L’ex presidente statunitense Donald Trump avrebbe avuto un ruolo significativo nel tentativo di sequestrare le macchine elettorali in alcuni stati chiave per trovare prove decisive di brogli elettorali.
Secondo fonti anonime contattate dal New York Times, Trump avrebbe chiesto al suo avvocato Rudolph Giuliani di chiamare il Dipartimento della sicurezza interna (DHS) a circa un mese e dalla vittoria di Joe Biden alle elezioni generali del 2020. Scopo della telefonata era verificare se l’agenzia potesse entrare in possesso delle macchine utilizzate dagli elettori di una manciata di stati, dove lo scarto tra i due sfidanti era in bilico. La risposta del DHS, attraverso il vice segretario ad interim, fu però negativa, provocando la frustrazione della Casa Bianca.
Nei giorni precedenti la suddetta telefonata, l’amministrazione repubblicana avrebbe inoltre contattato almeno altre due agenzie di sicurezza nazionale con lo stesso proposito: sequestrare i dispositivi per trovare indizi in grado di stravolgere il risultato delle urne.

In quei giorni concitati, secondo la testimonianza delle fonti, nello Studio Ovale si sarebbe creato un clima di tensione tra Rudy Giuliani, Bernard Kerik e il consigliere giuridico Pat Cipollone, filo-trumpiani che spingevano per il rispetto formale della legge – da un lato – e la frangia di quanti erano pronti a tutto pur di ribaltare il verdetto elettorale, ossia l’avvocatessa Sidney Powell, il Consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn e un semi-sconosciuto colonnello dell’esercito in pensione: Phil Waldron.
Sarebbe stato proprio Waldron ad aver reclamato per primo che le elezioni fossero state truccate, chiedendo ad alcuni membri di spicco dell’amministrazione di coinvolgere il Pentagono per sequestrare le macchine elettorali. Un consiglio che è stata parzialmente seguito da Trump nei giorni successivi, ma con scarso successo: tanto le agenzie di sicurezza nazionale, quanto i legislatori statali si sono rifiutati di procedere.
Le ultime rivelazioni aumentano in modo esponenziale il coinvolgimento di Trump nelle strategie per rimanere al potere (quasi) con ogni mezzo, e arrivano a poche ore dal comizio in cui l’ex presidente ha preannunciato il “perdono” dei condannati per l’assalto del 6 gennaio.
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