9 gennaio 1999, ore 10 am. Partenza da Roma Tiburtina, destinazione Montpellier, Francia. Si saliva sul bus della gloriosa catena Euro lines. Per dare un tocco bohemienne ed eroico alla piccola impresa. Roma-Firenze-Genova-Nizza-Marsiglia-Montpellier. E c’era poi chi proseguiva per la Catalogna o l’Andalusia. Era l’Erasmus, l’esperienza di studio in un’altra università del continente. Citata spessa nelle settimane scorse dal presidente del Consiglio Enrico Letta per ricordare il sogno europeo. L’Erasmus è stato, per molti, lo staccarsi da cose e persone a noi care. Abitudini, mamma e papa, l’amore che avevi appena cominciato a ipotizzare. E gia escludevi. “Fatte non foste per viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza:. “Siam partiti” – mi ha ricordato un amica. Ma poi non siamo piu tornati”. Ed anche chi lo ha fatto è rimasto comunque aggrappato ad una particolare voglia di fuga. Quella fatta di curiosità di capire e conoscere. Altri popoli, altri linguaggi, altre verità.
Palestra di vita e di forti emozioni, l’Erasmus fu ribbattezzato orgasmus per meglio chiarirne, tra noi, quel senso europeo di scambio fatto di amicizia, amore e sesso. Un esperimento ansioso di conoscenza dell’altro. Di distacco dalla quotidianietà italiana. Di immersione sociale nel nuovo-ismo che tanti tra noi, sinistroidi e non, erano contenti di abbracciare. L’europeismo di seconda generazione. Non meno intenso di quello dei padri fondatori. A volte, l’Erasmus ti rimaneva cosi dentro che poi la sognavi, una vita in Europa. Nel privato o in quelle istituzioni europee che un tempo accendevano qualche entusiasmo. L’Europa diventava l’orizzonte necessario di tante aspirazioni. Personali e politiche. Sull’Europa, felice, ci facevi una tesi di laurea. Magari ci sputtanavi i soldi per un master. Nuove coordinate di spazi che non chiedevano passaporto. Cominciava a bastare una sola moneta.
Cosa è rimasto, oggi, di quel sogno europeo? Ancora molto, certo. Ma anche tanta delusione.
Quel molto è tutto nella persistente capacità dell’Europa di creare e promuovere pace. Una funziona davvero preziosa, ancora oggi confermata – dopo il dramma del 1999 e l’ultima Guerra dei balcani – dalla complessa riconciliazione in corso tra Serbia e Kosovo. Fu così che l’Europa si aprì alla Grecia, alla Spagna e al Portogallo nei primi anni ’80. Allo stesso modo, dopo il crollo del muro di Berlino, l’Europa offrì una proposta di democrazia e benessere ai Paesi dell’ex blocco sovietico. In tutto questo suo allargarsi al sud e al nord, l’Europa non è mai riuscita a dotarsi di strutture istituzionali realmente democratiche (ad eccezione del Parlamento Europeo). Non elegge un capo della Commissione Europea. Non ha partiti autenticamente europei. E, soprattutto, ha una banca onnipotente che detta spesso modi, tempi e contenuti delle politiche economiche e finanziarie degli Stati membri. Tutte improntate alla rigorosa austerità.
A chi scrive, la crisi dell’Europa non sembra essere solo quella dell’euro, manifestazione finanziaria di una difficoltà piu profonda. La crisi dell’Europa appare soprattuto nella Germania anti-europea degli ultimi anni. Che guarda con disprezzo alla pur criticabile allegria fiscale dei paesi mediterranei. Si conferma nell’assenza della comprensione e della solidarierietà di un tempo. Sentimenti che avevano ispirato il tedesco Helmut Kohl a cedere il marco in cambio della Germania unita in Europa. Le garanzie necessarie per un continente che voleva evitare altri conflitti mondiali. La crisi dell’Europa appare poi come una crisi tutta meridionale, “roba da camera a sud”. La Spagna ha smesso di crescere da anni. La Francia deve prenderne atto. La Grecia e Cipro sono semi-commissariate. E la nostra Italia sembra esserlo dalla caduta dal governo Berlusconi. Esecutivo che qui, è bene chiarirlo, nessuno rimpiange. Ma ne siamo piuttosto certi: tra venti’anni, gli storici scriveranno del governo Monti – nato nell’autunno 2011 – come del primo “governo europeo”. Un commissario dell’Unione calato dall’alto. O “sollecitato” da Bruxelles e dai mercati finanziari europei (versione “politically correct”).
Qualche decennio fa, i leader democristiani andavano a Washington a pochi giorni dal voto di fiducia a governi altrettanto improbabili (monocolari democristiani, penta-partito, “balneari”, etc). “I consoli” cercavano sostegno nella capitale dell’Impero. Oggi, la dimensione è ancor più provinciale, mestamente europea, con il premier Letta che corre a Berlino e Parigi, per “rassicurare i partner”. Il tutto in nome di emergenze sovraestimate. E di una nuova ideologia continentale che impone esecutivi nient’affatto in linea con la volontà popolare manifestatasi nelle urne. Eppure, di emergenze vere, l’Italia e l’Europa ne hanno conosciute davvero. Quelle delle guerre e del terrorismo degli anni ’70. Le generazioni che crescono oggi, a Parigi come ad Atene, a Roma come Berlino o Madrid, vogliono forse “sentire” nell’Europa qualcosa di più della stanca retorica emergenziale dei nostri tempi. Qualcosa che non sia la sola dimensione scontata di una pur grande conquista dei padri o dei fratelli maggiori. Serve qualcosa che faccia sognare. Qualcosa come l’Erasmus.