Giulio Terzi di Sant’Agata non ha bisogno di presentazioni quando viene a New York. Anche da ministro degli Esteri, il diplomatico bergamasco riconosce subito coloro con cui ha promosso l’Italia in America quando era ambasciatore sia all’Onu che a Washington. Al Consolato di Park Avenue gli viene consegnato un premio dal Cav. Joseph Sciame a nome della comunità e stringendo la mano al Prof. Anthony Tamburri del Calandra, esclama: “Ecco qui le forze combattenti della nostra cultura”. Il Console Generale Natalia Quintavalle lo introduce come “il nostro ambasciatore Terzi, per questa relazione speciale che ha con la comunità italiana in America”.
Terzi ha appena terminato una maratona diplomatica con a fianco il premier Mario Monti per i lavori dell’Assemblea Generale dell’Onu e siènotato al Palazzo di Vetro il contropiede della politica estera dell’Italia di quel ministro “super tecnico” con la velocissima squadra dell’ambasciatore Cesare Ragaglini. Venerdí pomeriggio Terzi ci ha concesso questa intervista:
Nel discorso all’Assemblea Generale, Monti dopo aver detto che questa è la crisi peggiore della storia dell’Unione Europea, ha citato Jean Monnet: il processo di integrazione europeo “sarà costruito attraverso le crisi”. Ma questa crisi che abbassa drammaticamente il tenore di vita sta compromettendo la voglia d’Europa degli europei. Come si può costruire “Più Europa” quando le misure anticrisi sembrano moltiplicare l’opinione dei cittadini che pensano che ce ne sia “troppa” d’Europa?
“E’ un grande piacere poter parlare anche ai lettori di America Oggi e a tutti gli italiani in America. I temi europei sono in primissima evidenza alle Nazioni Unite. Lo sono stati durante la visita del Presidente del Consiglio e al Palazzo di Vetro nel suo discorso all’Assemblea Generale. Ma anche negli incontri numerosi che ci sono stati con la realtà dei ‘think tank’ e la realtà finanziaria di New York. Più Europa, questo è il messaggio che il governo italiano sta dando in ogni occasione e non è limitato al governo italiano ma è un messaggio profondamente sentito in un ampio gruppo di paesi dell’eurozona ma anche al di là dell’eurozona. Qui a New York il messaggio è stato portato da 11 ministri degli esteri, il cosidetto ‘Gruppo sul futuro dell’Europa’, che si è mosso su una iniziativa originaria del ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle, vi partecipano i paesi fondatori quindi l’Italia in primis insieme poi ad altri paesi che hanno aderito all’Ue in fasi successive e il messaggio che questo gruppo ha dato è che: questo è il momento. Alla fine di un percorso dell’eurozona che sembra essersi rassenerato dopo le decisioni importanti dell’ECB, la decisione della Corte suprema tedesca, e della nuova situazione politica in Olanda, ecco alla fine di quesa fase significativa, è il momento per concentrarci nuovamente su una maggiore integrazione per tutta l’ampia gamma di questioni che riguardano l’unione economica e monetaria ma anche per le questioni piú tipicamente politiche. E nel messaggio che è stato trasmesso da questi 11 ministri degli esteri ai presidenti Barroso e Van Rompuy, a margine dell’Assemblea Generale, erano contenuti degli elementi di ispirazione italiana di consolidamento dell’integrazione sul piano della politica estera, di sicurezza e di difesa, il rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo, di una maggiora legittimazione anche della Commissione europea nei confronti dell’opinione pubblica e dell’elettorato e di una serie di misure concrete che possono essere attuate sia all’interno del regime esistente del trattato di Lisbona sia anche a termine attraverso degli emendamenti che potessero essere consentiti in aggiunta e modifica dell’attuale trattato. Quindi più Europa per un’Europa migliore e per una maggiore comprensione delle opinioni pubbliche. Una maggiore comprensione che però in Italia si sta già dimostrando, per la capacità di ampie fasce dell’opinione pubblica di comprendere la necessità di misure economiche difficili per un salto di qualità nella governance economica e anche per un ritorno alle politiche di crescita”.
Monti ha avuto diversi incontri a New York. Sembra che averlo a capo del governo tranquillizzi molto Berlino, la Casa Bianca e l’economia globale. Monti ha detto che non prevede e non si augura un suo governo bis ma che, anche dopo le elezioni, se sarà necessario, si farà trovare pronto. Oltre a restare anche lei pronto come Ministro degli Esteri, ci dica la verità, lei auspica un Monti Bis?
“Io auspico una prosecuzione della politica e della strategia d’insieme portata avanti da questo governo in un quadro europeo e anche, diciamoci la verità, in uno sforzo di modificare il rapporto fra i nostri concittadini italiani e la politica. Questo rapporto deve ritornare ad avere una sua fiducia vissuta e profonda. Deve essere un rapporto costruttivo, trasparente e onesto, basato sulla fiducia. Sono convinto che il governo Monti in questi dieci mesi ha cercato anche di fare evolvere il modo in cui si gestisce la cosa pubblica. L’attenzione in tutti i suoi particolari alla correttezza del denaro e al rispetto del contribuente. Sono convinto che ci sia anche uno sforzo in questo governo di riportare un rapporto di fiducia fra il cittadino e lo Stato”.
Quindi se non proprio un Monti bis, un “Monti mentalità bis”?
“Direi che sono importanti le politiche al di là delle persone.”.
Passiamo alla crisi della Siria. Lei ha escluso ogni possibilità di soluzione libica, ma proprio in queste ore il governo Usa ha dichiarato che i siriani hanno spostato alcune armi chimiche. Se dovesse perderne il controllo o solo minacciarne l’uso, anche in questo caso bisognerebbe escludere l’intervento militare?
“Ci sono delle posizioni molto chiare e che sono state espresse da paesi membri del Consiglio di Sicurezza sulla linea rossa che esiste attorno all’arsenale chimico siriano. Io non ho una conoscenza diretta di quello che sia avvenuto in questo arsenale ma so con certezza che l’utilizzo o anche semplicemente il dispiegamento significativo di questo arsenale verrebbe considerato come una misura che produrrebbe delle reazioni immediate. Quindi la grande tragedia siriana non deve assolutamente oltrepassare questa soglia di cricità. Deve essere innanzitutto affrontata con una grande sensibilità e capacità di risposta alla grande crisi umanitaria che ha proporzioni devastanti: 300 mila rifugiati in Giordania, Turchia e Libano, due milioni di rifugiati interni, difficoltà di immense tendopoli ad affrontare l’inverno, rischi di movimenti ampi di popolazione nella regione e anche negli stati del Mediterraneo. Quindi la risposta alle esigenze umanitarie oltre che un imperativo morale e anche una necessità e un interesse dei nostri paesi. E poi la risposta politica, dobbiamo lavorare affinché le opposizioni molteplici opposizioni trovino una loro identità e possano porsi come una vera alternativa al regime e che possa dare fiducia alle minoranze, che sappia farsi comprendere e comunicare in modo rassicurante nell’interesse di tutti. E’ coerente con quella linea di fondo dela politica estera italiana che abbiamo portato anche ai lavori dell’Onu, con un importante sessione sull’educazione e i diritti umani come modalità di tutela e di promozione della libertà e in particolare come tutela anche delle minoranze e della libertà religiosa”.
Il presidente Obama ha ribadito all’Onu che il valore democratico della libertà d’espressione è assoluto. Ma l’egiziano Morsi e l’iraniano Ahmadinejad all’Onu, sulla libertà d’espressione, hanno detto che deve andare di pari passo con la responsabilità, cioè il rispetto della persona e delle religioni. L’Italia a quale interpretazione è piú vicina?
“Noi abbiamo una posizione costituzionalmente garantita per quanto riguarda la libertà di pensiero, di culto, la tutela della dignità dell’uomo. La tutela della dignità anche nei valori del credere e del non credere di una persona costituisce un tutt’uno, e oltre che esserlo costituzionalmente,ègarantita anche sul piano legale, pensiamo che il nostro codice penale contiene una disposizione precisa in materia di reato di blasfemia che viene punito. Quindi pur esistendo una linea sottile fra libertà di espressione e tutela di questa libertà ma al tempo stesso di repressione di tutti i comportamenti che siano ingiuriosi ed offensive per le fedi altrui, esiste indubbiamente una linea sottile che è oggetto di disposizioni non tutte coincidenti anche tra gli stessi paesi occidentali e anche all’interno dell’Ue, ma per l’Italia la risposta mi pare che sia chiara”.
Libertà di religione: ne avete discusso ieri in una sessione presieduta dall’Italia e la Giordania, a cui hanno partecipato ministri di 15 paesi e moltissime ong. Piú che da un video americano blasfemo, la libertà di espressione religiosa non viene messa in pericolo in quei paesi dove i cristiani rischiano attacchi ogni volta che si recano in chiesa? O in quei paesi dove è vietato costruire una chiesa, una sinagoga, un tempio?
“Il governo italiano, da diversi mesi, ha dato più alta visibilità e un ruolo più immediato al tema della libertà religiosa e della protezione delle minoranze. Nonènuovo,ènella tradizione e nel dna della politica estera italiana da diversi anni, ma abbiamo dato con i fenomeni che abbiamo visto in molti paesi del Mediteranneo ma non solo, basti pensare anche al golfo di Guinea, ha acquistato una attualità crescente ed è per questo che io ho insistito negli organismi comunitari affinchè questa strategia di tutela delle minoranze e delle fedi venisse bene incardidata nella strategia di politica estera e di sicurezza dell’Ue. L’iniziativa che abbiamo promosso ieri alle Nazioni Unite insieme al ministro degli Esteri Giordano Nasser Judeh, ha avuo una risposta molto ampia e forte raccogliendo dei consensi incondizionati. E da queste iniziative intendiamo continuare attraverso un impegno piú organizzato strategicamente quando si tratta di approvare delle risoluzioni dell’Assemblea Generale e del Consiglio dei diritti umani, risoluzioni che non siano piú frammentate su singoli temi ma che possano costituire un vero corpus juris per la comunità internazionale. Al tempo stesso vorremmo muoverci con l’organizzazione di un forum fatto insieme alla Germania che raccolga società civile, governi, personalità dell’università, esperti, per mettere meglio a punto le iniziative che possono essere portate avanti anche dalle associazioni di volontariato e ong che si interessano di cooperazione allo sviluppo perché credo che nella gestione dei percorsi educativi che spesso sono propri alla nostra cooperazione allo sviluppo dei paesi europei, sia proprio qui la radice sulla quale dobbiamo lavorare. E’ l’educazione dei giovani sin dalla prima infanzia, al rispetto dell’altro alla tolleranza, e come qualcuno ha detto, all’accoglimento della fede altrui”.
I collaboratori di Terzi devono interrompere l’intervista, si è in ritardo per l’appuntamento con la comunità in Consolato e poi all’Istituto di cultura per la presentazione del libro della giornalista Susanna Pesenti “Dag Hammarskjold. La pace possibile”, di cui il ministro ha scritto la prefazione. Ci rimangono nel taccuino le domande sul 2013 e la comunità italiana, sulla crisi dei Comites.
Nel discorso al Consolato Terzi parla di questi temi e difende anche l’operato dei Comites. Eppure, dopo gli ulteriori rinvi delle elezioni, si pensava che a Roma non importasse piú dei consigli delle comunità sparseusitmedia
per il mondo. Mentre a Park Avenue si brinda, avviciniamo di nuovo il ministro Terzi:
Alla luce dell’ulteriore rinvio della elezioni dei Comites, li ritenete ancora necessari?
“Assolutamente sì. Ero appena arrivato alla guida della Farnesina quando l’ultimo rinvio è stato deciso troppo in fretta…. Abbiamo rimediato assicurando dei fondi per garantire il lavoro di istituzioni che reputo fondamentali. Ho riaffermato a Roma che si deve tenere in altissima considerazione l’attività svolta, e qui sottolineo che si tratta di lavoro di volontariato e grande spirito di sacrificio per l’Italia. I nostri connazionali nei Comites sono un servizio insostituibile per gli interessi delle nostre comunità”.