In Ucraina si combatte la guerra, alle Nazioni Unite ci si incontra per cercare di far prevalere la diplomazia sulle armi e in Italia, al 41° posto nell’ultima classifica stilata sulla libertà di stampa, sembra non esserci spazio per chi questa storia vuole raccontarla da un’altra prospettiva.
È il caso di Alessandro Orsini, Direttore dell’Osservatorio di Sicurezza Internazionale della Luiss Guido Carli di Roma, che il 3 marzo, ospite alla trasmissione Piazza Pulita di Corrado Formigli, ha provato, solo contro tutti, a dare un’analisi controcorrente della guerra tra Russia e Ucraina.
“Possiamo uscire da questo inferno soltanto riconoscendo i nostri errori e gli errori dell’Unione Europea sono molto grandi. La responsabilità militare è di Putin, ma quella politica è principalmente dell’Ue”. Orsini parla di prevedibilità del conflitto e spiega l’esistenza di una legge ferrea della politica internazionale che prevede come le grandi potenze proibiscano ai paesi confinanti di avere una linea di politica estera che risulti una minaccia per la politica nazionale. “Quello che fa ora Putin lo ha fatto Kennedy con Cuba nel 1962 – continua – e se il Messico si alleasse con la Russia, certamente gli Stati Uniti lo distruggerebbero, assassinando il suo presidente, favorendo una guerra civile o sfondando il confine. Le grandi potenze hanno comportamenti largamente prevedibili, perchè fanno le stesse cose da centinaia di anni”.
Secondo Orsini, l’unica soluzione per salvare la vita degli ucraini sarebbe riconoscere la sconfitta dell’Europa. “Putin ha già vinto in Ucraina. Non esiste alcuna possibilità che qualcuno gliela sottragga”.
Parole forti, che hanno incendiato lo studio di La7 e che hanno fatto eco anche nei giorni successivi, quando sul Professore si sono abbattute due conseguenze gravissime. Sabato, sul Messaggero, non è uscita la sua rubrica settimanale “Atlante”, e al posto della solita colonna di articolo, in edicola ormai da molti anni, è apparsa la scritta “La rubrica ‘Atlante’, a cura di Alessandro Orsini, tornerà sabato prossimo 12 marzo”. Su Facebook, il docente scrive “Sono davvero spiacente e mi scuso con tutti per l’assenza della mia rubrica questa settima. Dovrei tornare sabato prossimo. Queste decisioni non dipendono da me”.
Ovviamente non si conoscono le ragioni ufficiali per le quali l’analisi sia rimasta tra i cassetti della redazione, ma la curiosa coincidenza temporale con l’intervento televisivo di Orsini e il suo granitico commento “non dipende da me” fanno pensare proprio alla censura.

Per non parlare del comportamento della Luiss Guido Carli, un’eccellenza del panorama universitario italiano.
In un comunicato, la Luiss scrive “Nel tragico contesto di una guerra, l’attività di analisi e ricerca di ogni centro, scuola o dipartimento Luiss diventa ancor più rilevante, richiedendo solida capacità di interpretazione e racconto del contesto geopolitico, equilibrio e capacità di dialogo con l’opinione pubblica. La Luiss reputa dunque fondamentale che, soprattutto chi ha responsabilità di centri come l’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale, debba attenersi scrupolosamente al rigore scientifico dei fatti e dell’evidenza storica, senza lasciar spazio a pareri di carattere personale che possano inficiare valore, patrimonio di conoscenze e reputazione dell’intero Ateneo”.

E da quando le ricostruzioni di un professore universitario, espresse tra l’altro senza mai eccedere nei toni, possono inficiare la reputazione dell’Università? Negli Stati Uniti, dove il diritto di espressione è sacro, una presa di posizione del genere contro un docente farebbe scandalo e finirebbe sulle prime pagine di tutti i giornali. Anche perchè, le sue, non sono certo parole dell’ultimo arrivato. Orsini ha anni di esperienza alle spalle, è Direttore dell’Osservatorio di Sicurezza Internazionale interno alla Luiss ed è anche apprezzato negli Usa, dove ricopre la carica di Research affiliate al Mit di Boston.
“La narrazione in Italia è ‘non riusciamo a spiegarci perché Putin veda nella NATO un pericolo’”, continua il docente nel suo intervento. Una narrazione che non può essere contraddetta nemmeno se, per farlo, si portano fatti storici.
Orsini cita il conflitto in Siria, che gli europei hanno alimentato inviando un grande quantitativo di armi, l’uccisione del generale iraniano Soleimani a gennaio 2020 per ordine di Donald Trump e la guerra in Iraq voluta dagli Stati Uniti nel 2003 calpestando la Carta delle Nazioni Unite.

“Se ampliamo la nostra prospettiva il discorso cambia”. Solo che la prospettiva, in Italia, sembra non poter cambiare. Una è e una deve essere, altrimenti si finisce sotto l’occhio di una moderna inquisizione, che come strumenti non usa più i roghi, ma il silenzio e le pressioni.
Abbiamo contattato Orsini che però, al momento, non può rilasciare dichiarazioni su quanto accaduto, perchè la situazione è di estrema difficoltà. A chi osserva dagli Stati Uniti, sembra incredibile che tutto ciò sia la diretta conseguenza di un’ospitata televisiva in cui si è data una visione dei fatti basata su anni di studio e ricerca. Perchè, invece di esprimere un dissenso, si è preferito usare il bavaglio?
Questo è un modo di fare tipico di quel regime, la Russia, che oggi tutti attaccano e che solo qualche giorno fa ha promesso 15 anni di carcere a chiunque screditi il suo esercito, tanto da costringere la BBC a sospendere i lavori e fuggire dal paese perchè la legislazione “sembra criminalizzare il processo di giornalismo indipendente”.
Il comportamento di Putin è inaccettabile, anche Orsini è d’accordo. Perchè dunque, oltre a condannarlo, in Italia alcuni provano a emularlo?
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