Anche l’altra mattina nel bar vicino a casa mia, in Viale Marco Polo, zona Piramide, Roma, ho avuto da ridire su come vanno le cose in Italia. Il barista Daniele ancora una volta mi ha mostrato tutta la sua sincera comprensione. E’ un uomo istruito, Daniele; è stato campione nazionale juniores di ginnastica artistica, è uno che non va a pietire, non va in cerca di raccomandazioni.
Ma anche l’altro giorno, nel bar che frequento con assiduità, nessuna discussione è sorta, nessuno scambio di idee s’è avuto. Come in molte altre occasioni, facevo attenzione agli avventori che si trovavano intorno a me nel chiasso del locale, intenti a consumare ‘cornetti’, cappuccini, caffè. Ascoltare mi ascoltavano. Ci ascoltavano. Ma tenevano lo sguardo dritto davanti a sé, sia gli uomini sia le donne, gente fra i venti e i quaranta, cinquant’anni. Gli uomini apparivano quelli più interessati agli argomenti che Daniele e io sollevavamo: la Ue quale camicia di forza e ‘assassina’ dell’Italia, dell’Europa; l’euro moneta-capestro, parto diabolico di menti diaboliche e quindi malate; i sindaci di Roma, uno più inefficace dell’altro, uno più convenzionale dell’altro; di destra o di sinistra, tutti “tromboni”. Riproponevamo il tema dell’economia mista (Stato-settore privato) che in un’epoca ormai lontana fece le fortune della nazione italiana, il tema della vecchia edilizia popolare italiana, che tutti hanno dimenticato, o fingono di dimenticare; o ignorano poiché nessuno, né la Scuola, né i giornali, né le tv, gli illustra quel bellissimo capitolo della nostra Storia che va dagli anni Trenta agli anni Sessanta.
Ma gli uomini assiepati davanti al bancone non ‘raccoglievano’… Si vedeva che avrebbero avuto voglia d’intervenire nel “dibattito” che io conducevo con verve forse eccessivamente fiorentina, con la “vis” del bastian contrario, di quello che non è mai contento: anche a regalargli una fiammante automobile, sembrerebbe di fargli dispetto… Ma non intervenivano. Qualcuno finalmente s’azzardava a guardarmi per pochi istanti con la coda dell’occhio, poi si girava a testa bassa, andava a pagare alla cassa con la sufficienza e il sussiego di uno che stia per sborsare 100 euro e non 2 e mezzo; usciva rialzando finalmente il capo e dava il via al proprio incedere impostato, studiato.
Peggio ancora le donne, anche l’altra mattina, al bar di Viale Marco Polo. Donne dal comportamento freddo, “distaccato”. Un comportamento che loro ostentano, ci tengono a ostentarlo. Si dànno arie: difatti sono ben poche, pochissime, quelle che, al momento d’ordinare al bancone o di ricevere quel che hanno ordinato, guardano negli occhi il solerte, attento, ma tutt’altro che servile Daniele. Quasi tutte si mostrano a “bazza ritta”, che in vernacolo vuol dire col mento in alto, ma “bazza ritta” rende ancor più l’idea… Sono anch’esse “impostate”: volteggiano ‘secondo copione’, ‘secondo copione’ escono a procedono a passo cadenzato, che dovrebbe dare un’idea di autorità, di prestigio, comando, sicurezza.
Insomma, non c’è modo di avviare una discussione come quelle che s’avviavano una volta e dalle quali nei nostri bar, nei nostri caffè, si stringevano amicizie o si rinsaldavano amicizie: in fondo in fondo il missino e il comunista simpatizzavano, qualche liberale veniva pur guadagnato alla causa degli operai non specializzati e sottopagati.
Ora non c’è maniera di cavare un giudizio sul Presidente del Consiglio Renzi, sul capo di Forza Italia Berlusconi, sul segretario della CGIL Camusso: sulla Ue, sull’euro, sull’ignavia del nostro Governo nel caso dei marò rapiti dagli indiani nell’Oceano Indiano. Non ci si riesce davvero. Si sbatte contro un muro. Ma questo succede anche in altri bar e caffè romani; locali che si trovano nel centralissimo Largo Argentina, nella frequentatissima Via del Corso, in Piazza Vescovio e Piazza Euclide, Roma Nord, la Roma “chic” degli slombati, dei figli di papà; e perfino da “Rosati” e da “Canova”, in Piazza del Popolo, luogo che dovrebbe invitare alla “levitas”; come un tempo v’invitava. Parliamo appunto di locali che favorivano l’incontro fra le persone, che avvicinavano una persona all’altra in un clima di fiducia, simpatia, calore. Tutto questo detto per esperienza, esperienza diretta, personale.
Oggi ci s’imbatte in atteggiamenti che, secondo noi, normali non sono. Non rientrano nell’"atmosfera del bar italiano"! Già, quell’atmosfera è svanita, è sparita. Se n’è andata col formidabile juke-box, con le nitide foto di Sandro Mazzola, Mario Corso, Suarez, Jair, Picchi, Boniperti, Charles, Sivori, Rivera, Dino Sani, Bulgarelli, Pascutti; Mazzinghi e Benvenuti, Berruti e Dionisi. Se ne è sostituita una portatrice di grigiore, alfiere di conformismo pretenzioso, perentorio, lapidario. Questi silenzi… Questa omertà… Il rifuggire, appunto, dallo scambio di idee; la paura di dire la propria! La paura di “rischiare”; la paura di “compromettersi”.
O è la rassegnazione? La rassegnazione vigliacca, di gente senza nerbo che mette a nudo se stessa – e manco se ne accorge.
Sembra di trovarsi non a Roma, non in Italia, bensì nella vecchia Germania Orientale dominata dalla Stasi, nella Romania asservita a Ceausescu, nell’Unione Sovietica sigillata da Stalin.
Non è triste? Non è avvilente?
Qui la canzone di Gino Paoli "Quattro amici al bar"