Le notizie corrono e si sovrappongono sulla guerra tra Russia e Ucraina. Ogni ora le situazione evolve e averne perciò un quadro chiaro non è sempre semplice. Roberto Menotti, direttore di Aspenia Online e vicedirettore di Aspenia, è uno dei grandi esperti italiani di politica internazionale e per questo, con lui, abbiamo provato a schiarirci le idee.
Dal nostro ufficio alle Nazioni Unite, ogni giorno vediamo i manifestanti che si riuniscono con bandiere e cartelloni per protestare contro l’invasione russa. Molti di loro chiedono l’istituzione della “No-Fly zone”, cioè un territorio entro il quale vige il divieto di sorvolo, rilanciando la richiesta del presidente Zelensky. Stati Uniti e Unione Europea, al momento, non sono disponibili, perchè equivarrebbe a una dichiarazione di guerra.

È davvero così? “Io credo che la No-Fly zone – spiega Menotti – sia il punto di non ritorno e anche la richiesta di massima pressione che Zelensky possa farci. Per noi non c’è soltanto il problema che quello sarebbe davvero un casus belli, ma anche dal lato operativo ci sarebbero delle difficoltà. La No-Fly zone richiede uno spiegamento militare enorme e ci vorrebbero almeno due settimane per mettere in piedi la struttura necessaria”.
Allora tanto vale continuare con i negoziati. Da giorni, Russia e Ucraina si incontrano davanti a un tavolo per dialogare e cercare di trovare un compromesso. Al momento sembra non esserci alcun punto di incontro, tanto che alcuni iniziano a pensare che questi meeting siano solo di facciata. “La sensazione dall’inizio è stata che i russi abbiano usato i negoziati come una cortina fumogena, mentre continuano a premere sulla operazioni militari. Chi vuole negoziare di solito accetta almeno una sorta di cessate il fuoco. Credo però che, nonostante tutto, faccia bene l’Ucraina ad accettare il dialogo, perché è un modo per cercare di capire se possa esistere uno spazio di manovra per approfittare di quelle che sono le ormai evidenti difficoltà militari russe”.
La Russia, infatti, militarmente vacilla e sembra nascondere dietro l’uso della forza una paura più radicata. “Tutta la tesi di fondo di Putin per cui l’allargamento della Nato rappresenta una minaccia militare per la Russia è surreale – continua Menotti – la minaccia militare non esiste perché la Nato non ha spostato nulla nei paesi di nuova adesione. L’allargamento è una mossa politica, quindi semmai la minaccia è di tipo politico. Questo lo dimostra il fatto che la prima crisi di nervi di Putin sia arrivata nel 2014, dopo l’accordo economico tra Unione Europea e Kiev”.

Nei giorni scorsi si è detto, però, che l’invasione russa altro non sia stata che un’azione facilmente prevedibile e inquadrata in una regola ferrea di politica internazionale secondo la quale tutte le grandi potenze, quando i paesi confinanti mettono in piedi una strategia di politica internazionale che mette a rischio la loro politica nazionale, intervengono seguendo lo schema portato avanti oggi da Putin. Cuba ne è un esempio. “Secondo me – spiega invece Menotti – non si tratta di una regola assoluta. L’analogia con Cuba non regge, perchè gli Usa all’epoca avevano dichiarato che non avrebbero invaso il Paese, mentre in questo caso i russi hanno annunciato apertamente l’invasione dell’Ucraina. Quando ci fu la crisi di Cuba, nel 1962, eravamo inoltre in piena guerra fredda e c’erano rapporti di insicurezza reciproca tra il blocco sovietico e quello americano. Putin sta creando una cortina di ferro che non esisteva, mentre nel caso di Cuba la cortina già c’era”.
A questo punto, dunque, fermarlo è impossibile? “Nel breve termine siamo impotenti, se l’obiettivo è fermare l’operazione militare. In termini più larghi, però, le cose cambiano, perché la comunità internazionale esercita grandi pressioni che portano ad esempio le aziende private a uscire dal mercato russo, di fatto autosanzionandosi. Secondo aspetto, l’isolamento diplomatico della Russia è importante: lo dimostra la grande prudenza da parte cinese con il loro tentativo di proporsi come mediatori e lo si vedrà nel tempo anche con l’India, che dovrà decidere da che parte stare”.
E l’Italia? Per ora è stata inserita dalla Russia tra i paesi “unfriendly”, ma nel breve periodo questa è un’azione che non significa molto: solo una dichiarazione, per altro reversibile. “Putin ha colorato quella parte di mondo che finora l’ha sanzionato e che ricorda molto la mappa della guerra fredda. Nell’immediato la dichiarazione è un po’ astratta. Per l’Italia è certamente un danno economico, ma non catastrofico. Il problema vero per noi sarà il gas e qui entriamo nel piano del Ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani, che ha annunciato l’indipendenza energetica dell’Italia dalla Russia nei prossimi 30 mesi”.

Chi sembra aver iniziato un processo irreversibile sono gli Stati Uniti, che negli ultimi giorni hanno iniziato a vedere il rapporto con la Russia in chiave sistemica. “Dal punto di vista americano queste non sono sanzioni, ma una cortina di ferro simile al containment della prima ora di Kennan, che ha anche una forte componente ideologica. Credo che gli Usa stiano interpretando questo cambiamento di rotta come una questione strutturale e non come un episodio, per cui forse da alcune di queste cose non si tornerà indietro.
Gli Stati Uniti stanno cercando di allargare la loro rete di alleanze anche alle Nazioni Unite, ad esempio con l’Africa e l’America Latina. Qui c’è un campo di battaglia per il consenso internazionale che potrebbe avere importanti conseguenze a lungo termine. Gli Stati Uniti hanno fallito molte volte nel tentativo di essere coalition builder all’ONU e ora ci stanno riprovando”.