Nella terra di Pirandello tutto può succedere, qui, la fantasia supera spesso la realtà. E la realtà supera l'immaginazione. Quella che vi raccontiamo è una storie incredibile, a tinte fosche, che si snoda tra Porto Empedocle e Agrigento. Una storia che ha gli elementi del thriller psicologico, della fiction e del reality show, portata alla ribalta delle cronache da Il Fatto Quotidiano.
Un incubo lungo due anni, dal 2004 al 2006, che ha per protagonisti inconsapevoli Vincenzo Balli, la moglie Patrizia Trovato e la loro figlia di tre anni. La famiglia viene convinta da Mario Musotto (socio di Balli nella World Ticket, società di vendita online di spettacoli), di essere nel mirino della mafia. Che tradotto in lingua sicula significa vittime certe, morti che camminano. Capirete la tensione, la paura, il senso d’impotenza. Per ragioni ancora sconosciute Musotto mette in scena la trama angosciante di un film, sequestrando di fatto la famiglia Balli, costretta a restare chiusa in casa con le tapparelle sempre abbassate, a muoversi solo sotto scorta, a indossare passamontagna e giubbotti antiproiettile, a fornire false identità negli alberghi in cui pernotta in fuga dal pericolo rappresentato dalla criminalità organizzata.
Una vita blindata. Tre esistenze sotto scacco. Ogni loro movimento deve essere pianificato, uomini di una fantomatica squadra speciale sono appostati sui tetti delle abitazioni segrete e le conversazioni in casa sono intercettate da microspie, il che comporta trasferimenti continui. Una tortura interminabile. Vincenzo e Patrizia ricevono minacce e segnali mafiosi di ogni tipo: mail, croci dietro la porta, sms senza mittente, rumori sospetti nel cuore della notte, incendio dell’auto. Per tenerli sotto pressione il loro aguzzino si inventa un programma di “protezione antimafia” grazie all’aiuto di falsi Carabinieri.
Alla fine però, Balli fiuta l’imbroglio e contatta il maresciallo Quarta, nome in codice “Orso”, che coordina la protezione h24, a nome del quale gli pervenivano tramite email le finte “indicazioni” per la sua sicurezza. Il militare cade dalle nuvole, mette a verbale la vicenda e dà il via a un’inchiesta giudiziaria per vari reati. “Per due anni, con mia figlia, ho fatto come Roberto Benigni ne La vita è bella. Ho inventato per lei un personaggio, il Signore del Tempo – racconta in conferenza stampa Patrizia Trovato – che ci imponeva di stare sempre a casa e che qualche volta ci concedeva una boccata d’aria”.
È di questi giorni la sentenza del giudice monocratico di Palermo che ha condannato Mario Musotto a sei anni di reclusione per sequestro di persona plurimo e truffa, e inflitto, rispettivamente quattro e tre anni, ai coniugi Alfredo Silvano e Daniela Todaro, concorrenti nello stesso reato. Musotto di mestiere faceva il regista – è stato autore di numerosi documentari sui temi della lotta a Cosa Nostra – prima della condanna stava lavorando a uno dei suoi film impegnati intitolato Trent’anni di mafia ad Agrigento, dedicato al giudice Nino Di Matteo e agli altri magistrati della Dia (direzione investigativa antimafia).
Il produttore del lungometraggio, Filippo Alessi, titolare dell’associazione culturale Campo di note, nonché imprenditore antimafia del settore rifiuti, apprende la notizia “con rammarico”. Un po’ poco non vi sembra? Ci saremmo aspettati qualcosa di più di fronte al fatto che i suoi soldi hanno finanziato un regista-criminale, capace di tali crudeltà. Alessi però, ci tiene a far sapere alla stampa che ha sollevato dall’incarico il regista (ovvio), mantenendo l’impegno di presentare il film nel mese di maggio in Canada, e nelle città americane di New York e Los Angeles.
Quello che stupisce ancor di più di fronte a una vicenda che continua ad avere lati oscuri e misteriosi, è come sia stato possibile in una regione, anzi in un Paese, in cui gli atti giudiziari vengono pubblicati sui giornali prima ancora di essere regolarmente registrati in tribunale, che non sia venuta a galla la notizia del sequestro e delle intimidazioni subite dalla famiglia Balli. Stupisce il benevolo silenzio, la garbata riservatezza dei media locali e nazionali. Sono passati otto anni dal fattaccio prima che venisse fuori la storia di terrore sceneggiata e recitata da personaggi inquietanti. Otto anni per far luce sulla tragica farsa che deve avere avuto, per forza, altri autori, primari e comparse (non condannate). Chi sono quei falsi Carabinieri mai identificati? Perché tanta discrezione su questa grave vicenda che ha dell’irreale?