Se il 5 novembre Donald Trump avrà raggiunto e superato i 270 delegati elettorali, dopo la conta di tutti i voti diretti o per posta, sarà il quarantasettimo presidente degli Stati Uniti. Se quel traguardo lo raggiungerà invece Kamala Harris, sarà lei la prima donna nella storia a conquistare lo Studio Ovale e a guidare per quattro anni la più grande democrazia e il più potente Paese del mondo.
La Voce di New York non darà endorsement a nessuno dei due candidati, ma abbiamo le idee chiare.
Non crediamo che se Trump perdesse con largo margine verrà tentato dal desiderio di scatenare la violenza come è accaduto nel 2020. Ma se il distacco fosse minimo, come appare probabile, la reazione violenta e l’accusa di frode potrebbero scattare automatiche dal suo campo.
Non crediamo nemmeno che l’America, per quanto lacerata e polarizzata, avrà interesse a far esplodere una nuova guerra civile o a voler cancellare la Costituzione. Qualcuno lo teme, Trump lo minaccia, ma preoccupa molto quella piccola minoranza di pazzi e violenti che se lo augurano. Appartengono tutti alla destra più estrema e razzista del Paese.
La Voce di New York crede nella democrazia e non nella dittatura anche se di sole 24 ore.
Il nostro giornale, orgoglioso della sua indipendenza, crede nel rispetto del diritto di voto e non nella sua soppressione. Crede nel diritto internazionale che riguarda l’accoglienza e non nella deportazione di milioni di immigrati che per decenni hanno costruito le loro famiglie in America. Sono rimasti incensurati, fanno lavori onesti e necessari e sono pronti ad affrontare anche pene pecuniarie ammettendo le loro responsabilità fiscali del passato per affrontare un nuovo percorso verso la residenza permanente e arrivare col tempo fino alla cittadinanza. Crediamo inoltre che ciascuno abbia il diritto di realizzare le proprie aspirazioni e ambizioni, siano esse di imprenditore, studioso o semplice salariato purché questo avvenga nel rispetto delle regole e della legge.
Crediamo anche, formati da una cultura europea e italiana, che l’assistenza sanitaria sia un diritto e non un privilegio al quale tutti possono aspirare. Crediamo in una Social Security che garantisca una pensione adeguata e crediamo sempre meno a un assistenzialismo statale regolato da una burocrazia vecchia e pelosa che non stimola chi lo riceve.
Crediamo nel ruolo di un sindacato che non si scandalizzi davanti alla richiesta di produttività e di professionalità e che rimanga un’onesta controparte rispetto alle corporation o allo Stato.
Crediamo nella libertà d’impresa e nella competizione, nell’associazionismo e nelle comunità. Crediamo infine nell’esistenza di partiti politici trasparenti e inclusivi. Non crediamo nell’infallibilità di un uomo o di una donna soli al comando. Dopo l’esperienza e il ricordo del fascismo e del nazismo e degli autarchi in giro per il mondo, riteniamo che la democrazia e la diplomazia multilaterale siano gli strumenti migliori contro ogni forma di isolamento nazionalistico e protettivo. Crediamo nelle Nazioni Unite, non nella loro inefficienza, e in organismi rappresentativi al loro interno adeguati ai tempi, e non solo ai risultati della seconda guerra mondiale.
Non crediamo nei super PAC poco trasparenti di sinistra o di destra.
Crediamo nel diritto della donna a decidere liberamente del proprio corpo e nei liberi processi di procreazione. Crediamo nel compromesso politico, nella collaborazione, nella moderazione e nel pragmatismo. Ma crediamo soprattutto nei fatti e nella forza dei fatti stessi. Detestiamo le false notizie e chi le mette in rete indipendentemente dalla loro provenienza.
Qualcuno può pensare che presentata in questo modo la nostra linea editoriale possa avvicinarsi molto di più ai programmi e all’ottimismo di Kamala Harris che non al pessimismo di Donald Trump. Ma non importa. Non abbiamo mai trovato prove di haitiani in Ohio che mangiano i cani e i gatti dei vicini, o che dalla frontiera col Messico con la presidenza Biden siano entrati soltanto assassini stupratori e malati mentali, visto che ci sono migliaia di bambini e vecchi tra di loro e che il numero delle persone ammesse è diventato adesso meno di quelle che entravano quotidianamente con Trump alla Casa Bianca.
Crediamo molto nel diritto di voto per tutti i cittadini americani indipendentemente dal colore della pelle, dal grado di educazione o dal sesso, ma non capiamo perché solo i Maga gridano ai brogli senza portare prove.
Crediamo nella libertà della famiglia e del matrimonio con qualsiasi nucleo si possa formare.
Per l’elezione del presidente degli Stati Uniti siamo convinti che la soluzione migliore sarebbe il voto popolare e non il voto elettorale, visto che il vincitore dovrebbe essere il presidente di tutti con Camera e Senato a fare da bilanciamento al suo enorme potere.
Ma detto questo un fatto rimane certo. Quando i delegati dei vari Stati saranno a Washington il 6 gennaio 2025 per consegnare i risultati finali, ricevuti in ogni singolo Stato, quelli e solo quelli determineranno il vincitore. Lo dice la Costituzione. Donald Trump potrebbe vincere di nuovo come nel 2016 raccogliendo meno voti popolari come successe con Hillary. Ma potrebbe anche perdere (proprio perché il sistema non è universale) se ricevesse più consensi popolari e fosse Harris a raggiungere e superare i 270 voti elettorali. Da cittadini americani vorremmo che il presidente Biden impedisse con ogni mezzo un nuovo assalto al Congresso.
Quell’assalto ha condannato e indebolito la democrazia americana davanti al mondo. Non deve succedere più e la gente che ancora deve votare non può dimenticarselo.