clan e centri di potere. Di Carminati si sapeva e sa praticamente tutto, chi è, cosa fa, come fa. I carabinieri ne hanno puntualmente ricostruito la fitta rete di amicizie e attività; eppure da mille inchieste è uscito sempre pulito, o appena scottato.
Il capo della procura di Roma Giuseppe Pignatone nella conferenza stampa in cui si illustrava l’operazione “Mondo di mezzo” ha detto: “Sono qui solo da due anni”. Non sono esattamente un encomio per chi c’era prima di lui.