Dunque Letta. Enrico. Mai “dunque” in principio di frase, insegnava la Signora Maestra, perché è una congiunzione e precisamente “congiunge” un discorso alla sua conclusione; significa “alla fine”, “finalmente”. Giusto. E infatti questo Governo conclude un discorso, anche abbastanza complicato, se è per questo. Solo che non è chiaro quale sia. Per questo esprimo, cioè rendo espressa, solo la conclusione. Ma il discorso che si conclude c’è. La Signora Maestra può stare tranquilla.
E quale discorso ha concluso, il Governo Letta? La Caporetto parlamentare consumatasi sul fronte presidenziale, si osserva. Certo. Ma Caporetto di chi? Ma degli italiani e della loro fiducia nella politica rappresentata dai partiti tradizionali o dai loro scombiccherati eredi. Siamo sicuri? Bè, in effetti, salta all’occhio la dissoluzione del Partito Democratico, magari favorita da Grillo, però il guasto era interno. E poi? Ah, sì, è stato il trionfo di Berlusconi. E Basta? Perché che altro c’è?
Ecco: questo altro alcuni proprio non lo vogliono vedere. E’ solo questo “altro” ciò di cui Enrico Letta simboleggia la conclusione, di cui è il “dunque” e che forse connette quei fatti e, connettendoli, li spiega, magari diversamente da come fanno quelle risposte-tipo. E’ finito il ventennio. Il ventennio di chi, letteralmente, ha inventato un Idolo Polemico per esistere, per giustificare l’invettiva ansimante come cifra politica, la scomunica (cioè la cacciata dalla comunità) come metodo, la distruzione del processo penale come pegno necessario al lavoro sporco, la riduzione della parola a corpo contundente, la manipolazione strutturata come sofistico sostituto del commento critico. Un ventennio che solo ricadendo in quella lurida giostra si potrebbe chiamare antiberlusconiano. Quasi fosse una questione personale (anche se per molti, dal patente profilo paranoico, francamente pare lo sia).
L’andamento assunto dal PD, indubbiamente anfetaminico, ha riassunto non il malessere di un paio di mesi, ma la malattia di vent’anni. Il P.C.I., e successive filiazioni, ha sempre avuto, alla sua sinistra, chi ha provveduto a dargli del “venduto”: e oggi, una buona parte di costoro è confluita nel Movimento Cinque Stelle, ereditandone la fissità adolescenzial-movimentista (in parte, perché una parte troppo trascurata è di elettori del Centro-Destra, che hanno vissuto Monti come incomprensibile sbocco politico).
Questa idea di una purezza contaminata ha però avuto, accanto alle avanguardie militanti, un sostegno più defilato, elitario, abituato a ragionare sul lungo periodo, sulla definizione di una “linea d’ombra”, oltre la quale si lavorava ad estendere, ridurre, segmentare, comunque conformare quella ufficiale del partito, con il risultato di farne, da linea che era, un groviglio inestricabile, come si è dolorosamente visto.
Tale “potere d’elite” si è coagulato intorno all’Ing. De Benedetti che, non a caso proprio a partire dalla c.d. Guerra di Segrate, scoppiata alla metà degli anni Ottanta, ha imposto la sua feroce disputa aziendale con Berlusconi quale centro della vita politica nazionale; e da lì diffondendo una sapiente soap-version delle sue alterne vicende: tutta disinteresse e bene comune, remota le mille miglia dalle ruvidezze della finanza d’assalto. Magnum Opus della nutrita e alacre schiera di intellettuali indipendenti che compone la falange editoriale del Gruppo.
Solo che il Governo Letta e il Presidente Napolitano hanno recepito un’altra storia, innalzandola a fondamento di una nuova “costituzione materiale”: una storia per la quale, tutto, ma proprio tutto, quello che si è detto e scritto in vent’anni di indagini e di sentenze è, sostanzialmente, autenticamente, ininfluente ed ininfluente perchè falso.
Si può costituire un Governo in un momento di drammatica difficoltà avendo spalle larghe e bocca buona. Ma mai, in nessun caso e sotto nessuna pressione o urgenza, si potrebbe investire di un tale altissimo compito chi avrebbe fondato e simulato la veste legittimamente aziendale di Cosa Nostra; chi, per questo, avrebbe dato mandato di eseguire le stragi di Capaci e di Via D’Amelio; chi, già che c’era, avrebbe corrotto la Guardia di Finanza, evaso ripetutamente le tasse, alimentato la sua turpe pedofilia, pagato e corrotto giudici e testimoni per sconfiggere il suo storico nemico. Lo hanno a lungo sostenuto; in qualche caso lo hanno anche scritto, in nome del popolo italiano.
Questa storia, questo discorso, in nome del popolo italiano, nell’Aula dove il Popolo sovranamente si esprime, e con lo stigma di una Presidenza della Repubblica storicamente eccezionale, è stato proclamato falso. Questa storia “dunque” si avvia a dissoluzione. Non il PD, o qualsiasi cosa verrà a proporsi “finalmente” come una Sinistra liberata da ogni complesso, dalla paura di sentirsi troppo poco di sinistra, proprio quando lo è di più: quando più è istituzionale, più lungimirante, più serena, più solida nel comporre a sintesi passione politica, interesse rappresentato e cittadinanza: cioè proprio ciò che il P.C.I. ha sempre fatto quando si guadagnava gli strali dei puri, specialmente di quelli miliardari.
Scoperta la falsità, sul terreno, in macerie, resta la squilibrata e incostituzionale magistratura italiana (tutta: i “buoni”, dallo strapotere dei “cattivi”, lucrano con questi uno status economico e giuridico degno di una satrapia, tanto più intollerabile in tempi come questi; ma, dalla pur nutrita folla della “casta”, i magistrati, chissà perché, mancano sempre; bisognerebbe chiedere a Stella e Rizzo), e, con la magistratura, in macerie, è finita l’idea stessa di “Giustizia”; il giornalismo indipendente, e, infine, la fiducia nella possibilità di uno spirito comunitario, altrimenti noto come Carità di Patria.
Il “dunque” del Governo Letta è tutto qui. Da qui bisogna ricominciare. Anche se si attendono dure controffensive.