Clayton Lockett, afroamericano, mercoledì scorso ha impiegato quaranta minuti per morire. La durata di un tempo di gioco nel Rugby… Quasi un’ora per “tirare le cuoia” sul lettino cui era stato legato nel penitenziario di Stato dell’Oklahoma. Un’iniezione letale durata un’eternità, probabilmente per l’imperizia del medico o dell’equipe medica chiamata a porre fine alla sua esistenza terrena.
Un’esecuzione, come del resto tutte le altre finora avvenute, in cui non si configura un atto di giustizia: vi si configura la vendetta, la sete di vendetta. Che può anche colpire cittadini innocenti giudicati però colpevoli in sede penale: un professor Gross, dell’Università del Michigan, di recente ha diffuso i risultati di una sua indagine in base alla quale trecento persone innocenti sarebbero state messe a morte in prigioni degli Stati Uniti. Questa sola eventualità ci fa tremare i polsi.
Sarebbe perciò ora di dire basta. Sarebbe ora che nella coscienza di tutti gli americani si manifestasse un’opposizione costante, tenace, assoluta alla pena di morte. La pena di morte è un arbitrio. La pena di morte è un’indecenza. E’ qualcosa di selvaggio: è la negazione stessa della Vita, della vita che si proclama di voler tutelare e proteggere. Rende peccatori coloro i quali intendono punire altri peccatori, individui macchiatisi di crimini efferati, strappandoli appunto alla vita.
E’ curioso, assai curioso: gli Stati Uniti d’America in sostanza rappresentano una società clericale, forse quella più clericale di tutto l’Occidente, o quella in cui sentimenti anticlericali sono quasi del tutto sconosciuti; eppure in soli undici Stati dell’Unione (se non andiamo errati) la sentenza capitale non è prevista: in tutti gli altri si va alla camera a gas o sulla sedia elettrica o si è fatti fuori con l’iniezione letale. Tre tipi d’esecuzione uno più feroce dell’altro. Tre tipi d’esecuzione davanti ai quali ci coglie lo sconcerto, ci coglie una amarezza profonda. In America il “primato” di Dio è perfino suggellato sui dollari: “In God We Trust”, vi si legge. Ma se, ammesso che esista, Dio è spirito misericordioso, clemente nella sua infinita bontà, perché, allora, seguitare ad ammazzare gente con tanta pervicacia e col ricorso lucido, ‘sofisticato’, ai prodigi della tecnica, ai prodigi della chimica? Perché?
Attraverso i secoli, dalla California al Maine sono stati condotti al patibolo criminali della peggior specie, individui per i quali l’emozione più “alta”, la più “bella” era fornita dalle atroci sofferenze inflitte alle loro vittime, a donne, uomini, bambini, bambine. Ma si trattava pur sempre di esseri umani. Esseri umani che avevano avuto anch’essi una madre, una padre; che erano stati anch’essi fanciulli, magari anche gioiosi, generosi con quelli di cui si fidavano. E chissà a quanti uomini, e anche a quante donne, la pena di morte ha negato la possibilità del ravvedimento…Che è stato d’animo toccante, oseremmo perfino dire sublime. Col ravvedimento è difficile che un criminale soffra di meno: secondo noi soffre ancor di più poiché ora lui è conscio di quel che di terrificante ha commesso, “padrone” di inermi, di indifesi. Il ravveduto odia se stesso, di sicuro odia la persona che egli un tempo era. In pochi casi il ravvedimento conduce al sollievo; conduce quasi sempre all’espiazione dolorosa. Con esso la persona nasce a vita nuova. E’ diventata un’ "altra" persona.
Lo Stato etico, o che si proclami etico, non ha quindi il diritto di togliere la vita a un cittadino, a mille, diecimila cittadini per quanto rei di crimini paurosi. E’ “anche” di loro che deve farsi carico. Non può “sbrigare” la ‘pratica’ con una scarica d’elettricità, con lo scioglimento di gas; con l’iniezione letale che non è affatto indolore, non produce nessun effetto soporifero; al contrario, nell’organismo del condannato scatena sofferenze che non possiamo nemmeno immaginare, ma che sappiamo devastanti.
Ci domandiamo come facciano a dormire sonni beati governanti, legislatori, perfino magistrati i quali godono di grandi poteri in una nazione nella quale è “tuttora” in vigore la pena di morte. La pena capitale sarebbe iniqua anche qualora si dimostrasse che essa costituisce un grosso deterrente contro la violenza, contro l’assassinio. Già un condannato a morte, uno solo, è troppo… Risparmiamoci lo squallido, relativistico esercizio della “quantificazione”. Ma è assodato che il boia non rappresenta affatto “quel” deterrente, e mai lo rappresenterà. Chiunque intenda sopprimere la vita altrui, è convinto di farla franca. Non lo sfiora nemmeno l’idea di poter essere un giorno ‘beccato’.
Altra gente, in America e altrove, verrà ‘giustiziata’. Questo è vero quanto è vero che il Sole sorge ogni giorno. Altro gas… Altre scariche elettriche… Altre iniezioni letali… Altre impiccagioni, fucilazioni…
Siano allora gli Stati Uniti a dare il buon esempio. Dimostrino d’aver raggiunto il ravvedimento.