E’ veramente difficile tenere scissi i profili ricostruttivi del concetto di guerra nel diritto internazionale dalla riflessione sull’interpretazione del fenomeno data dal testo della Costituzione italiana. I concetti pace e guerra sono antitetici e sembrano negarsi reciprocamente. Sono un po’ come due facce dello stesso problema, perciò è molto difficile parlare della pace senza parlare della guerra e viceversa. Però, nella prospettiva italiana (del diritto italiano interno) e in particolare nella prospettiva costituzionale si è per molti anni parlato prevalentemente o a volte esclusivamente della pace, riscontrandosi una specie di esorcizzazione del concetto di guerra. Dualismo che non a caso riaffiora in questi tempi e pur continuando con l’opera di rimozione quasi intellettuale del concetto di guerra, i fatti drammatici dell’invasione all’Ucraina non possono di certo ridursi alla categoria di missione pace. E oggi che l’equilibro bipolare basato sulla deterrenza nucleare è in pericolo, il giurista Giovanni Guzzetta, ex capo di gabinetto, ex vicepresidente del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e noto costituzionalista italiano, spiega con un’analisi rivolta all’Italia e all’America, la decisione di fornire armi alle potenze belligeranti, i limiti e i confini dell’ordinamento costituzionale e l’evidente volontà di sopraffazione Russa-Ucraina che pone il problema dell’imposizione dei canoni della pace.

Professore, nell’art.11 della Costituzione italiana, i padri costituenti scelsero il termine “ripudia la guerra” invece che rinuncia. Cosa significa ripudiare la guerra?
“La scelta del termine ripudia, piuttosto che rinunzia fu il frutto di una riformulazione della Commissione del 75 che aveva già predisposto il progetto preliminare per la discussione dell’Assemblea. Come ricordò il Presidente della Commissione, Ruini, con tale espressione si vollero sintetizzare due aspetti della scelta costituente: sia quello della rinunzia alla guerra che quello della condanna ad essa. Nel progetto originario ci si riferiva espressamente alla “guerra di conquista”. La nuova formulazione abbandonò il riferimento alla sola guerra di conquista aggiungendo che il “ripudio” si riferiva anche alla guerra (oltre che come strumento di “offesa alla libertà degli altri popoli”) come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Questa dizione fu dichiaratamente ispirata al testo del trattato Briand-Kellog del 1928, ratificato anche dalla Germania e dall’Italia che puntava a bandire appunto il conflitto bellico per risolvere le dispute tra stati. Purtroppo quel trattato non fu sufficiente a evitare la tragedia della Seconda guerra mondiale, ma nessuno dubitò che giustificasse la reazione delle potenze alleate in chiave difensiva rispetto all’aggressione tedesca sostenuta poi da Italia e Giappone. I costituenti avevano però presente anche lo Statuto dell’ONU, da poco istituita e fu proprio con riferimento a essa che concepirono la seconda parte dell’art. 11 in base alla quale l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

“L’Italia ripudia la guerra in tutte le sue forme”, riferendosi principalmente alla guerra offensiva, ammettendosi dunque implicitamente la guerra difensiva?
“Il testo dell’art. 11 fu sostanzialmente condiviso da tutti, benché vi fossero voci isolate che mettevano in evidenza i possibili problemi applicativi proprio con riferimento alla distinzione tra le possibili forme dei conflitti armati. Diciamo che l’accordo fu chiaro con riferimento alle ipotesi estreme. No alla guerra di aggressione per conquista di territori o per la soluzione delle controversie internazionali, sì alla guerra difensiva, e quindi rifiuto dell’ipotesi neutralista, come dimostra anche l’art. 52 in cui si afferma che “La difesa della Patria e’sacro dovere del cittadino.” In mezzo a questi due scenari estremi, ci sono tutte le ipotesi intermedie, che si sono andate via via accrescendo in relazione all’evoluzione storica dei conflitti armati: le guerre difensive nell’abito di alleanze strategiche come la Nato, gli interventi umanitari, quelli di polizia internazionale, i conflitti “preventivi”, i conflitti “asimmetrici” rivolti non ad un altro stato, ma ad organizzazioni terroristiche internazionali come Al Qaeda o l’Isis”.
Russo- Perez (uno dei due costituenti che votarono contro l’art.11 Cost.) aveva sostenuto durante i lavori preparatori che essendo l’Italia ormai “una nazione disarmata” tale articolo risultava ridicolo, e inoltre viziato dall’ impossibilità di distinguere tra guerre giuste e ingiuste essendo qualificate giuste quelle vinte, ingiuste le perse. “L’Italia non si è voltata dall’altra parte” e ha autorizzato il sostegno militare all’Ucraina. Professore, è stato un “giusto” intervento?
“La posizione di Russo Perez fu, con un diverso tono, ripresa da Nitti. Ma si tratta di posizioni che non contestano nella sostanza la scelta di fondo. Sono più che altro posizioni che mettono in discussione l’efficacia giuridica della formula. E in effetti è sorprendente notare come, nella casistica citata da Russo Perez ci fossero esempio storici di situazione che si ripresentano anche oggi: dagli interventi giustificati con finalità di polizia internazionale fino alla pratica di fornire armi alle potenze belligeranti senza entrare direttamente in guerra. L’Italia non si è voltata dall’altra parte e penso che abbia compiuto una scelta, abbastanza allineata con quella degli altri stati dell’Unione e della Nato. Si può ovviamente discutere se sia stata la migliore o l’unica strategia possibile, ma è chiaro che le alternative in gioco (come l’ingresso nel conflitto o il “disinteresse” verso il conflitto) fossero particolarmente drammatiche”.

È stato violato l’art.11 della Costituzione?
“Dal punto di vista costituzionale non mi sentirei di dire che l’art. 11 sia stato violato, anche perché l’intervento mediante decreto-legge consentirà il vaglio del parlamento. Certo si tratta di scelte, come altre volte in passato, che si collocano in una posizione intermedia tra i due scenari estremi che l’art. 11 definisce con chiarezza. E su questi scenari intermedi il dibattito tra i costituzionalisti è sempre stato molto variegato. Non direi che ci sia un consenso unanime sul perimetro definito dall’art. 11. Credo che però, interpretativamente, non vada sottovalutato il fatto che proprio la Carta delle Nazioni Unite, cui come ho detto i costituenti si ispirarono, prevede al suo articolo 1 che l’uso della forza armata possa essere giustificato per assicurare la pace: “prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace”.
In questa situazione sono plausibili delle inedite torsioni del diritto e del sistema costituzionale?
“Il rischio di torsioni in situazioni di emergenza è ovviamente molto alto. Ad esempio sento da qualcuno evocare lo “stato di guerra” che la nostra Costituzione pone a fondamento di possibili soluzioni emergenziali, fino alla proroga di durata delle Camere (art. 60). Allo stato, evocare questi scenari mi sembra una forzatura interpretativa della nostra Carta”.
“Discuteremo della richiesta di adesione alla Unione Europea dell’Ucraina nei prossimi giorni”. Lo ha annunciato, su Twitter, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. È improbabile che avvenga, ma qualora l’Ucraina diventasse stato membro dell’UE, questo consente di immaginare una serie di eventi: anche l’entrata in guerra a difesa e protezione dell’Ucraina?
“Escludo che l’entrata della Ucraina nell’Unione europea sia una eventualità al momento immaginabile. E del resto l’Unione europea mi è parsa molto cauta rispetto a tale prospettiva”.

I veterani dell’esercito americano si stanno recando in Ucraina per unirsi alla lotta. Oggi cosa prevede la legge se un italiano vuole arruolarsi come volontario per la guerra in Ucraina?
“La Costituzione non impedisce una simile eventualità. Ma ovviamente si tratterebbe di scelte personali, non in nome dello Stato italiano”.
“Chi vuole la pace deve prepararsi alla guerra”, ha scritto a gennaio Evelyn Farkas, un funzionario del Pentagono nell’amministrazione Obama, chiedendo una coalizione in stile 1990. Solo un equilibrio di potere militare – una forza deterrente e la volontà politica di eguagliare – può tenere a bada la guerra?
“Si vis pace para bellum è un’espressione che risale all’antichità. Francamente io cercherei di evitare anche in questo caso gli atteggiamenti estremi. Immaginare che il mondo possa spontaneamente unirsi sotto gli stessi valori di democrazia e libertà, mi pare un desiderio nobile, ma in contrasto con la realtà delle cose. Aver pensato che dopo la caduta del muro di Berlino la storia fosse finita perché si era entrati ormai in un’orizzonte di pace mondiale si è rivelata un’ingenuità per chi ci ha veramente creduto e un’occasione per tentare di modificare a proprio vantaggio gli equilibri di potenza per chi ha fatto finta di crederci. L’altro atteggiamento, che in fondo è speculare al primo, è quello di pensare che solo la forza possa determinare i destini del mondo. In realtà viviamo in società complesse e in un mondo ancora più complesso in cui la geopolitica del futuro dovrà combinare più fattori diversi: un’interdipendenza controllata, una deterrenza credibile, un dialogo diplomatico che accetti la compresenza di potenze medie e grandi che non condividono gli stessi valori, delle sedi internazionali in cui cercare di raffreddare i conflitti. Non c’è una ricetta con un solo ingrediente e dovremo abituarci ad un approccio di Realpolitik, utilizzando altri canali, come la cultura, l’arte, il dialogo interreligioso, per non spezzare i fili che ci connettono come esseri umani. Ma fasi di equilibrio e fasi di instabilità continueranno a succedersi”.

La mitezza della risposta occidentale iniziale deriva da due realtà recenti: il pacifismo speranzoso dell’Unione Europea e la fallita belligeranza degli Stati Uniti. Insieme, hanno creato un vuoto di potere che Putin ha sfruttato. Se quel vuoto persiste, se le democrazie di oggi non sono in grado di creare coalizioni come quella che ha sconfitto Hussein, le guerre future potrebbero diventare più probabili?
“Sicuramente Putin ha percepito che l’assetto delle relazioni internazionali non era più quello degli anni successivi alla caduta del muro di Berlino. E forse USA e Unione europea si sono fatti trovare impreparati a questa situazione. L’abbandono dell’Afganistan, la crisi pandemica, la crisi di identità dell’Unione europea e l’arresto dell’ondata di democratizzazione sul piano planetario hanno favorito quella sensazione di vuoto di cui lei parla”.
Per i padri costituenti era il Parlamento l’organo centrale di garanzia che deve sempre sovrintendere la vita della Repubblica, anche nell’emergenza. In questo momento e nell’incerto futuro che ci attende quali sono gli articoli della Carta costituzionale italiana da tenere bene a mente per la salute della democrazia?
“Direi tutti. La Costituzione è un sistema in cui tutto si tiene. Le norme sull’organizzazione della democrazia non hanno senso senza quelle sui diritti fondamentali. E quelle sulla giurisdizione e sullo stato di diritto non hanno senso senza quelle che riguardano le relazioni internazionali, le giurisdizioni sovranazionali e gli altri valori della civiltà giuridica del costituzionalismo che la nostra Costituzione ha accolto. Ciò non vuol dire però che non ci siano cambiamenti, anche profondi, da fare. La Costituzione del 1948 è, in alcune parti, una Costituzione figlia del suo tempo. E i tempi oggi sono completamente diversi. Ma fin quando non la si cambierà, è questa la Costituzione cui essere fedeli e da rispettare”.