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November 4, 2013
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Perché il Sud resta indietro

Maurita CardonebyMaurita Cardone
Time: 4 mins read

Il ministro per la Coesione territoriale, Carlo Trigilia è stato ospite dell'Istituto Italiano di Cultura di New York dove ha tenuto una conferenza dal titolo Territorial inequalities in Italy: why the Italian south is lagging behind? (Diseguaglianze territoriali in Italia: perché il Sud Italia resta indietro).

Nel corso della lecture, il ministro, che è anche docente universitario e commentatore socio-economico per diversi quotidiani, ha presentato la situazione di quello che ha definito “il caso più persistente di diseguaglianza territoriale nell'Europa Occidentale” cercando di identificarne le cause. E il perché oggi sia importante porsi questo tipo di domande lo ha spiegato in apertura del suo intervento: “Non è possibile capire l'attuale crisi senza comprendere il problema del Sud”.

La lunga serie di dati presentati dal ministro non lascia dubbi sul fatto che il Sud Italia viva in una condizione di chiara disparità rispetto al Nord: la disoccupazione è più alta e così è il tasso di povertà, i servizi sanitari sono peggiori, le infrastrutture sono carenti, l'abbandono scolastico è maggiore. E l'emigrazione è in aumento, con la conseguenza che il Sud perde risorse cruciali. Eppure il governo italiano, nell'arco degli ultimi 60 anni, ha avviato una serie di programmi e politiche per sostenere lo sviluppo del Sud. Nonostante i politici locali, di destra quanto di sinistra, abbiano sempre utilizzato la scusa della mancanza di fondi da parte dello stato centrale, la verità è che le politiche per lo sviluppo del Sud sono sempre state accompagnate da grossi stanziamenti economici. Ma né politiche né fondi hanno ottenuto gli effetti sperati. Se questo è successo, ha spiegato Trigilia, non può essere soltanto colpa della criminalità organizzata che, pure, ha avuto un grosso peso.

La chiave del problema, secondo Trigilia, sta nel modo in cui quei soldi sono stati spesi. Si è preferito infatti dare contributi a singole realtà imprenditoriali sottraendo fondi ai beni collettivi e questo ha innescato un circolo vizioso perché, per compensare la mancanza di servizi, era necessario offrire un sempre più consistente supporto economico alle aziende.

Ma perché si è scelto di spendere in quel modo? La risposta è nella forma mentis, nella cultura dell'Italia e della sua politica: spendere in beni collettivi e in servizi significa vedere i risultati sul lungo periodo e rischiare di non far contento nessuno nel breve periodo. E dal momento che i soldi venivano gestiti dai politici locali in cerca di sostegno elettorale, l'enigma del Sud è facilmente spiegato. “La classe politica locale ha preferito distribuire ricchezza piuttosto che produrre ricchezza collettiva – ha detto Trigilia – E questo è legato all'altro fattore cruciale: una scarsa cultura civica che predilige i vantaggi personali e il clientelismo. Il supporto politico si ottiene con la distribuzione di benefit a singoli piuttosto che affrontando problemi sociali collettivi”.

Su questo scenario si inserisce il controllo, tradizionale in queste zone, da parte di una criminalità organizzata che si è recentemente reinventata infiltrando attività legali e utilizzando la violenza come vantaggio competitivo sui mercati. Con l'appoggio dei politici locali, a loro volta tollerati dal governo centrale.

La soluzione? Secondo Trigilia, sul lungo periodo bisognerebbe tentare di costruire una più forte cultura civica, ma sul breve periodo è necessario porre dei limiti ed effettuare controlli sull'utilizzo dei fondi pubblici, ponendo degli obiettivi specifici ed eventualmente anche sanzionando politici e funzionari e rimuovendoli dalla propria posizione. “Questo causerà inevitabili tensioni sociali. Rimuovere gli ostacoli sociali e culturali non è facile e ci sarà bisogno di una strategia – ha concluso il ministro – Ma il governo è deciso a cambiare le politiche in questa direzione, consapevole che ogni ritardo in questo processo di cambiamento indebolisce lo sviluppo dell'intero paese”.

Di diseguaglianze economico-sociali e di disparità nelle opportunità ultimamente si parla molto anche in America, una società dove le differenze si stanno inasprendo, col rischio di un duro conflitto sociale. A conclusione della conferenza del ministro, quindi, La VOCE di New York ha voluto chiedere a Trigilia se ritiene che anche l'Italia sia avviata verso quella direzione. “Gli Usa sono un paese diverso dall'Italia e dall'Europa – ci ha detto il ministro – Tuttavia negli ultimi anni le diseguaglianze territoriali e sociali stanno crescendo un po' dovunque. Rispetto al modello fordista degli anni '60 che era in grado di contenere le diseguaglianze sociali, dalla fine degli anni '80 le cose hanno iniziato a cambiare. Oggi siamo di fronte a delle sfide che rimettono in discussione il welfare e aumentano le diseguaglianze. Se, da un lato, la globalizzazione offre opportunità di sviluppo a paesi che prima ne erano esclusi, dall'altro, mobilizzando masse di lavoratori da paesi più in difficoltà, crea pressioni nei paesi più sviluppati che fanno fatica sia a mantenere lo stato sociale, sia a competere a livello internazionale. E gli stati devono anche fare i conti col fatto che, se aumentano la pressione fiscale, ci sarà una delocalizzazione delle imprese verso territori meno penalizzati dal punto di vista fiscale”. Insomma sembra che, con un sistema così strutturato, sia inevitabile che l'economia mondiale si trasformi sempre più in una giungla e le differenze sociali all'interno dei singoli stati sembrano inesorabilmente destinate ad aumentare. Non resta che sperare che qualcuno si inventi un sistema migliore.

 

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Maurita Cardone

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