Il premier Mario Draghi non poteva essere più diretto ed esplicito. Ai senatori ha detto: «Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese». E ha chiesto loro: «Siete pronti a ricostruire questo patto? Siete pronti a confermare quello sforzo che avete compiuto nei primi mesi e che si è poi affievolito?»
I senatori, in maggioranza, hanno risposto “no”, sia affermandolo apertamente con un voto negativo, sia rifiutandosi di partecipare al voto di fiducia. E hanno così affondato un governo di unità nazionale (tutti dentro tranne Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni), chiamato ad affrontare una pandemia che sembra senza fine, il risvegliarsi dell’inflazione ormai vicina alle due cifre, l’immane sforzo del piano di rinascita per trasformare in sviluppo e ricchezza i miliardi stanziati per tutti i membri dall’Unione Europea, nonché la guerra portata nel cuore dell’Europa dal presidente russo Vladimir Putin – che oltre a morte e distruzione ci sta per regalare una certa e pericolosa crisi energetica.
Dal governo Draghi si è sfilato il Movimento 5 Stelle, condotto alla battaglia da un ondivago e rancoroso Giuseppe Conte, ma scontando al loro interno liti e divisioni: e hanno detto “no” alla fiducia, ma senza assumersi la responsabilità piena e scegliendo di non votare. Si sono accodati, con altre e non meno meschine giustificazioni, la Lega di Matteo Salvini e Forza Italia di Silvio Berlusconi che erano parte del governo a tutti gli effetti: entrambi i partiti hanno detto “no” a Draghi senza pronunciare un “no” aperto, ma non partecipando al voto di fiducia e assentandosi dall’aula al momento del voto come i migliori capitan Coraggio.
Il “no” a Draghi è figlio degli egoismi di alcuni leader politici – Conte, Salvini, Berlusconi – della loro filosofia politica che vede se stessi e i loro gruppi come l’ombelico del mondo, e la loro concezione di potere tutta orientata all’interesse immediato e personale, anche quando ci si trova di fronte a pericolose situazioni che possono coinvolgere decine di milioni di persone. Conte, Salvini e Berlusconi si atteggiano a giganti del pensiero politico, ma si sono rivelati dei nani incapaci di guardare oltre la punta del loro naso.
I 5 Stelle che ancora sono fedeli a Giuseppe Conte hanno detto no al governo Draghi strillando (falsamente) che i loro 9 punti siano stati messi in disparte dal programma dell’ex governatore della BCE. E no alla fiducia a Draghi per continuare con il governo di unità nazionale hanno detto la Lega e Forza Italia sostenendo che avrebbero appoggiato ancora Draghi solo se dal governo fossero stati esclusi i 5 Stelle e fosse stata avviata una redistribuzione di poltrone (ovviamente per i loro partiti).
Così, guardando per un attimo a quanto è successo, possiamo subito notare che Conte ha agito come colui che ha sfondato le linee del nemico Mario Draghi presentando i 9 punti irrinunciabili, mentre Salvini e Berlusconi hanno poi occupato la città nemica (il governo Draghi) dicendo ‘o fai come diciamo noi oppure vai a casa’. E sarà pure perfida malizia, ma è necessario sottolineare come gli artefici della caduta di Mario Draghi sono tre politici che nel corso della loro carriera hanno flirtato, e non poco, con il presidente russo Vladimir Putin, e i suoi oligarchi.
E adesso? Sono due gli scenari e il regista sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il primo: Draghi torna al Quirinale (forse senza neanche passare dal dibattito previsto alla Camera per domani giovedì 21 luglio), si dimette, il presidente Mattarella accetta le dimissioni e visto come è andata la vicenda decide di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Ma garantendo a Draghi, oltre alla ordinaria amministrazione come stabilisce la Costituzione in caso di scioglimento anticipato del Parlamento, uno strumento giuridico che garantisca al governo dimissionario e al premier di poter influire in modo concreto sullo sviluppo delle procedure per il Piano di Rinascita e Resilienza (Pnrr).
Il presidente della Repubblica potrebbe anche decidere di verificare la possibilità di un nuovo governo. Ma non potrebbe più essere un governo di unità nazionale dove non devono sventolare le bandiere dei partiti. Ed un governo politico appare una missione impossibile perché né centro destra né centro sinistra hanno una maggioranza parlamentare e dunque ogni soluzione passerebbe attraverso il mercimonio degli incarichi e delle poltrone.
Se Mattarella sceglierà di mandare a casa deputati e senatori e chiamare alle elezioni (fine settembre o primi di ottobre), sarà di fatto impossibile avere un nuovo governo prima della metà di novembre, perché prima delle consultazioni ci sono tutte le procedure di insediamento del nuovo Parlamento. Con buona pace della legge di bilancio che regola la vita degli italiani.