La settimana scorsa è stato diffuso in Italia un rapporto scientifico dal quale si apprende che un italiano su tre in età compresa fra i quindici e i diciotto anni, soffre di disturbi nervosi. Disturbi che in vari casi possono anche “rientrare” ma che si ripresentano, con elevata incidenza, fra i venti e i venticinque anni.
Il fenomeno è interclassista e interregionale, con l’eccezione – sempre a quanto ci risulta – della Sicilia, e in questo crediamo che, a salvare la situazione, concorrano la spiccata identità isolana e una vita sociale, almeno secondo noi, piuttosto ricca, vivace. Quindi, ansia, angoscia, senso di vuoto e d’inutilità, agorafobia, stati depressivi magari dovuti anche a distonie neurovegetative, paranoia, sbalzi d’umore sempre più frequenti, possono colpire il figlio o la figlia del facoltoso medico chirurgo, come il figlio e la figlia del camionista, del grosso imprenditore, dell’impiegato d’ordine. Del disoccupato. Del precario. È un’“infezione” presente in Piemonte, in Lombardia, in Liguria come in Toscana, nel Lazio, in Abruzzo, in Campania.
La percentuale di depressi riscontata nel documento in questione è altissima. E perciò allarmante. Ha tutte le caratteristiche della malattia “sociale”. Diventa anche un fatto sociale l’estendersi d’una malaise che può perciò dar luogo a un ulteriore debilitamento della società italiana.
La ricerca del cui esito si è venuti a conoscenza giovedì scorso, non sembra aver tuttavia destato impressione negli ambienti della classe politica nostrana, troppo impegnata in affari ben più importanti, troppo presa nella celebrazione quotidiana della propria “grandezza”, troppo presa nell’elaborazione (cosa, questa, non nuova) di alchimie e “giochi di corridoio” sulla pelle del popolo, sulla pelle dei giovani.
Che un adolescente su tre si ritrovi in una prigione senza sbarre (ancor più terribile proprio per questo) e dalla quale teme di non poter mai uscire, rappresenta un inequivocabile atto d’accusa: l’atto d’accusa da levare contro il modernismo, il modernismo – come varie volte sottolineato in questa rubrica – da non confondere con modernità, con la modernità che quelli della mia generazione ebbero, almeno, la fortuna di conoscere. È il modernismo della classe politica unita nella celebrazione dell’iniziativa privata, delle “indispensabili” privatizzazioni… Il modernismo dei manovratori della tecnologia voluttuaria, sì, voluttuaria. Riscopriamo questo splendido termine italiano, perché no? Voluttuario… È efficace, “rotondo”, asciutto. Indica il superfluo, il lussuoso; il “di più”.
Non sono forse voluttuari i telefoni cellulari in possesso, ormai, di chiunque? Arnesi che possono distrarre, sovraeccitare, ma condurre anche all’irritazione, al sospetto, se al nostro “telefonino” non giunge l’SMS che aspettiamo e che avevamo dato per scontato. Congegni che isolano, invece d’unire. Congegni i quali favoriscono quella alienazione che secondo il “wishful thinking” dei loro creatori, avrebbero di sicuro sventato. Quando non si prendono in considerazione le eventualità delle “unintended consequences”…
Il “cellulare” va di pari passo col computer, con Internet. Va di pari passo con un mondo consegnato una ventina d’anni fa su un vassoio d’argento ai neoliberisti, ai “grandi diversificatori”, da una classe politica occidentale (e non solo occidentale) ansiosa di mostrarsi “moderna”, ansiosa di poter prendere parte al grande banchetto… Ha fatto, e farà scorrere ancora sangue, Internet: il sangue di ragazze e ragazzi (soprattutto ragazze) turbati, impauriti, umiliati e sconvolti da ostili, gelide frasi apparse sul quadrante beffardamente scintillante, “sontuoso”. È ormai provato che l’offesa o la minaccia trasmesse sull’ingannevole, rutilante quadrante sono assai più raggelanti dell’invettiva lanciata a voce, a quattr’occhi.
Ma non è solo di questo che si tratta. La questione riguarda anche il vuoto ideologico dei nostri tempi, apertosi col crollo del Blocco dell’Est costituito da Unione Sovietica, Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria, Romania, e mettiamoci anche Jugoslavia e Albania. C’è gente approssimativa, superficiale, benché in vari casi abbastanza istruita, per la quale la morte delle ideologie ha rappresentato la nostra “salvezza”. Ha invece sortito l’effetto contrario: ha creato una melassa deforme, putrida al suo stesso nascere; ha partorito un corpo senz’anima, quindi senza coscienza di sé; ha dato “alla luce” un mostro chiamato (il termine non è certo nuovo, anzi, è assai antico) profitto: certo, il profitto, il profitto abbondante per pochi; l’Inferno per tutti gli altri. Nell’Italia del “radioso” liberismo “fonte di ricchezza per tutti”, nel giro di vent’anni circa s’è fatto un balzo all’indietro di oltre cento: ben più truce di prima, ben più protervo di prima, s’è ripresentato con successo Il Padrone delle Ferriere.
Eccolo il vuoto, il Grande Vuoto in cui precipitano adolescenti italiani tutt’altro che invitati a credere in qualcosa, se non, con martellante, esasperante, ipocrita ripetitività, nei “valori indiscutibili” dell’iniziativa privata. Ma c’è di mezzo anche la Famiglia… La famiglia italiana dei giorni nostri, e di questo s’ebbe comunque un accenno già trenta o quarant’anni fa. C’è la mamma che, se non è in carriera, colleziona atletici e inesauribili amanti e magari (ma questo succedeva anche ai tempi andati) se la intende perfino col miglior amico del consorte. E c’è lui, il papà, anch’egli assai velleitario, scioccamente impaurito dall’idea d’invecchiare… Il dirigente d’azienda o imprenditore, funzionario di Stato o agiato negoziante il quale corteggia perfino le amiche della moglie, le compagne di scuola della figlia o del figlio. È il giovanilista anni Settanta Rivisitato. Ettore Petrolini saprebbe stroncarlo in un baleno, come stroncò il “Gastone… diceur, viveur, danceur: non ha orrore di sé”.
C’è di mezzo, eccome, la famiglia rissosa, incanaglita. Sedotta dalla “materia”. C’è di mezzo un sistema Italia senza più direzione, senza più guida. Assassino di tanti adolescenti che con le loro pene dimostrano una grandezza, un sentire insospettati.