Qualche giorno fa’, tornando in macchina dall’Austria, sono arrivato alla frontiera con l’Italia ritrovandomi imbottigliato in una coda piuttosto lunga, rivelatasi poi più veloce di quanto pensassi. Le macchine venivano fatte confluire verso una corsia esterna, nessun casello era attivato, solo per quelle che venivano dalla parte opposta, cioè dall’Italia. Poco dopo sono apparsi, ai lati delle strade, due ragazzi che distribuivano manualmente i biglietti autostradali. Ne avevano un bel malloppo per mano. Sembravano venditori di giornali agli incroci stradali. Stavano lì, sotto il sole, la faccia piuttosto annoiata e davano ai guidatori il loro passe-partout. Sul momento mi è scappato da ridere. Ho pensato: “Ecco, benvenuti in Italia”. Mi sono anche chiesto, chissà cosa penseranno coloro che stanno entrando nel Bel Paese con una dimostrazione dell’italica arte dell’arrangiarsi. Avevo lasciato l’ordine maniacale, la precisione diffusa e quasi inquietante e ritornavo nel sistema diffuso “all’italiana”. L’ho presa con il sorriso sulle labbra, meno poco dopo, quando macchine sfreccianti oltre i limiti di velocità si avvicinavano quasi a sfiorare il retro della macchina, sfanalando per farti spostare nella corsia di destra.
Sono rientrato, così, volente o nolente, nel bene e nel male, nella mia vita “all’italiana”. Ed è proprio su questa espressione che vorrei soffermarmi. Un’espressione di denigrazione che mescola rabbia e rassegnazione sullo stato delle cose italiane e sul modo di fare. Lo faccio perché è ritornata fuori, non nei discorsi in famiglia, tra amici, negli uffici pubblici, aspettando durante le file, dove è sempre preponderante; ma nei cartelloni propagandistici svizzeri in vista di un referendum su sanità privata o pubblica del prossimo 28 settembre. Chi sostiene quella privata, le cliniche, ovviamente, private ed Economiesuisse, una specie di Confindustria che raggruppa le organizzazioni imprenditoriali elvetiche, lo fa al motto “No a una sanità all’italiana”.
Il dottor Guido Tersilli, alias Alberto Sordi ne il film Il medico della mutua, sui social network sembra rappresentare la normalità dei medici italiani. Il consigliere nazionale PPD, contrario ad una riforma più centralista e pubblica, sostiene che: “Qualsiasi cittadino svizzero che si trovi in Italia in una condizione di necessità, in cui è richiesto l'intervento sanitario, la prima cosa a cui pensa è se è in possesso della tessera di elisoccorso Rega per farsi riportare in Svizzera”. Poco tempo fa’ aveva luogo un’altra campagna denigratoria , il «Bala i ratt», dove frontalieri italiani erano rappresentati come ratti pronti a rubare il lavoro agli svizzeri.
In quest’ultimo periodo diffondere una pessima immagine dell’Italia sembra diventato un “hobby” elvetico. Ci sono anche e soprattutto ragioni politiche, come spiega, Stefano Modenini dell’associazione degli industriali del Canton Ticino: “Sono contro a ogni forma di generalizzazione e personalmente quei cartelloni mi hanno infastidito. Mi risulta tra l’altro che verranno diffusi solo nella Svizzera italiana e mi pare siano il frutto di un meccanismo che va prendendo piede: se si vuole raccogliere un facile consenso da queste parti a quanto pare basta parlare male dei vicini italiani».
Non è tema, in questo caso, la qualità della sanità italiana, ottima in alcune regioni meno in altre, con tante punte di eccellenza, meno che mai se sia meglio quella pubblica o quella privata. Piuttosto, un certo fastidio nasce dalla posizione di capro espiatorio che l’Italia e gli italiani assumono, anche da parte di chi ha un’appartenenza italica, cioè gli abitanti del Ticino e del Canton Grigioni. Questo voler guardare sempre al di là delle Alpi mi sembra uno sbirciare nella casa del vicino, nella speranza di trovare qualcosa che vada male, qualche anormalità o anomalia, in modo da discolpare se stesso. Una storia vecchia e che spesso si ripete.
E così che in tutto questo mi sono ritornate in mente le parole nel film di Orson Welles Il terzo uomo: “Sai che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent'anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù.”, ed anche quelle, più recenti del grande Giorgio Gaber: “Secondo me gli italiani sono più intelligenti degli svizzeri, ma se si guarda il reddito medio procapite della Svizzera, viene il sospetto che sarebbe meglio essere un po’ più scemi”.
Ah dimenticavo…qualche tempo dopo lo stesso Orson Welles scrisse: “Quando il film uscì, gli svizzeri mi fecero notare molto gentilmente che loro non hanno mai creato gli orologi a cucù”.