Col caso Ablyazov ci riassale la nostalgia. Ci riassale con più impeto del solito. Diventa uno struggimento sempre più profondo. La nostra identità stessa di italiani viene messa a dura prova. Ci guardiamo intorno, nelle vie, nelle piazze, nei ristoranti del centro di Roma: nel perimetro occupato dai potenti… Sono sempre ben vestiti, i potenti, molti di loro “overdressed”, direbbero gli inglesi che in quanto a comportamento se ne intendono. Si crogiolano nell’ostentazione del proprio abbigliamento. Del loro potere e di ogni cosa, appunto, che è espressione, dimostrazione del loro “calibro”. Nulla c’è di salutarmente distaccato in loro. Di sé hanno un’opinione che a noi sembra un poco sproporzionata rispetto ai meriti, alle doti reali, oggettive. Ritengono (questa la nostra sensazione) d’esser baciati da un’intelligenza bismarckiana, da una duttilità alla Giscard d’Estaing, da una perseveranza alla Churchill. Perseveranti lo sono, eccome. Ma non ci sembra che tanta perseveranza venga impiegata per cause giuste, sacrosante.
Ci fa piangere il cuore il caso della moglie e della figlioletta del dissidente kazako fatti rimpatriare dall’Italia. E’ un caso enorme, tragico: se ne parla senza interruzione da giorni e giorni. La sua eco ha raggiunto le Americhe, l’Australia, il Giappone. A quanto ci viene riferito da fonti di stampa, dalle tv, il Kazakhistan ha preteso, l’Italia ha concesso… Astana ha ordinato, Roma ha ubbidito, per le solite faccende di bottega, si dice. Faccende di bottega che poi non tornano a nessun beneficio dei cittadini italiani. S’ha l’impressione che esse servano esclusivamente all’interesse di una plètora di individui: i potenti…
Da tempo ormai immemorabile, l’Italia non fa che obbedire. Obbedisce all’Unione Europea, obbedisce alla Cina, obbedisce all’India, presto ubbidirà, forse, anche a Tonga, alle Isole Figi, a Samoa, al Belize, alla Mongolia Esterna… Per oltre trent’anni obbedimmo perfino al Colonnello Gheddafi, vale a dire a un “mazzolatore”, a un terrorista: al dittatore che nel 1970 espulse in poche ore e con due soli soldi in tasca italiani che vivevano in Libia da venti, trenta, quarant’anni; e italiani nati in Libia, e perciò libici! Un bel giorno un nostro Presidente del Consiglio volle addirittura baciare la mano al “capataz” nordafricano, tronfio, appagato…
Ecco perché in noi la nostalgia dei tempi andati si fa sempre più acuta.
Nostalgia delle ore, dei giorni di Sigonella (26 ottobre 1985), di quando il Presidente del Consiglio Bettino Craxi, socialista, difese con energia e successo la nostra sovranità nazionale dagli americani nella base aerea siciliana.
Nostalgia del ritorno di Trieste all’Italia (11 ottobre 1954), ritorno accelerato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Pella, democristiano, il quale nel giorno fatidico, e con spirito salutarmente romantico, volle inviare a Trieste i Bersaglieri: Trieste tornò italiana al suono trascinante della Fanfara dei Bersaglieri lanciati in corsa fra la folla strabocchevole, entusiasta. Commossa. Per spiegare qui la nostra nostalgia, bastano questi due esempi: Trieste e Sigonella, appunto.
Oggi, invece, non proviamo che nausea, avvilimento.