NEW YORK Sono 4500 i delegati che da lunedì affolleranno l’ United Center e il McCormick Place di Chicago per dare il via alla quattro giorni della Convention democratica.
“Convention”, cioè convegno, la riunione che tutti e due i partiti tengono per sancire la nomina del candidato ufficiale alle elezioni presidenziali. Ma anche una grande festa, un susseguirsi di tavole rotonde, mini-convegni, conferenze, nonché la finalizzazione della piattaforma su cui tutto il partito corre a novembre, dal presidente ai senatori, ai deputati, ai governatori.
Le Convention che vediamo oggi in tv o in streaming sono un’invenzione del Ventesimo Secolo. Anch’esse, come tante “correzioni” nel corso dei decenni, testimoniano di come la democrazia americana sia un esperimento continuo con l’aspirazione a migliorarsi. Nel 1835 nel suo “La democrazia in America”, Alexis de Tocqueville scriveva: “La grandezza dell’America non sta nell’essere più illuminata di qualsiasi altra nazione, ma piuttosto nella sua capacità di riparare i propri difetti”.
Una volta creata la Repubblica, difatti, non fu difficile scegliere come primo presidente George Washington, il comandante vittorioso delle forze coloniali nella Rivoluzione americana, il candidato inevitabile, che vinse le sue prime due elezioni senza una vera concorrenza.
Ma dopo di lui, i partiti non avevano sviluppato un percorso chiaro per restringere la rosa dei candidati, così ricorsero a riunioni private, i “caucus”, che però vennero presto criticati come elitari, oscuri e antidemocratici. Nella prima metà dell’Ottocento nacquero dunque le convention. Erano certo un passo avanti rispetto ai caucus, in quanto avvenivano sotto gli occhi di tutti, ma la scelta del candidato da proporre al voto dei delegati rimaneva ancora nelle mani dei “boss “del partito.
Risale ad allora la famosa descrizione delle “smoke filled rooms”, le “stanze piene di fumo” in cui si tenevano le riunioni segrete dei broker del potere che sceglievano il candidati da proporre alla convention. Non sempre le basi dei due partiti erano d’accordo e talvolta si doveva ricorrere a numerose votazioni. Nel 1912 ad esempio ci vollero 46 turni di votazione per nominare Woodrow Wilson.
Si andò avanti così per decenni, nonostante l’insoddisfazione degli elettori e degli stessi membri del partito. Le primarie erano allora di scarsa importanza, appena 15 Stati le tenevano ed erano considerate solo un modo per presentare i candidati, non per sceglierli. Successe così che nella disastrosa Convention democratica di Chicago del 1968, i direttorio del partito rifiutò di nominare il senatore pacifista Eugene McCarthy, che godeva di grande popolarità e aveva vinto le primarie che si erano tenute, e gli preferì Hubert Humphrey, il vicepresidente di Lyndon B. Johnson, che non aveva partecipato a nessuna primaria.
La Convention scivolò nel caos all’interno dell’Arena, mentre all’esterno era assediata dalle proteste contro la Guerra in Vietnam. Il partito democratico perse le elezioni, vinte dal repubblicano Richard Nixon.
Fu allora che il partito decise che era arrivato il momento di fare un altro cruciale passo verso la trasparenza e l’inclusione . Le nuove riforme furono formalizzate dalla Commissione McGovern-Fraser, che raccomandò di scegliere i delegati attraverso primarie e caucus, dando agli elettori un ruolo più diretto nella selezione del candidato del partito.
Da allora, grazie anche all’arrivo della televisione all news 24/7 e poi di internet, le convention si sono trasformate da accese riunioni dominate da influenti “boss” politici a eventi mediatici meticolosamente organizzati e di grande risonanza, che servono a unificare il partito dopo le lotte interne delle primarie e a lanciare ufficialmente la campagna elettorale per le elezioni presidenziali.
Questo di Chicago sarà ancora di più uno spettacolo celebrativo, perché Kamala Harris è già stata formalmente nominata con un voto elettronico il 5 agosto. Quando i delegati dei 50 Stati si alzeranno per dire il loro voto, sarà solo una cerimonia formale.
Se le attese manifestazioni di protesta per la guerra contro Gaza non degenereranno in violenza, ci si può aspettare un grande spettacolo. I democratici notoriamente organizzano convention più allegre, con oratori brillanti e stelle di Hollywood e della musica. Ma questo non significa vittoria sicura. Nel 2016, la Convention che nominò Hillary Clinton a Filadelfia fu un tripudio, ed è vero che poi alle urne Clinton ricevette più voti che Donald Trump, ma l’arcaico sistema elettorale americano, con la conta dei voti elettorali di ciascun Stato invece che la conta dei voti di ciascun cittadino, garantì la vittoria a Trump. E la riforma di quel sistema è sicuramente un altro dei passi che la democrazia americana dovrebbe fare verso la correzione dei propri errori, e la conquista di una maggior eguaglianza e partecipazione, come commentava De Tocqueville .