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June 6, 2022
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Referendum sulla Giustizia: per cosa si vota in Italia il 12 giugno

Sono cinque i quesiti ai quali 51 milioni di persone dovranno rispondere

Nicola CorradibyNicola Corradi
Referendum sulla Giustizia: per cosa si vota in Italia il 12 giugno

Il leader della Lega, Matteo Salvini (c), il segretario del Partito Radicale, Maurizio Turco (6d); il tesoriere del Partito Radicale, Irene Testa (5d) e la senatrice della Lega, Giulia Bongiorno (4s), in occasione della consegna delle firme per il Referendum della Giustizia presso la Cassazione a Roma - ANSA/CLAUDIO PERI

Time: 4 mins read

Sarà una lunga domenica di voto in Italia. Oltre ai circa mille comuni in cui le urne verranno aperte per eleggere i nuovi sindaci e consiglieri regionali, il 12 giugno gli italiani (anche quelli all’estero) saranno chiamati ad esprimersi in merito ai Referendum sulla Giustizia promossi da Partito Radicale e Lega. 

Cinque sono i quesiti ai quali 51 milioni di persone dovranno rispondere: Riforma del CSM, Equa valutazione dei magistrati, Separazione delle carriere dei magistrati, Limiti agli abusi della custodia cautelare e Abolizione del decreto Severino. 

Per rendere valido il voto, sarà necessario raggiungere il quorum e dovrà cioè dare il proprio parere il 50% +1 degli aventi diritto. Diversamente il referendum cadrà.

“Il motivo per cui è importante andare a votare si trova nei dati – spiega Giacomo Melilla, Coordinatore nazionale del Partito Radicale per la raccolta firme sul referendum – La giustizia è la più grande questione sociale del paese. Stando ai numeri collezionati da enti terzi come il sito “Errori Giudiziari”, gli errori giudiziari all’anno sono circa 1.000. Questo significa, ad esempio, che dal 1992 a oggi sono stati ingiustamente condannati e/o detenuti circa 30.000 persone”. 

Raccolta firme per il referendum sulla giustizia – ANSA

Un problema serio, che Partito Radicale e Lega pensano di risolvere concentrandosi sui cinque gradi temi. 

  1. Riforma del CSM: si chiede l’abrogazione della legge 24 marzo 1958, n. 195 (‘Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura) nella parte che prevede l’obbligo di raccogliere da 25 a 50 firme per potersi candidare come membri dell’Organo di autogoverno della magistratura. L’obiettivo è cercare di arginare il potere delle “correnti” alle quali i membri togati appartengono. Votando “sì”, si tornerebbe alla legge originale del 1958, che prevedeva che tutti i magistrati in servizio potessero proporsi come membri del Csm presentando semplicemente la propria candidatura
  2. Equa valutazione dei magistrati: La richiesta, in questo caso, è che la valutazione sui magistrati venga effettuata, oltre che dai colleghi, anche da parte di altre esperte in materia giuridica: avvocati, professori universitari e Consigli giudiziari.
  3. Separazione delle carriere dei magistrati: Con il “sì”, si introduce nel sistema giudiziario italiano la separazione delle carriere: i magistrati dovranno scegliere dall’inizio della carriera se assumere il ruolo di giudice nel processo o quello di pubblico ministero, per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale.
  4. Limiti agli abusi della custodia cautelare: l’obiettivo è quello di eliminare la norma sulla “reiterazione del reato” dall’insieme delle motivazioni per cui i giudici possono decidere la custodia in carcere o i domiciliari per una persona durante le indagini. Votando sì, l’arresto preventivo rimane possibile inciso di pericolo di fuga, inquinamento delle prove e rischio di commettere reati di particolare gravità, con armi o altri mezzi violenti.
  5. Abolizione del decreto Severino: Si chiede di cancellare la Legge Severino, che esclude dalle elezioni e dagli incarichi in politica le persone condannate, restituendo ai giudici la facoltà di decidere, di volta in volta, se occorra applicare o meno l’interdizione dai pubblici uffici.

“A fare le spese della malagiustizia – continua Melilla – sono i cittadini, perchè pagano due volte: la prima come “colpevoli/detenuti”, la seconda come contribuenti. Sono infatti almeno 28 i milioni spesi ogni anno dallo Stato italiano per risarcire chi è stato ingiustamente condannato, per un totale di quasi un miliardo in trent’anni”. 

Nonostante questo, però, del referendum e dei suoi quesiti sono in pochi a conoscere i dettagli. Se ne parla e se ne scrive poco, tanto che il Partito Radicale ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per denunciare l’oscurantismo del servizio pubblico. 

“Dobbiamo constatare con rammarico che moltissimi cittadini non solo non sono posti nelle condizioni di conoscere il merito dei quesiti referendari per la consultazione del 12 giugno, ma gli viene impedito anche di venirne a conoscenza”. 

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – ANSA/ Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica

Secondo gli ultimi dati forniti dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, nella settimana dal 15 al 21 maggio il minutaggio incentrato sul referendum nei telegiornali e negli extra TG della Rai non ha raggiunto nemmeno l’1% del tempo totale dedicato all’informazione e all’approfondimento.

“Si tratta di una situazione intollerabile – continua il messaggio – e non possiamo pertanto che rivolgerci a Lei, affinché gli organi preposti possano sensibilizzarsi a una migliore e più attenta garanzia di confronto e dibattito”.

Appuntamento dunque al 12 giugno. Chi vorrà mantenere in vigore le norme che si propone di cancellare dovrà rispondere “No”. Chi è d’accordo con i promotori dovrà invece rispondere “Sì”. 

“I quesiti referendari possono cambiare il sistema della giustizia ed eliminare tutte gli errori?”, si chiede Melilla. “No, ma sono sicuramente una buona spallata e un grande inizio affinché ci sia una giustizia più corretta, efficiente e a misura di cittadino”.

Alle urne i partiti si presentano divisi. Oltre a Lega e Partito Radicale, sono Forza Italia, Italia Viva e Azione a promuovere a pieni voti i quesiti. Incerta la posizione di Fratelli d’Italia, con Giorgia Meloni che si è schierata a favore della separazione delle carriere dei magistrati, dell’eliminazione delle firme per le candidature al Csm e della possibilità per gli avvocati di valutare l’operato dei magistrati, mentre si è detta contraria sia alla limitazione della custodia cautelare che all’abolizione della “legge Severino”.

Il Pd ha preferito non esprimersi lasciando agli elettori la libertà di voto, nonostante il segretario Enrico Letta abbia specificato come “una vittoria dei sì aprirebbe più problemi di quanti ne risolverebbe”.

Fermamente contrario è invece il Movimento 5 Stelle, che tramite il suo presidente Giuseppe Conte ha dichiarato “Il referendum offre una visione parziale ed è inidoneo a migliorare il servizio e a rendere più efficiente e più equo il servizio della giustizia”.

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Nicola Corradi

Nicola Corradi

Parmigiano d’origine, ha conseguito la laurea in Scienze Politiche all’università LUISS Guido Carli di Roma. Si occupa di politica, attualità e food.

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