L’America se vuole, può tornare a essere un Paese normale. Un bel Paese. Lo ha dimostrato sabato con lo storico voto bipartisan per gli aiuti a Ucraina, Israele, Gaza e Taiwan, approvati tutti con una stragrande maggioranza di repubblicani e democratici e con una ristretta e irriducibile minoranza ribelle che si colloca ai lati estremi dei due partiti. Questo però fa parte di un naturale dibattito politico, che non è solo scontro, come predica Trump, ma confronto dialettico che alla fine porta al compromesso.
Di fatto è stato un voto contro Trump in tutte le sue declinazioni. Va anche detto, perché le cose devono essere chiamate con il loro nome, che c’è un unico grande architetto dietro questa storica decisione bipartisan che sembrava impossibile solo una settimana fa dopo mesi di stallo. È lo speaker repubblicano della Camera Mike Johnson, conservatore profondo, molto religioso e anti abortista, sostenitore leale di Donald Trump, che per un attimo però ha saputo mettersi, come lui stesso dice, “dalla parte giusta ella storia” e anteporre gli interessi dell’America e della sua sicurezza nazionale a quelli dell’ex presidente che non voleva far passare nessuno di questi aiuti fermi in Congresso da ottobre. La straordinaria e coraggiosa intuizione di Johnson è stata di essere andato a informare direttamente Trump della sua decisione a Mar-a-Lago senza presentarla come una ricerca di benedizione ma come un gesto di rispetto. E così lo ha spiazzato, diventando improvvisamente, dopo il successo del voto di sabato, con l’appoggio massiccio dei democratici, il piccolo Churchill del momento.
Ma l’approvazione del pacchetto di aiuti per un totale di 95,6 miliardi di dollari, che adesso il Senato entro martedì ratificherà nuovamente per poi mandarlo sulla scrivania di Biden per la firma immediata, è stata non solo una improvvisa “conversione” ma un gesto da statista acuto, che potrebbe cambiare l’intero scenario del Congresso americano e gli equilibri politici all’interno del partito repubblicano. Con quel voto, consapevole o meno, Johnson ha dimostrato che “il re è nudo…”.
Trump potrebbe essere bypassato altre volte in aula prima delle prossime elezioni presidenziali di novembre in nome del compromesso. Addirittura Camera e Senato potrebbero votare anche sui migranti e la sicurezza ai confini, dove già esiste un’intesa nella seconda assemblea, che però Trump ha fatto congelare o sopprimere per non dare vantaggi a Biden. Johnson rischia anche il posto e molti repubblicani vorrebbero cacciarlo. Si salverebbe e potrebbe rimanere presidente della Camera fino a dicembre (anche lui è sottoposto a una riconferma elettorale) solo con l’appoggio dei democratici che sono disposti a farlo se continuerà a usare l’arma del compromesso e non dello scontro.
Con quel gesto, anche se si tratta di una scelta di politica estera, Johnson ha dimostrato che l’America può funzionare senza i dictat di Trump e senza i suoi veti ricevendo un plauso internazionale. Anzi funziona meglio e il Paese può tornare a esprimere, pur nelle differenze, un senso di unità che sembrava perduto per sempre. E di questa svolta si stanno accorgendo anche molti deputati repubblicani impauriti e terrorizzati dal pugno rigido che Trump sta imponendo al partito nella sua posizione di candidato predestinato a vincere la nomination dell’elefante a luglio.
Un altro segnale nuovo, un indicatore di molte cose che potrebbero cambiare o iniziare a modificarsi presto alla corte del sultano Donald, è il flop delle azioni nella sua società di media, crollate a picco in pochi giorni dopo essere stata quotata in borsa. Un secondo l’apparente rifiuto, dei candidati repubblicani alle prossime elezioni, a versare il 5% dei propri fondi elettorali a Trump nel caso pensassero di usare la sua immagine e il suo nome come sponsor o traino.
Tra poche ore l’ex presidente dovrà affrontare l’inizio del dibattimento nel primo processo criminale che si tiene a Manhattan. Seguiranno a raffica gli altri in Georgia, Florida e Washington DC e ci sarà anche in settimana il pronunciamento della Corte Suprema sulla sua immunità presidenziale
Trump rimarrà bloccato 5 giorni a settimana nelle aule dei tribunali e Biden sarà libero di fare campagna elettorale nel resto dell’America. In una situazione così fluida e incerta anche i sondaggi e le opinioni potrebbero modificarsi in fretta. E se i MAGA gli rimarranno vicino a ogni costo, il loro voto da solo non basta a riportarlo alla Casa Bianca. Ancor meno a condizionare quello delle giurie popolari chiamate a valutarlo per i 94 reati di cui è accusato, dalla frode amministrativa e fiscale alla falsificazione del voto elettorale, fino all’incitamento che ha portato all’assalto del Congresso il 6 gennaio 2021. Tutti fantasmi che potrebbero tornare in aula o nelle schede elettorali il 5 novembre.