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October 3, 2014
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La mafia tra fiction e realtà. Quando la rappresentazione travisa la violenza

Vincenzo PascalebyVincenzo Pascale
Marlon Brando in The Godfather

Marlon Brando in The Godfather

Time: 4 mins read

 

Per decenni i film western e i fumetti  hanno alimentato l’immaginario occidentale. Spingendo milioni di ragazzini a emulare gli eroi del selvaggio West. Che poi tanto eroi non erano: Butch Cassidy, Billy the kid e gli altri erano spietati pistoleri (così si chiamavano) spesso inseguiti da poderose posse di agenti della legge le quali, esse stesse, arruolavano dei fuorilegge. Era il fantastico West di Rio Bravo, dei film di John Ford e di Sergio Leone. 

La musica e l’immaginario cambiano con i cosiddetti film di mafia. Con i mafia movies siamo in pieno Novecento. Gangsters in doppio petto, locali alla moda, colonne sonore melodiche, belle donne. Ma soprattutto una vita glamour, sopra le righe. Fast and cool. Queste narrative e i loro personaggi sono entrati nel linguaggio quotidiano, nella moda, negli stili di vita. Quasi sempre finiti tragicamente. Insomma una narrativa che è diventata commodity. In libreria e nelle sale cinematografiche. Non a caso le majors di Hollywood hanno subito fiutato il business e creato delle serie (Godfather I, II, III), Carlito’s way, The Sicilian, etc.. Senza tralasciare la  televisione: La piovra, Sopranos, ora Gomorra. Insomma il prodotto piace, la gente lo guarda. Vende bene. La gente ne discute in ufficio, a casa, al bar o al ristorante. Sino ad arrivare nelle aule universitarie sia americane che continentali. 

Non è ormai una novità vedere i programmi di Italian Studies offrire un corso di Mafia Movies. Si sa, la libertà accademiche è intoccabile. Non sempre, tuttavia, ad essa si accompagna la scientificità o una credibilità metodologica. La semiotica e lo strutturalismo e/o poststrutturalismo hanno dato un solido contributo critico alla critica letteraria così come ai mafia movies. D’altronde questi, nella prospettiva semiotica, possono essere letti come dei testi, così come testi possono essere considerati una gara ciclistica o un derby di calcio. 

Ormai la produzione televisiva, cinematografica e letteraria è ricca e vende bene. Niente di sorprendente. Una certa marginalità esistenziale: gli outcast hanno sempre suscitato interesse. Spesso al crimine organizzato si affiancano o si attribuiscono episodi epocali. L’assassinio del Presidente Kennedy, per esempio, reso in un memorabile quanto discutibile film diretto da Oliver Stone, ripreso dallo scrittore Don De Lillo in Libra. O l’assassinio di Sindona, quello del banchiere Calvi. Insomma dove non arriva la ragione arriva l’immaginazione, come ci ha insegnato il mite Giovan Battista Vico. L’Italia poi è il Paese delle trame, del machiavellismo strisciante, delle massonerie deviate, dei servizi infiltrati, della trattativa Stato-criminalità organizzata. 

Su questi argomenti ci hanno costruito la loro carriera celebrati scrittori, vituperati giornalisti e accidiose attrici. Il tema si attorciglia quando queste narrazioni (fiction) vengono considerate canoniche per studiare i fenomeni malavitosi. Sia essa la mafia, la camorra o la 'ndragheta, per limitarci al territorio italiano. Cosa accade? Accade che, tranne qualche scrupoloso studioso, gli altri affrettano, mistificano, sovrappongono fiction e reality.  Si ergono a conoscitori dell’argomento, proprio per aver letto qualche bel romanzo sul tema o visto un accattivante e vibrante film. La vera ricerca sulla mafia passa da altre fonti e da studi di autorevoli studiosi, alcuni dei quali hanno vissuto la violenza della mafia sulle proprie spalle (penso a Nando dalla Chiesa ed ai suoi studi sull’argomento). E trattandosi di una società segreta si rischia di imbattersi in bufale o false informazioni. Ricordo l’intervista di Enzo Biagi a Masino Buscetta (il boss dei due mondi). Biagi fu anche l’autore di un volume dal titolo Il boss è solo. L’intervista fu concessa a Biagi da Buscetta durante la sua protezione, ricevuta a causa del suo pentimento. Buscetta parla di una Sicilia mafiosa (in toto). Lo stesso dirà qualche anno dopo un altro capomafia, Badalamenti:  “tutto è mafia niente è mafia”. Cosa intendono dire questi due mafiosi? Di cosa parlano? Parlano di atteggiamenti mafiosi. Di una cultura, un humus sociale nel quale l’illegalità e la connivenza mafiosa spesso vanno a braccetto. È  l'atteggiamento mafioso o forse prono a diventare mafioso, è un riflesso mafioso. La mafia mira all’arricchimento, ai traffici internazionali di armi, droga, esseri umani. Il guadagno, veloce, smoderato, muove la mafia. Questo è stato brillantemente analizzato da uno studioso della criminalità organizzata (della camorra nella fattispecie), Isaia Sales. La mafia e le sue diramazioni mondiali sono state seguite e monitorate dal compianto giudice Falcone, da Salvatore Lupo, da Pino Arlacchi. Autorità nel settore. Ma invece prevale la fiction: il giornalista che scrive il best seller, l'attrice che dal cabaret passa a girare un film sulla mafia. Fiction. Necessaria per fare cassa. Non per approdare  a sciogliere lo “gliommero” gaddiano che la criminalità organizzata è riuscita a creare. 

E di questo, a nostro avviso, dovrebbero fare tesoro anche i cosiddetti mafia studies che vanno bene per essere presentati all’interno di un orizzonte di cultura deviato, asfissiante, prono alla violenza. Don Corleone ordina esecuzioni mafiose, non pontifica mica sul bene. Concludo ricordando un film tratto da un volume di un giornalista. Il Libro è Il prefetto di Ferro, l’autore Arrigo Petacco. Il testo fu elaborato in versione cinematografica da Pasquale Squitieri (1977) con un magistrale Giuliano Gemma nei panni del prefetto Cesare Mori. Un uomo solo, prima contro la mafia agraria, poi contro i poteri occulti del Fascismo. Mori riuscì a metà nel suo compito. Capì che la mafia aveva solide relazioni romane, intoccabili per le sue indagini. Lasciò la Sicilia, venne nominato senatore del Regno. Dopo pochi anni si  spense di morte naturale. Dopo di lui sono venuti e caduti una enormità di eroi: da Chinnici, a Boris Giuliano, a Pier Santi Mattarella, a Dalla Chiesa, a Falcone e Borsellino. Eroi. Uomini soli. Forse i cosiddetti mafia studies e mafia movies dovrebbero iniziare a studiare i lavori di questi grandi investigatori, entrare nel loro universo mentale, capirne la struttura di pensiero. Allora, forse, arriveremo ad acquisire quella conoscenza sull’agire mafioso che accantoni il glamour cinematografico per diventare oppressione. Violenza. 

 

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Vincenzo Pascale

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