Dirò la mia su quel cuore spezzato dall’Italia, cioè sull’articolo del giornalista Frank Bruni recentemente pubblicato dal New York Times, anche alla luce da quanto scritto dal Prof. Luigi Troiani nella sua rubrica.
Ricordiamolo. Si tratta di un pezzo che racconta cosa sta accadendo in Italia, a seguito di un breve tour di Bruni dal Nord Italia fino a Roma. Evidentemente anche in America sono piuttosto preoccupati.
Cosa non ci è piaciuto dell’articolo? Ciò di cui si parla è piuttosto noto: dati sconfortanti sulla disoccupazione, in particolar modo giovanile, sul debito pubblico, sull’impossibilità di vedere un futuro, sulla mancanza del buon governo, sulla spazzatura ecc… Niente di nuovo sotto il sole, sono sempre i soliti fatti. I contenuti sono più o meno simili a tanti altri articoli scritti da altri giornalisti. Siamo consapevoli, tuttavia, che Bruni non si rivolge ad un italiano ma ad un lettore meno informato sui fatti italiani. Tuttavia, mancano analisi un po’ più approfondite. Spesso ci piacerebbe sapere se dal confronto con altri paesi si potesse fare qualcosa, ipotizzare proposte, trovare soluzioni. Non dico che debba essere il giornalista a risolvere i problemi di un paese, quello lo deve fare il politico, pagato dai cittadini, ma almeno tirare fuori qualcosa dall’ordinario, far drizzare le antenne, spostare lo sguardo. E nel caso dell’articolo mi sembra sia mancato.
Cosa mi è piaciuto? Il fatto che parta, come anche un sociologo dovrebbe fare, ascoltando i discorsi delle persone, osservando le loro facce, interpretando la loro rabbia o la loro felicità. Vede persone decise a partire, aprire il laptop per cercare casa a Londra, perché nell’Italia hanno perso la speranza, malgrado dicano di amarla ancora. Ne incontra un’altra che racconta di un’Italia ormai sempre più museo e orto botanico. E ogni anno è sempre peggio. Incontra il sindaco di Roma. Pochi casi, tuttavia, esemplari.
Mi ha colpito poi quello stupore tenero alimentato da una sorta di scintilla che fa scattare l’attenzione, perché la situazione è peggiore del previsto e sembra non far intravedere vie d’uscita. Perché emerge il suo affetto per l’Italia ma il suo immaginario del Bel Paese sembra svanire nell’incontro con una realtà: “C'è così tanta bellezza e promessa qui, ma anche tanto spreco. L’Italia spezza il cuore”. E su certe cose come dargli torto? A noi, l’Italia, più che spezzarci il cuore, a questo siamo abituati, rode il fegato.
Bruni, che ha vissuto in Italia, è consapevole della particolare lamentela italica, quella continua auto-denigrazione intrisa di un teatrale pessimismo e di rassegnazione accentuati dai gesti e dall’intonazione delle parole: scrollate di spalle, occhi al cielo, palmi in aria, una cantilena prolungata come fosse un rosario, magari intramezzata da qualche imprecazione. E’ l’Italia, l’Italia di sempre. Eppure questa volta Bruni ne esce più pessimista. L’ambiguità si fa strada con più forza. Non più l’Italia sognata nell’immaginario del turista o dello straniero, che nel riparo delle sue sicurezze di partenza, può godersi spettacoli unici. Ma un’Italia che nella sua realtà quotidiana è stanca, fa fatica. La lamentela non è più solo sport nazionale, è lo sfogo di una reale sofferenza.
Essa vive le schizofrenie di un patto sociale che viene continuamente meno, frantumato da notizie che sembrano colmare il vaso: Ministri della Giustizia che nella loro funzione sembrano agevolare e mostrare troppa empatia verso “particulari” detenuti, rifiuti tossici sotterrati nelle provincie di Napoli e Caserta e rimasti secretati nelle indagini per sedici anni, e naturalmente mai spostati, dopo che il boss casalese Schiavone, nel 1997, aveva dichiarato che dopo vent’anni, in quelle zone, sarebbero morti tutti di cancro. Così dal 1991 ogni persona espia la sua colpa, senza saperlo, di vivere lì, respirando la sua dose quotidiana di esalazioni tossiche.
In sintesi, quello che emerge dall’articolo è quella fine e sfuggente ambiguità del parlar dell’Italia. Essa, come un Giano, sembra avere due facce, quella di un paese con grandi difficoltà, pieno di scelleratezze, di scandali che lasciano senza parole e quella di una cultura che illumina e risuona nel mondo, anche, semplicemente, per guardare ai fatti di queste ore, nel nome, Dante, del figlio del nuovo sindaco di New York Bill De Blasio.
Non è semplice tenere separate le due situazioni, purtroppo si confondono e ci confondono. E’ il binomio amore/odio che caratterizza l’Italia e la sua identità. Che caratterizza me, molti di noi, che caratterizzava Luigi Barzini e Giuseppe Prezzolini. Prezzolini che raccontava di essersene andato dall’Italia, a Lugano, perché: “Gli italiani si dividono in furbi e fessi”. Lui si sentiva un fesso, e per questo se ne andò in Svizzera, dove finalmente si sentì una persona normale. Chissà che tra queste persone normali non troviamo anche un buon “chirurgo” del cuore.