Cinque giorni per decidere. Cinque giorni per immaginare il futuro. Cinque giorni per scegliere se portare a compimento la legislatura più pazza del mondo (scadenza naturale, la primavera del 2023) o dare avvio a una inedita – e demenziale – campagna elettorale estiva, mentre l’inflazione decurta redditi e punti di crescita, non è ancora partito il Piano di rinascita finanziato dall’Unione Europea, e nel mezzo dell’Europa si combatte una guerra voluta dalla Russia ai danni dell’Ucraina di cui non si intravede neanche la possibilità di una tregua di pochi giorni.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha disegnato questo percorso per la crisi nata dalle pulsioni adolescenziali di un leader che guida un movimento (i 5 Stelle) che non sa più chi è, crede di essere ancora il partito di maggioranza relativa (ma non lo è nei numeri in Parlamento) e conta tra le sue fila rivoluzionari da operetta e ministri che escono dall’aula parlamentare, non votano la fiducia al governo, e dunque a se stessi, senza capire che dovrebbero correre a dimettersi.
Se fosse vero che il capo dei 5S Giuseppe Conte ha detto “adesso abbiamo noi il boccino in mano” dopo che il presidente del consiglio ha rassegnato le dimissioni salendo al Quirinale e rientrando a Palazzo Chigi con le dimissioni respinte e l’invito a tornare in Parlamento mercoledì prossimo, vuol dire che Conte e i 5 Stelle sono preda alla sindrome della strega, che in modo compulsivo interrogava lo specchio chiedendo chi fosse la più bella del reame, ma un giorno si sentì rispondere: “È Biancaneve”.

Se i 5 Stelle hanno dato fuoco alle polveri presentando una lettera con 9 punti a loro dire intoccabili, gli altri attori di questa brutta commedia estiva hanno contribuito a picconare la stabilità del governo: Matteo Salvini della Lega ha aggiunto alle nove richieste di Conte la pace fiscale, che vuol dire solo meno soldi allo stato e una cinquantina di miliardi di euro di extradeficit; Silvio Berlusconi si è ricordato di come si faceva politica nella Prima Repubblica e ha preteso una verifica di maggioranza e la redistribuzione di posti di ministro e sottosegretario.
Enrico Letta del Partito Democratico ha oscillato tra l’invito alla responsabilità e il grido “noi non temiamo le elezioni” invece di chiamare Conte al quale aveva promesso un’alleanza strategica per le prossime elezioni e dirgli a brutto muso che poteva mettere in soffitta il progetto Pd-5 Stelle. E Mario Draghi ha oscillato tra il “si fa come dico io altrimenti me ne vado” e “porto via anche il pallone così voi non giocate più”, con la promessa di assecondare le richieste arrivate invece di chiamare tutti gli alleati di governo in una stessa stanza per mettere le carte sul tavolo: inflazione, rischio di recessione, guerra a poche centinaia di chilometri dai nostri confini, centinaia di miliardi di euro dell’Europa che rischiano di non esserci più, legge di bilancio da fare.
Draghi ha scelto di non seguire questa strada e così ha lasciato prevalere gli egoismi personali e di partito, il narcisismo singolo e di gruppo, l’esibizionismo inconcludente di chi pensa di mostrare i muscoli e sentirsi dire “quanto sei forte” quando in realtà rischia di essere spazzato via alla prima folata di vento e di vedere, nel giro di pochi mesi, lo scranno parlamentare su cui oggi siede soltanto guardando i notiziari in televisione.

La crisi ufficializzata il 14 luglio ha costretto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a mettere tutti di fronte alle loro responsabilità. A cominciare da Mario Draghi, rispedito nel suo ufficio di presidente del Consiglio con l’invito a tornare nel luogo deputato alla risoluzione dei problemi, ovvero il Parlamento, ad affrontare la discussione.
La via scelta da Mattarella indica chiaramente che non ci sono alternative: o i partiti che fanno parte del governo (tutti i presenti in Parlamento con l’eccezione di Fratelli d’Italia che è all’opposizione) ritrovano un momento di accordo e di sintesi politica per affrontare i prossimi complicati mesi, oppure si va a votare. E il più in fretta possibile perché oltre a tutti i problemi elencati c’è anche la scadenza non rinviabile di mettere a punto e approvare la legge di bilancio entro la fine del 2022.
Chi ha pensato al rituale delle consultazioni, delle candidature o auto candidature a presidente del consiglio, alla distribuzione con il bilancino di ministri e sottosegretari, può soltanto scegliere entro cinque giorni, ovvero entro mercoledì 20 luglio, tra occuparsi delle questioni che l’Italia deve affrontare e risolvere nei prossimi mesi oppure prepararsi a una campagna elettorale in piena estate.