Si candida come capolista? O non si candida? E se si candida, sarà al primo posto delle liste del Partito democratico alle elezioni europee in tutte e cinque le circoscrizioni? Elly Schlein, segretaria del Pd, ha lanciato in aria la palla della sua candidatura da un paio di settimane ma non la ha ancora raccolta. Chissà che cosa aspetta.
In questo momento sembra tutta presa dall’ipotetica sfida all’O.K. Corral con Giorgia Meloni, presidente del consiglio e leader di Fratelli d’Italia. Pur essendo ancora solo un’ipotesi – non c’è data, non c’è luogo, non c’è formula – Elly Shlein pensa che questo possa cristallizzare nell’immaginario degli elettori che sia lei il leader incontrastato dell’opposizione.
Pensava questo anche quando ha cominciato a far circolare l’idea della candidatura alle elezioni europee. Il suo nome come capolista non poteva che essere l’incoronazione come primo antagonista del governo di destra-centro di Giorgia Meloni. Poi, con il passare dei giorni, la segretaria del Pd deve aver cominciato a riflettere se il ballon d’essai lanciato nel dibattitto politico potesse alla fine rivelarsi un errore clamoroso. Così sicura che sul suo nome ci sarebbe stato un plebiscito dell’opposizione? Difficile crederlo perché i non piddini che l’avevano votata alle primarie aperte per l’elezione a segretario e fatta vincere, è più probabile che voteranno il loro partito preferito visto che il sistema è quello proporzionale.
E poi, dal cuore del Pd è cominciato un sussurro che si è fatto voce aperta di critica. L’inserimento della Schlein come capolista avrebbe reso molto complicato disegnare le liste e dividere i posti tra capi e capetti del Pd. Infine, c’è stata la rivolta aperta di molte donne del Partito democratico che hanno puntato il dito contro la Schlein dicendo che una scelta del genere avrebbe penalizzato le donne in lista: ovvio, essendo comunque certa la sua elezione (senza però le dimissioni dal Parlamento italiano per emigrare in quello Europeo) sarebbe stata scompaginata la regola del gender dove in lista si alternano un uomo e una donna.
Elly Schlein sa benissimo che mentre cerca di costruirsi il ruolo di capo incontrastato della opposizione, la sua leadership nel partito non è così salda come vuole far credere. Che senso ha altrimenti organizzare un conclave del Pd in un convento trasformato in hotel a 4 stelle di Gubbio per ragionare sulle mosse da fare nell’immediato futuro e non unirsi ai propri compagni, ma presentarsi per qualche decina di minuti a recitare un intervento senza aver partecipato alla discussione? Curioso modo di intendere la politica di un partito che deve ripensare la strada che aspira ad essere il più votato nel paese e dunque reclamare il diritto a governare l’Italia.
Ma non è la prima volta che Elly Schlein contraddice la storia che l’ha portata al vertice del partito. Lei è diventata il numero uno cavalcando – e vincendo – le primarie aperte, ovvero il voto concesso anche ai non iscritti al Pd. Nel primo turno, quello riservato agli iscritti la Schlein era seconda, poi il voto aperto ha cambiato tutto. Con questa esperienza alla spalle, che cosa ci si aspetta da lei? Ovvio, che ogni volta che c’è da scegliere un candidato che sia per il sindaco come il presidente di regione si svolgano primarie aperte per trovare colui o colei che è più amato/a dagli elettori.
E invece no. Tra pochi mesi si vota per rinnovare i sindaco di Firenze e primarie non ce ne saranno, la candidata è stata scelta dall’alto. E così accadrà in Sardegna per le regionali, e poi in Abruzzo. Stessa scena si ripeterà quasi sicuramente per la scelta del candidato sindaco di Bari e di Livorno. Chissà perché Elly Schlein nega agli altri quello che è stato dato a lei.
Oggi il suo solo problema è trovare la strada per farsi riconoscere come l’alternativa a Giorgia Meloni. Ma, ammesso che si faccia, non sarà certo un dibattito televisivo a porre sul suo capo la corona di numero uno dell’Opposizione.