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May 1, 2014
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Libertà di stampa: il giallo dell’Italia

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
La giornalista liberiana Wade Williams con la mappa di Reporters Without Borders

La giornalista liberiana Wade Williams con la mappa di Reporters Without Borders

Time: 4 mins read

Al secondo panel dell'incontro all'ONU sul World Press Freedom Day 2014,  dove alla discussione c'è stato un seguito di domande, moderato da Maher Nasser del Public Information dell'ONU, hanno partecipato Yehia Ghanem, giornalista egiziano adesso al CUNY Graduate School of Journalism, Delphine Halgand, rappresentate negli USA di Reporters Without Borders, Agnes Callamard, Direttore di Freedom of Expression and Information Project, e Wade Williams, giornalista di FrontPage Africa.

In questo panel si è discusso in maniera specifica delle limitazioni della libertà di informazione ed espressione in vari paesi, con il giornalista egiziano Yehia Ghanem che ha messo in risalto come in Egitto sicuramente la "primavera araba" non abbia portato ad un miglioramento della libertà di stampa e come  lui stesso abbia alla fine dovuto rifugiarsi in America. Ad un certo punto, anche una studentessa cinese che sta studiando giornalismo in una università USA ha avuto il coraggio di prendere la parola e ha denunciato le repressioni in Cina sulla libertà di espressione e sulla possibilità di fare libera informazione. Chissà cosa accadrà al futuro professionale e anche personale di questa giovane se dovesse tornare nel suo paese…

Ma la parte per noi più interessante è arrivata durante l'intervento della giornalista liberiana Wade Williams, già due anni fa borsista al Palazzo di Vetro della Dag Hammarskjold Fellow, e che, tornata in Liberia, ha dovuto subito confrontarsi con le restrizioni imposte dalla legislazione del paese africano in materia di libertà di stampa. Wade ha raccontato una storia che a noi ha ricordato qualcosa di noto: il suo giornale, FrontPage Africa è stato chiuso per un lungo periodo dalle autorità governative dopo che aveva perso una causa per una querela di un ministro su cui il giornale stava preparando una inchiesta per corruzione. L'editore del giornale è finito in prigione, vittima di una causa per diffamazione che lo aveva condannato a risarcire una cifra spropositata, un milione e mezzo di dollari che il piccolo giornale non avrebbe potuto pagare. Ma quando l'editore, Rodney D. Sieh, riuscì dalla galera a far arrivare un suo articolo di denuncia al New York Times che lo pubblicò, ecco che anche il governo della presidente  Ellen Johnson Sirleaf, laureata ad Harvard, con tanti amici al Congresso USA e che tanta speranza al momento della sua elezione aveva ispirato per l'Africa, ha dovuto allentare la sua morsa su quel giornale indipendente di Monrovia. Il discorso pronunciato da Wade Williams al Palazzo di Vetro lo potete vedere a questo link (al minuto 1:04) .

Wade

Wade Williams dopo il suo intervento all’ONU

A questo punto, chi scrive, ispirato dal discorso della giornalista liberiana,  non ha resistito a porre una domanda a Delphine Halgand, responsabile di Reporters Without Borders, che aveva appena presentato la nuova mappa con il famoso ranking diviso per colori, dove i paesi peggiori per la libertà di stampa hanno il colore più scuro e i più liberi invece più chiaro, fino al bianco del Canada, della Germania, dei paesi scandinavi o anche della Namibia, in Africa. Gli Stati Uniti nel 2014 sono in giallo, come anche l'Italia che quest'anno è progredita dall'arancione del 2013, quando era l'unico paese dell'Europa occidentale ad aver ottenuto un ranking così basso, ma  che quest'anno è stata "promossa" al giallo (invece e giustamente, nel ranking di Freedom House l'Italia rimane l'unico paese dell'Europa Occidentale classicato come Partialy Free). A Halgand abbiamo chiesto (la mia domanda qui, al minuto 1:47), dopo aver ascoltato la giornalista liberiana, come mai all'Italia fosse stata data una valutazione migliore fino a cambiare colore dall'arancione al giallo, nonostante non ci fosse stato alcun cambiamento nelle restrittive leggi italiane sulla libertà di stampa, che permettono ai politici, quando oggetto di inchieste, di querelare continuamente i giornalisti e i giornali , con la conseguenza di intimidire soprattuto i piccoli giornali che non hanno i mezzi per difendersi. La risposta della responsabile dei RWB è stata senza peli sulla lingua: "In realtà in Italia non è migliorato nulla, il cambio di colore è stato dovuto soltanto a un tecnicismo legato al sistema dei computer. Siccome molti paesi sono passati ad una condizione migliore, e allo stesso tempo altri paesi da una posizione migliore sono scesi in classifica, questi aggiustamenti hanno fatto migliorare la posizione del ranking italiano, ma più che a meriti, il cambiamento è stato dovuto, per l'appunto, ad un aggiustamento generale del ranking. Sappiamo che in Italia i giornalisti vengono ancora intimiditi da una legislazione sulla diffamazione ancora molto restrittiva. Quindi grazie per la domanda".

Qui in video la risposta della responsabile USA per RWB.

E già, quando la nuova mappa del ranking di Reporters Without Borders fu pubblicata un paio di mesi fa, in Italia molti esultarono, ma noi da qui non capivamo il perché di questo miglioramento. Al Palazzo di Vetro abbiamo avuto la conferma che siamo praticamente nella stessa situazione della Liberia. Sulla vera libertà di stampa, anche in Italia abbiamo ancora tanta strada da fare.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e dirigo La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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