Mancano meno di 24 ore e potremo vedere che cosa l’alleanza di centro destra che ha vinto le elezioni sarà capace di fare in Parlamento prima e al governo subito dopo.
Domani mattina, giovedì 13 ottobre, si riuniscono Camera e Senato nella nuova formazione a ranghi ridotti, 400 deputati e 200 senatori. E il loro primo atto sarà di decidere chi saranno i presidenti dei due rami del Parlamento.
L’unica cosa certa è che saranno entrambi esponenti della coalizione che ha vinto le elezioni. Ma sui candidati non c’è ancora alcuna ufficialità e vengono fatti vari nomi, quasi esclusivamente di Fratelli d’Italia, il partito leader della coalizione, e della Lega, mentre Forza Italia appare fuori dai giochi.
Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, rispettivamente leader di Lega e FI, avevano programmato un incontro per il tardo pomeriggio di oggi (ora italiana) per discutere come far partire la nuova legislatura. In teoria, trovare un accordo sui presidenti del Parlamento sembrava essere abbastanza semplice. Matteo Salvini però ha deciso di non andare al vertice, lasciando soli Meloni e Berlusconi. Un modo per dire che le sue richieste – la presidenza del Senato per la Lega e il ministero dell’interno per lui – non sono cose a cui intende rinunciare.
Se questo è l’inizio a poche ore dall’apertura delle XIX legislatura, molto più accidentata sarà la strada per arrivare alla spartizione delle poltrone di governo.

Nelle ultime due settimane ha imperversato il toto ministri, un balletto di gossip, desiderata, autocandidature, veti e contro veti. Spesso dimenticando come le regole costituzionali scandiscano che la lista dei ministri venga presentata dal presidente del consiglio incaricato al presidente della Repubblica, il quale approva o respinge i singoli nomi.
Sarà battaglia nella riunione di oggi dei leader del centro destra – e lo sarà ancora nei prossimi giorni – per arrivare a un accordo sulle personalità da inserire nella lista e sugli equilibri (ovvero divisione delle poltrone tra i partiti che andranno a governare l’Italia) interni alla coalizione.
Il prossimo governo parte con un serio handicap. La coalizione che ha vinto le elezioni non si è presentata agli elettori con un programma comune, sia pure di pochi punti, che possono fare da collante perché il governo agisca avendo un obiettivo definito sin dal primo giorno. I tre partiti hanno messo a punto ciascuno il suo programma che spesso e volentieri indica strade inconciliabili tra loro: basta pensare alla Lega che ha chiesto a gran voce l’avvio con un robusto deficit di bilancio, ovvero nuovo debito miliardario, mentre Fratelli d’Italia prometteva realismo e concretezza finanziaria. O le mirabolanti promesse di Silvio Berlusconi sulla pensione minima di mille euro per tutti e il progetto di cancellare il reddito di cittadinanza.
Questa divaricazione nei programmi ha fatto sì che nel toto ministri, i candidati o gli autocandidati siano stati presentati come coloro in grado di rendere effettive le promesse della campagna elettorale (per esempio le sparate di Matteo Salvini che ha chiesto per sé il ministero dell’Interno autoproclamandosi in grado di risolvere il problema immigrazione), come se la conquista di una poltrona ministeriale possa automaticamente rendere reali le promesse elettorali.

Altra difficoltà del futuro governo, anzi soprattutto di colei che quasi certamente sarà chiamata a guidarlo, è il peso di ciascun partito. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia (più il minuscolo schieramento centrista entrato nella coalizione) possono solo governare tutti insieme. Giorgia Meloni sa perfettamente che Lega e Forza Italia, da sole o unite, possono far tremare la terra sotto i piedi dell’azione di governo. I loro voti sono sufficienti a far scomparire in un baleno la maggioranza alla Camera o al Senato.
Proprio per questo la partita della composizione del governo, del peso in termini di poltrone per ciascun partito, e il gradimento dei nomi proposti non sarà risolto nel vertice di oggi, ma andrà avanti ancora per molti giorni.
Il prossimo governo partirà con il piede sbagliato (e non avrà una gran futuro) se la lista dei ministri sarà composta in modo tale che ciascuna formazione porti avanti il suo programma, riducendo l’azione dell’esecutivo a un patteggiamento continuo dei singoli desideri e alla trattativa su ogni singolo provvedimento, scambiando il governo per un mercato dove la trattativa dei desiderata di ciascun partito segna la vita quotidiana del Paese.
La leader della coalizione, infine, sa di non avere a disposizione uomini o donne in grado di ricoprire tutti gli incarichi ministeriali. Basta vedere che sin dal primo momento, per il portafoglio dell’Economia, si sono fatti i nomi di illustri tecnici. E lo stesso, sia pure in misura minore, è accaduto per gli Esteri, la Difesa, l’Energia. Tutti incarichi che hanno bisogno di figure non solo professionalmente capaci, ma anche in grado di essere subito riconosciute e apprezzate in Europa. Su temi come finanza, politica estera, energia e difesa non solo non si può improvvisare, ma non si può neanche andare da soli o farsi mettere in un angolo a far da spettatori dei partner e degli alleati europei e della Nato.
Alle porte c’è la quasi certa recessione. Ai confini dell’Europa la guerra.