Sarà arrivata anche ai lettori de “La Voce”, la storia della “Terra dei fuochi”. Ma conviene, per cercare di capire questa vicenda, partire dall’inizio.
Dunque: La Camera dei Deputati desecreta verbali con le deposizioni di un camorrista diventato anni fa collaboratore di giustizia, Carmine Schiavone; sono dichiarazioni rilasciate alla Commissione Parlamentare d’inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti nel 1997. Una decisione presa all’unanimità dall’ufficio di presidenza e resa nota con una dichiarazione della presidente Laura Boldrini: “Esprimo grande soddisfazione per la decisione di togliere il segreto sui contenuti dell’audizione che il collaboratore di giustizia Carmine Schiavone svolse nell’ottobre 1997 alla commissione bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Si tratta della prima volta che la presidenza della Camera – senza che questo sia richiesto dalla magistratura – decide di rendere pubblico un documento formato da commissioni di inchiesta che in passato lo avevano classificato come segreto”. Deposizione dell’ottobre 1997, resa nota nel novembre 2013: sedici anni dopo…Ci torneremo.
Prima: cos’è questa “terra dei fuochi”? Un’area molto estesa, tra le province di Napoli e di Caserta. Un’area che riguarda direttamente popolosi comuni: Scampia, Ponticelli, Giugliano, Qualiano, Villaricca, Mugnano, Melito, Arzano, Casandrino, Casoria, Nola, Caivano, Grumo Nevano, Acerra, Marigliano, Pomigliano; e ancora, nel casertano, i comuni di Parete, Casapesenna, Villa Literno, Santa Maria Capua Vetere, Casal di Principe, Aversa, Lusciano, Marcianise, Teverola, Trentola, Frignano, Casaluce. Ma il fenomeno si è progressivamente esteso anche nella provincia di Salerno.
In questi territori ci sono una quantità di discariche abusive; discariche ovunque, in piena campagna, ma anche lungo le strade:. Quando una discarica si satura, per “creare” lo spazio per i rifiuti successivi, si appicca un incendio. La maggior parte dei rifiuti “smaltiti” in questo modo sono cosiddetti “speciali”. L’articolo 7 del Decreto Legislativo n.22 del febbraio 1997 li definisce così: categoria speciale di rifiuti che si differenzia nettamente dai rifiuti urbani, quelli domestici o assimilabili a quelli domestici, quelli per esempio che derivano dalla pulizia delle strade o quelli provenienti da aree verdi. Rientrano tra i rifiuti speciali quelli da attività agricole e agro-industriali, quelli derivanti da attività di demolizione, costruzione, da lavorazioni industriali e artigianali, da attività commerciali o di servizio, o ancora quelli derivanti da macchinari, combustibili, veicoli a motore.
Sono i rifiuti più pericolosi e inquinanti, e soprattutto quando il loro “smaltimento” avviene nel modo che abbiamo detto prima. Gli “speciali” infatti richiedono particolari modalità di trattamento e stoccaggio, proprio per scongiurare i pericoli ambientali. Sono la parte più consistente dei rifiuti, più o meno l’80 per cento di quelli prodotti ogni anno in Italia; e i più costosi da smaltire: fino a 600 euro per tonnellata.
Oltre al danno ambientale derivante dallo smaltimento illegale, c’è anche quello all’agricoltura e sanitario. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità i continui smaltimenti illegali di rifiuti, con dispersione di sostanze inquinanti nel suolo e nell’aria, e l’inquinamento di falde idriche utilizzate per l’irrigazione di terreni coltivati, sono in stretta correlazione con l’incremento di diverse patologie tumorali. I casi maggiori si registrano, infatti, proprio negli otto comuni con il maggior numero di discariche di rifiuti: Acerra, Aversa, Bacoli, Caivano, Castelvolturno, Giugliano, Marcianise e Villaricca.
Dal 2001 ad oggi sono state 33 le inchieste per attività organizzata di traffico illecito di rifiuti condotte dalle procure attive nelle due province di Napoli e Caserta. I magistrati hanno emesso 311 ordinanze di custodia cautelare, con 448 persone denunciate e 116 aziende coinvolte. L’Arpac, l’Agenzia per l’ambiente della Regione Campania, ha individuato 2 mila siti inquinati.
Dal primo gennaio 2012 al 31 agosto 2013, secondo i dati raccolti dai Vigili del fuoco su incarico del viceprefetto Donato Cafagna (che dal novembre del 2012 segue per conto del ministero dell’Interno l’attività di monitoraggio e contrasto dei traffici e degli smaltimenti illegali di rifiuti nella “Terra dei fuochi”), i roghi di rifiuti, materiali plastici, scarti di lavorazione del pellame, stracci sono stati ben 6.034, di cui 3.049 in provincia di Napoli e 2.085 in quella di Caserta.
In questi traffici e speculazioni i clan della camorra giocano un ruolo da protagonisti. Hanno cominciato a occuparsi di rifiuti fin dagli anni Ottanta: prima di quelli urbani; poi il business più redditizio, quelli “speciali” e pericolosi. Le prime rivelazioni grazie alle dichiarazioni del boss Nunzio Perrella ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli: Perrella sottolinea l’enorme interesse finanziario della criminalità organizzata (è sua la celebre frase “la munnezza è oro”). Dalla sua testimonianza nasce l’inchiesta “Adelphi”, da cui emerge che clan in cambio di tangenti e grazie al controllo esercitato sul territori, riuscirono a scaricare illegalmente in Campania «rilevantissime quantità di rifiuti». Per capirci, l’ordine è di centinaia di migliaia di tonnellate. Il magistrato Maria Cristina Ribera, ascoltata nel 2011 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti fa presente che c’è stata un’evoluzione: da “camorristi imprenditori” a “imprenditori camorristi”. Detta a verbale: “Mentre prima soggetti notoriamente come camorristi avevano imprese che gestivano i rifiuti, ora alcuni imprenditori hanno un controllo quasi monopolistico di alcuni ambiti di questo settore che però sono il braccio economico del clan”.
Altri boss che hanno operato nella gestione dei rifiuti raccontano agli investigatori come funziona il sistema. Tra questi boss c’è anche Carmine Schiavone, che già nel 1995 ai magistrati ha raccontato come la Campania fosse destinata a diventare una discarica a cielo aperto, soprattutto di materiali tossici tra cui piombo, scorie nucleari e materiale acido.
E siamo all’oggi. Schiavone rilascia un’intervista a “Sky”, spiegando nel dettaglio i luoghi dei seppellimenti dei rifiuti provenienti da tutta Italia e anche dall’estero e il sistema di “smaltimento”: «Il vero business era quello dei carichi che dal Nord Europa arrivavano al Sud. Rifiuti chimici, ospedalieri, farmaceutici e fanghi termonucleari. Scaricati e interrati dal lungomare di Baia Domizia fino a Pozzuoli. (…) I rifiuti erano scaricati da camion e gettati nei campi e nelle cave di sabbia. Negli anni le cassette di piombo si saranno aperte, ecco perché la gente sta morendo di cancro. Stanno morendo 5 milioni di persone».
E ora torniamo alle date su cui avevamo richiamato all’inizio l’attenzione. La prima cosa che uno legittimamente si chiede è: ma come, una cosa denunciata nell’ottobre del 1997 viene desecretata solo nel 2013? Si sapeva che c’erano migliaia di persone in pericolo, che rischiavano la vita, si ammalavano di tumore, e si faceva finta di nulla? Hanno impestato comuni e province, coltivato prodotti inquinanti che abbiamo mangiato, respirato fumi tossici, ci hanno avvelenato, e chi sapeva, poteva, doveva non ha fatto nulla?
Cominciamo dal presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta. All’epoca era un parlamentare verde, molto conosciuto nel mondo ambientalista. Si chiama Massimo Scalia. Quel 7 ottobre del 1997, mentre Schiavone diceva che “tra vent'anni nel casertano moriranno tutti di tumore” c'era anche lui. La prima, ovvia questione, riguarda il “segreto”: perché per ben sedici anni quella tremenda situazione è stata tenuta nascosta, si è fatto finta che quelle clamorose denunce non fossero mai state fatte? Perché i cittadini non sono stati avvertiti del pericolo che correvano?
“Secretammo l'audizione di Schiavone perché le commissioni parlamentari d'inchiesta sono tenute a secretare quelle parti che possono svelare al pubblico particolari indagati dalla magistratura”.
In parole povere, Scalia dice che il segreto fu apposto per non intralciare il lavoro dei magistrati, degli investigatori. Aggiunge poi un particolare non irrilevante: “Quelle stesse parole Schiavone le pronunciò nel marzo del 1995 in una udienza pubblica durante un processo contro la camorra. E non capisco dunque perché ora causino questo grosso scandalo”.
Fermiamoci un momento: la Commissione pone il segreto, nel 1997, su qualcosa che lo stesso Schiavone aveva detto due anni prima nel corso di un’udienza pubblica di processo…Diciamo che è perlomeno curioso…Non finisce mica qui. Perché sempre Scalia, intervistato dal giornale napoletano “Il Mattino” racconta il “clima” di quella deposizione: “Eravamo in tre ad ascoltare i suoi racconti. Cose già note. Per questo non capisco ora tutto il clamore attorno a quell’audizione…L’incontro durò due ore. Raccontò di come la camorra gestiva il ciclo illecito dei rifiuti in Campania e nelle regioni limitrofe. Chi erano i clan interessati, il ruolo della massoneria, ma…fu una vera delusione: tutte cose note. Tanto che ricordo bene il tentativo di incalzarlo. Gli chiedevamo di dirci dove erano interrati i rifiuti, ci bastava anche una indicazione generica per attivare tutti gli organismi competenti. Ma nulla, da lui non cavammo niente: solo indicazioni generiche e nulla di più di quel che sapevamo o che stavano tratteggiando le indagini. L’unica indicazione utile riguardava uno sversamento a Borgomontello, in provincia di Latina. Ma capisco: il lavoro di manovalanza era fatto dai suoi picciotti, non da Schiavone in persona. Lui non poteva conoscere i singoli terreni dove i suoi sversavano…”.
Ricapitoliamo: nulla di preciso, molto di generico, tutto già si sapeva. Eppure l’audizione viene secretata: “In quel momento c’erano delle inchieste in corso e saremmo stati dei pazzi a non mettere il segreto. Occorreva salvaguardare indagini in corso e la nostra era una misura cautelativa”.
E qui si precipita nel paradosso: si rende segreto, cautelativamente, qualcosa che lo stesso Schiavone aveva raccontato due anni prima. E che lo sia lo ammette e riconosce lo stesso Scalia: “Per questo mi meraviglio che oggi ci sia tutto questo clamore attorno a quell’audizione del 1997. Ripeto: tutti sapevano”.
Tutti chi, sapeva? “Tutta la classe politica sapeva”, dice Scalia. “Erano cose stranote, ma si fece finta di nulla. Per questo non capisco chi si scandalizza oggi”.
E le popolazioni? Scalia racconta di come, ogni volta che come membro della Commissione d'inchiesta sulle ecomafie si recava in Campania si incontrava con le istituzioni territoriali e con i comitati e parlava unicamente della devastazione ambientale.; e comunque “Schiavone non ci ha rivelato nulla di nuovo rispetto a quello che è stato scoperto dalla magistratura”.
Coldiretti stima che il 18 per cento dei terreni campani sono contaminati e dunque pericolosi. Qualcuno in tutti questi anni è mai intervenuto per bonificare quei campi, o dichiararli non coltivabili? Qui si entra nel campo specifico delle responsabilità: nazionali e territoriali. Scalia assicura che vennero adeguatamente infornate sul disastro ambientale e sanitario, si chiese di inserire le “terre dei fuochi” e il litorale domizio-flegreo al primo posto della lista dei territori da bonificare. Bonifiche che non sono state eseguite. Lo stesso Scalia ricorda di aver denunciato anni fa che durante una sua ispezione nel territorio aversano vide rifiuti sepolti male e dunque non si sarebbe azzardato a consumare i prodotti cresciuti su quelle terre. Gli arrivarono molte lettere di protesta da parte dei produttori locali: “Vivevano sommersi dai rifiuti ma secondo loro non avrei dovuto lanciare l'allarme. Lo Stato per molto tempo ha negato la devastazione ambientale e molti cittadini hanno creduto di non essere in pericolo. Lo stesso ministro Balduzzi lo scorso anno arrivò a dire che gli abitanti di quelle zone muoiono di tumore perché mangiano male e fumano molto”.
Già: a proposito dei tumori. Cosa hanno fatto Scalia e gli altri componenti della Commissione parlamentare d’inchiesta? “Sollecitammo studi per capire. Io sono stato in commissione sino al 2011. E non arrivò mai nulla”.