Mario Draghi, il banchiere centrale del whatever it takes della crisi finanziaria poi prestato alla politica italiana per guidare un governo di larghe intese, torna sulla scena. È stato chiamato da Ursula von der Layen, la leader della commissione europea, per disegnare il futuro dell’Europa. Dovrà presentare un rapporto – ad elezioni Europee del 2024 già concluse – che aiuti la Ue e le sue leadership a immaginare in che direzione si andrà: a partire dalla questione competitività, ovvero il modo in cui la Ue dovrà confrontarsi con il resto del Mondo.
Perché Mario Draghi? Per il semplice fatto che dopo aver lasciato la guida del governo (silurato dagli alleati del giorno prima e senza altra ragione che la brama di potere e la vanità dei leader dei partito che lo sfiduciarono), l’ex banchiere centrale non aveva più avuto alcun ruolo pubblico. Ma in tre occasioni – a giugno al Mit di Boston, a luglio al National Bureau of Economic Research di Cambridge e a settembre sulla pagine di The Economist – ha detto la sua sullo stato dell’Europa.
Nei suoi interventi, Mario Draghi ha messo a fuoco i problemi che la Ue sta affrontando. Il processo di integrazioni minato dagli egoismi nazionali e dalle spinte sovraniste; il gap politico e culturale tra nord e sud del continente; la difficoltà di gestire eventi catastrofici come la pandemia o i processi migratori inarrestabili; la mancanza di strumenti finanziari adatti e flessibili per i momenti di crisi; la tragica attualità di aver sul continente una guerra come quella scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. Sono, ha scritto Draghi, tutti “schock troppo grandi perché un Paese possa gestirli da solo”.
L’ex banchiere centrale è riuscito nei suoi interventi, e soprattutto quello consegnato alle pagine di The Economist, a mettere a fuoco la questione chiave che ha davanti l’Unione Europea. «Le strategie che hanno garantito in passato prosperità e sicurezza dell’Europa – fare affidamento sull’America per la sicurezza, sulla Cina per le esportazioni e sulla Russia per l’energia – sono ora insufficienti, incerte e inaccettabili». In poche parole: il mondo che abbiamo conosciuto sta scomparendo e noi non sappiamo quale sarà il nuovo mondo. E ancora: «la paralisi è intollerabile per i cittadini, mentre la drastica opzione di uscire dalla Ue (la Gran Bretagna, ndfr) ha dato risultati contrastanti».

Ecco, mentre succedeva tutto questo, mentre cambiamenti epocali stanno avvenendo senza che ci sia una adeguata reazione, i leader della Ue e dei singoli Paesi sono tutti impegnati sul giorno dopo giorno, nell’amministrare gli effetti a volta catastrofici di eventi come la guerra, la crisi economica, la pandemia, il mutare dei rapporti tra le grandi potenze.
Ed è proprio qui la trovata di Ursula von del Layen: chiedere di immaginare il futuro e gli strumenti per governare i cambiamenti a chi, come Mario Draghi, non è impegnato nell’amministrare la cosa pubblica o nel fare scelte politiche quotidiane e ha dimostrato di saper governare crisi terribili come quella finanziaria a cui lui ed altri dette una risposta non convenzionale come accentare sulla Banca centrale europea il peso di gestire una enorme crisi di debito e di liquidità. Dare fiducia a un uomo delle istituzioni e non a uno di parte.
Oggi l’Unione Europea gestisce la vita di milioni di persone attraverso le sue strutture e le sue leggi. Una macchina che funziona nella routine giornaliera, ma che di fronte alle crisi e ai grandi problemi non sembra in grado di reagire adeguatamente. Perché non ne ha gli strumenti e la flessibilità (oltre che la possibilità) di navigare in mari dove non esistono le carte e perché le diverse visioni delle cancellerie (basti pensare alla rituale divisioni tra paesi del nord e del sud) fanno da freno facendola apparire come paralizzata.
Adesso il problema non è tanto stabilire se Draghi riuscirà nel suo compito. Leggendo i suoi tre interventi si comprende che alcune idee già ci sono. Sarà da vedere come reagiranno coloro che oggi guidano la Ue e le Nazioni che ne fanno parte quando Draghi presenterà il suo rapporto. Se con uno slancio che mira a fare della Ue un punto centrale delle relazioni internazionali oppure con una chiusura in tanti piccoli orticelli che ne sanciranno solo l’inizio della fine di un sogno chiamato Europa.