Roma, strada consolare Tiburtina. Direzione Tivoli. La vecchia Roma nord della Zona industriale, a due passi dal carcere di Rebibbia. La Roma pasoliniana. Delle borgate proletarie di San Basilio e Collatino. Campi da calcio, case popolari d’epoca fascista, osterie, fabbriche dismesse o in costruzione. Qualche cinema. Tanti “zozzoni” – i venditori assonnati di panini di gomma con porchetta e salsiccia. Due o tre i forni che, a tarda notte, vendono pizze e cornetti ai nottanbuli gonfi di vino. E poi mignotte e transessuali. Ma anche gruppi di africani, rumeni, moldavi e albanesi. Tutti in attesa del primo bus del mattino per andare a lavorare. Quell’angolo di Roma lo ricordiamo così, nella sua decadente bellezza. Marginale per i fighetti della Roma bene. Essenziale per chi fighetto non era. Spontaneo ed allegro. Che faceva pensare alla diversità come vera ricchezza. Oggi, tutto questo, quasi non c’è’ più. Certo, le puttane ancora ci sono. Come ci sono, ancora, quelli che partono per andare a spezzarsi la schiena all’altro capo della metropoli. Rimangono un paio di bettole dove poter mettere qualcosa sotto ai denti. Ora è tutto un fiorire di sale bingo, “Mega bingo”, “Mega bet”, Big Jackpot”, “Dubai Palace”. Attaccati uno all’altro. Senza regole. Un solo intervallo, una pompa di benzina. Ma dietro, se guardi bene, c’è una sala bingo che spunta. Immancabile.
Un tempo, quel pezzo di Roma, a tarda notte, era una guida solitaria e crepuscolare nella semplicità delle borgate. Ora è un incontro di fantasmi ed alieni. Uomini soli con le occhiaie e drogati d’azzardo. Coppiette della periferia che invece di andare al cinema – la sala proiezioni ha lasciato il posto al bingo – vanno a sputtanarsi il budget settimanale, quello destinato al gioco. Vecchi che il vizio non l’hanno mai perso. Uno dei tanti. Un vizio peggio del bere e del fumo. O di quella puttana, una volta ogni volta tanto. Altri ragazzi più giovani alla silenziosa ricerca della doppietta: vinco, poi vado a troie. E se non vinco, ci vado lo stesso.
Davvero tante, troppe, raccontano sociologi e psicologi, le persone d’ogni età, sesso o categoria sociale che si rovinano o mandano sul lastrico, sé stessi e le loro famiglie. Perchè non ce la fanno a smettere. Pare che ci siano in Italia più di 800 mila persone dipendenti dal gioco d’azzardo, quasi 2 milioni di giocatori sarebbero a rischio. Il giocatore d’azzardo fa parte, per una quota intorno al 50 per cento, delle fasce più deboli della popolazione. Quel che si vede sulla Tiburtina è dunque la mutazione genetica della periferia romana. Non solo geografica, ma antropologica e di costume. È un ipotesi di arricchimento a macchia d’olio e di controllo territoriale nella quale mafia, camorra e ndrangheta hanno saputo inserirsi. Riciclando denaro, taroccando le macchine bingo, nascondendo i loro proventi illeciti. E facendone di nuovi. Sarebbero 49 i clan che si spartiscono il racket del gioco d’azzardo, dal Piemonte alla Sicilia, con poche regioni immuni. Famiglie ben note, al centro di indagini di tante procure: i Casalesi, i Mallardo, gli Schiavone, i Santapaola, i Condello, i Cava e i Lo Piccolo. Questi clan sono ormai presenti su tutto il territorio nazionale ed hanno enormi interessi nel gioco legale e in quello illegale. I loro flussi di denaro sporco hanno imbastardito il panorama urbano. Hanno moltiplicato la dipendenza del gioco, con la complicità di intense campagne pubblicitarie su radio, televisione e internet. Hanno compresso spazi per la cultura e ridotto altre forme possibili di interazione sociale. Confondendo l’illegalità nella legalità.
Sarebbe forse ora che si rivedesse un po’ tutta quella legislazione selvaggia che ha prodotto l’imbarbarimento sociale ed economico della vita delle città e dei piccoli centri urbani. Che fare? Obbligare la pubblicità dell’azzardo a mettere riferimenti al gioco “che crea dipendenza” non pare sufficiente. Ci risulta che radio, giornali e televisioni non facciano più pubblicità per le sigarette. Si faccia altrettanto per il gioco d’accordo. E poi? Alzare le tasse e i prezzi di concessioni per evitare la proliferazione indiscriminata e anti-sociale di sale bingo? Potrebbe essere una soluzione, ma non sappiamo darne una migliore. E lanciamo, intanto, un grido d’allarme. A Roma il tema della camorra che ricicla denaro sporco nel controllo di centinaia di esercizi commerciali del centro storico è rimasto tabù per anni. Solo ora se ne comincia a parlare. A noi, la periferia romana – come quella delle grandi città italiane – piace. Davvero tanto. Come fosse il sud dell’anima. E di un universo che vorremmo un po’ più simile a come a ce lo ricordavamo. Chiamateci nostalgici e conservatori. O neo-pasoliniani. Crediamo nel progresso. Ma non nello sviluppo. E soprattutto non crediamo in questo tipo di sviluppo. In cui lo Stato e le mafie si arricchiscono insieme. Lucrando l’uno accanto all’altro sui vizi e sulle malattie degli italiani.