I flussi migratori in arrivo in Italia attraverso il Canale di Sicilia, la costa Calabra o il braccio di mare che separa la Puglia dalla Albania rappresentano non solo una emergenza umanitaria rispetto alla quale il nostro Paese e l'Unione Europea non possono tirarsi indietro, ma anche una opportunità sociale e politica per migliorare il livello di efficienza delle nostre istituzioni.
A questi esseri umani che cercano di entrare nella enclave Europa va garantito il diritto di accoglienza e la prima assistenza sanitaria. Passata la prima fase di accoglienza, i flussi migratori in arrivo in Italia meritano una attenta analisi sociologica e politica che miri a favorire un processo di integrazione nel tessuto sociale ed economico italiano a basso contenuto di attriti sociali e risvolti sanitari (soprattutto per l’aspetto che riguarda la salute mentale dell’immigrato). Il successo dell’immigrazione, ovverosia il processo di integrazione a basso contenuto di resistenze e conflitti culturali ha un coefficiente di successo più alto quando tra la società ospitante e quella di provenienza la differenza culturale è ridotta e quando gli immigrati provengono da una cosiddetta not dysfunctional society. Ovverosia quando una Nazione è strutturata in maniera tale da arrecare benefici sociali all’intera popolazione e non a particolari gruppi sociali o clan familiari. La situazione socio economica e culturale che vive l’Italia in questo periodo non risponde appieno ad una funzionale integrazione della notevole massa di immigrati.
I motivi di questa nostra perplessità sono molteplici e riteniamo fondati. Esaminiamone i principali concentrandosi più sull’aspetto socio – culturali che quello economico (introiti e rimesse). Ad oggi non conosciamo ancora l’esatta cifra di immigrati che il nostro Paese può accogliere e quanti di essi sono impiegabili nell’agricoltura e nell’industria compresa quella edile. Restano da parte nostra perplessità sul livello di competenza (skills) degli immigrati in specifici settori. Essi provengono da Paesi a scarsissimo tasso industriale, per lo più da aeree rurali e con conoscenze professionali di natura Agricola, compresa la pastorizia. Pochi sono gli immigrati in possesso di un titolo di studio finito o di una laurea. Questi ultimi sarebbero con maggior facilità inseribili in un contesto produttivo italiano e certamente apporterebbero benefici al settore ove opererebbero.
Cosa accadrà agli altri immigrati non in possesso di skills collocabili sul mercato del lavoro? Per loro si potrebbero aprire le porte dei lavori stagionali, agricoli, di trasformazione. Essi si muoverebbero sempre nell’ottica di un lavoro temporaneo, spesso parcellizzato. In entrambi i casi gli immigrati vanno guidati in un percorso di integrazione nel tessuto socio economico italiano che non può essere lasciato solo ai leader delle rispettive diaspore presenti sul territorio italiano. In altre parole: ogni gruppo etnico o nazionale esprime dei leader che fungono da mediatori culturali e politici con la società ospitante, nel nostro caso con le istituzioni italiane (comune, questura, scuola, istituti religiosi). Sappiamo che gli immigrati tendono a riprodurre nei Paesi ospitanti comportamenti e modelli sociali mutuati nelle società di provenienza. Spesso le società di provenienza sono attraversate da corruzione, guerre civili e conflitti etnici che rendono tali Paesi disfunctional, non funzionanti. Ebbene l’Italia corre il rischio di ritrovarsi sul proprio territorio centinaia di migliaia di immigranti assolutamente non integrabili e non partecipativi alla vita sociale, politica e comunitaria italiana. L’istruzione potrebbe essere una soluzione, ma non l’unica, a fare degli immigrati dei buoni cittadini italiani. E’ necessario educare gli immigrati attraverso un percorso socio culturale alla cittadinanza italiana.
Sindacati, associazioni di volontariato, le stesse istituzioni scolastiche dovrebbero farsi carico di questo processo di apertura alla cittadinanza italiana. Il governo italiano e le istituzioni locali non solo devono monitorare ed incoraggiare la partecipazione degli immigrati alle attività socio politiche delle singole diaspore ma agire in maniera tale da presentarsi come istituzioni funzionanti ed efficienti. L’Europa e l’Italia offrono speranza a tanti immigrati che vi arrivano da aree funestate da guerre e conflitti tribali. Bisogna lavorare, adoperarsi, per creare istituzioni efficienti che rispondano alle richieste di coloro che vogliono rimanere nel nostro Paese accettandone le regole di convivenza sociale e culturale. Ciò accrescerebbe anche il capitale umano di tanti immigranti ed il capitale sociale del nostro Paese.
*Vincenzo Pascale, PhD, Corrispondente dagli USA per il Messaggero di Sant'Antonio. NGO representative presso l'ONU. Si occupa di studi sull'immigrazione ed emigrazione con enfasi sull'emigrazione Italiana nel Continente Americano.