Un saluto a tutti voi da Roma, la città dove vivo e dove sono nato.
Di mestiere faccio lo scrittore. Per più di trent’anni ho scritto testi per programmi televisivi e radiofonici, fumetti, fiabe per bambini, romanzi. Quest’anno di miei libri ne sono usciti addirittura due, uno in Italia, Destini di sangue e l’altro negli Stati Uniti, The Other Eisenhower.
Al mestiere di scrittore si è aggiunta nell’ultimo decennio una nuova attività. Insieme a mia moglie, infatti, sono proprietario di un boutique hotel nel centro di Roma, frequentato al novanta per cento da americani. L’Hotel Modigliani è aperto ormai da tredici anni e da noi sono passati migliaia e migliaia di cittadini statunitensi, molti di loro naturalmente di origine italiana, di prima, seconda, o anche terza generazione. Abbiamo visto entrare da noi americani di tutti i tipi e le forme. Magri, grassi, belli, brutti, simpatici, antipatici, nervosi, alcolizzati, prepotenti, arroganti, gentili, innamorati del nostro paese e della nostra cultura, fissati con lo sport, fissati con il cibo, fissati e basta.
Insomma il più variegato album di cittadini a stelle e strisce è passato sotto i nostri occhi, soggiornando nel nostro albergo per brevi o anche per lunghi periodi. Molti di loro, dal cognome tipicamente italiano, sono venuti nel nostro paese per la prima volta, alla ricerca delle loro radici. Sono passati per Roma per andare poi in Calabria, in Campania, in Sicilia o in qualche altra regione a ritrovare parenti, cugini, amici o soltanto per vedere il luogo da cui molti anni prima erano partiti i loro nonni o i loro genitori per emigrare verso il nuovo mondo, verso la terra promessa. Probabilmente nei loro occhi di cittadini americani di oggi erano ben impresse le immagini viste tante volte nei filmati di repertorio, con quei giganteschi piroscafi provenienti dall’ Italia, ricolmi di uomini, donne e bambini tristi, poveri, privi di cultura, che da Ellis Island guardavano a bocca aperta i grattacieli di New York, nella speranza di ottenere presto una vita migliore di quella misera e senza speranze che si erano appena lasciati alle spalle.
L’amico Stefano Vaccara, fondatore di questo bellissimo giornale, mi ha gentilmente chiesto di collaborare con una nuova rubrica in cui io possa citare ricordi personali e aneddoti della mia esperienza di albergatore, usando però la penna dello scrittore. Il titolo che abbiamo voluto dare a questa serie è ispirato al celebre film diretto da Steno nel 1954 e che rese celebre in Italia il grande Alberto Sordi, attore amatissimo dagli italiani e da noi romani in particolare.
Spero che i ritratti dei personaggi descritti potranno risultare interessanti e anche divertenti, simpatici, curiosi. Perché una cosa è conoscere gli americani o gli italo-americani nel proprio paese, un’altra è vederli all’opera all’estero e, ancora meglio, nel paese d’origine della propria famiglia. Personalmente ritengo un onore poter accogliere, come albergatore, gli italo-americani di prima generazione, quelli che oggi sono intorno agli ottanta-ottantacinque anni e avere la fortuna di condividere i loro ricordi che descrivono un mondo, italiano o americano, che oggi purtroppo non esiste più.