L’ex presidente Richard Nixon aveva Donald Segretti, avvocato della California coinvolto nello scandalo del Watergate, che con i suoi “dirty tricks” diffondeva false notizie. E per questo ruolo fu condannato a sei mesi di prigione.
Donald Trump invece ha, o aveva, per i suoi “dirty tricks” Rudy Giuliani. È quanto emerge da una indagine condotta dal Washington Post.
L’ex avvocato personale dell’ex presidente ha coordinato, secondo quanto scrive l’influente quotidiano della capitale federale, la presentazione di certificati elettorali falsi compilati sostituendo in cinque stati i nomi dei Grandi Elettori democratici (eletti) con quelli dei repubblicani sconfitti. Un gioco delle tre carte preparato da John Eastman, funzionario del Dipartimento della Giustizia, per disorientare e mettere in dubbio al Congresso la vittoria di Joe Biden. Ciò avrebbe fornito al vicepresidente Mike Pence l’appiglio per bloccare la certificazione elettorale e procedere alla scelta del presidente non più attraverso il meccanismo del voto dei Grandi Elettori, ma quello della Camera dei Rappresentanti.
Ora i dem stanno indagando se la falsificazione di questi documenti sia un reato criminale perseguibile dalla legge, e soprattutto quanto Trump sia stato coinvolto nel complotto. L’ex presidente aveva apertamente incoraggiato uno schema di “elettori alternativi” dopo essere stato sconfitto alle elezioni del 2020.

Alcuni dei responsabili statali delle certificazioni elettorali hanno inviato i documenti falsificati alle procure federali. I falsi Grandi Elettori scelti da Giuliani nelle loro certificazioni fasulle si sono dichiarati “debitamente eletti e qualificati”, sostenendo che Trump fosse il vincitore in cinque stati che aveva effettivamente perso: Arizona, Georgia, Michigan, Nevada e Wisconsin. Questi stati, invece, avevano elettori democratici legittimi che hanno votato per Joe Biden – scrive il Washington Post – aggiungendo che alcuni dei Grandi Elettori repubblicani erano così a disagio con gli imbrogli di Giuliani che si sono rifiutati di prendervi parte.
Le false dichiarazioni sono state depositate anche in Pennsylvania e in New Mexico. In questi casi le attestazioni contraffatte su carta intestata del Partito Repubblicano sono state definite “Grandi Elettori in attesa”, nel caso in cui le sfide giudiziarie per la vittoria di Biden avessero avuto successo. Le false liste, secondo i piani di Giuliani, avrebbero dovuto fornire al vicepresidente Mike Pence l’appiglio per sostituire i Grandi Elettori legittimamente eletti con un gruppo di Grandi Elettori scelti da lui.
Alcuni ex funzionari della campagna elettorale di Trump e leaders del partito Repubblicano hanno rivelato al Washington Post che Giuliani ha supervisionato l’operazione e che anche alcuni funzionari della campagna elettorale di Trump erano coinvolti nella falsificazione e nell’invio dei documenti. Fonti anonime hanno riferito al quotidiano e alla CNN che Giuliani è stato aiutato nella pianificazione dei falsi elettori da un corrispondente di One America News Network, il canale televisivo noto per promuovere le teorie cospirative dei QAnon.
Il piano, secondo il Washington Post, sarebbe stato approvato da Mark Meadows. Il consigliere elettorale di Trump, Boris Epshteyn, ha dichiarato al Post che l’operazione era legittima data la “frode dilagante” delle elezioni.
Giovedì sera la Commissione d’Inchiesta della Camera che indaga sul tentativo insurrezionale del 6 gennaio ha ricevuto “centinaia” di pagine dai National Archives, dopo che la Corte Suprema ha respinto la richiesta del privilegio dell’esecutivo da parte di Trump. Più di 700 pagine di documenti che dettagliano gli eventi all’interno della Casa Bianca con i registri delle attività, programmi, note di discorso e tre pagine di note scritte a mano dall’allora capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows. I resoconti di altri alti funzionari provengono dall’allora segretario stampa Kayleigh McEnany, dall’allora vice consigliere della Casa Bianca Patrick Philbin e persino da elenchi che mostrano le chiamate al presidente e al vicepresidente. Per ora, i documenti sono riservati. Tuttavia, il presidente della Commissione d’inchiesta, Bennie Thompson, ha dichiarato che a un certo punto il comitato li renderà pubblici, senza specificare quando.
La Commissione ha già previsto di pubblicare un rapporto intermedio con i risultati iniziali dell’inchiesta entro l’estate, con un rapporto finale previsto per il prossimo autunno. Potrebbero esserci anche udienze pubbliche con la deposizione di testimoni chiave.
I parlamentari della Commissione hanno affermato di essere particolarmente interessati a ciò che stava accadendo all’interno della Casa Bianca mentre si svolgeva l’attacco al Campidoglio. Alcuni commissari hanno fatto sapere che stanno indagando sul ritardo con cui Trump ha richiamato i rivoltosi e se ciò equivalga a una negligenza al suo dovere di presidente. Inoltre, i legislatori hanno inquadrato l’attacco come l’esplosione di uno sforzo durato mesi per ribaltare i risultati delle elezioni – e non solo una rivolta momentanea dettata dalla rabbia della sconfitta.

I documenti della Casa Bianca di Trump potrebbero far luce sugli altri sforzi compiuti dall’ex presidente e dai suoi alleati per bloccare la vittoria di Biden ancor prima che i suoi sostenitori cercassero di impedire la certificazione dei risultati da parte del Congresso e la parte organizzativa del rally dei suoi simpatizzanti mentre il Congresso era riunito al Campidoglio.
Di grande importanza la decisione della Corte Suprema di mercoledì, perché ora chi è a conoscenza dei fatti non si può più schermare sostenendo che la sua testimonianza è protetta dal rapporto di confidenzialità con il presidente. Inoltre, la Corte, respingendo la richiesta degli avvocati di Trump, ha indirettamente avallato una conclusione chiave dei tribunali di grado inferiore: che il comitato della Camera ha “chiaramente” motivo di chiedere alla Casa Bianca di Trump documenti relativi al 6 gennaio e che le ragioni di Trump non sono sufficienti per bloccare le loro richieste. Ciononostante, più di una dozzina di testimoni convocati dalla Commissione d’Inchiesta ancora contestano l’autorità del comitato.
A Washington i democratici, dopo il fallimento del passaggio della legislazione sui diritti di voto, stanno cercando di resuscitare almeno in parte il Build Back Better Act, in stallo dopo che il senatore Joe Manchin si è rifiutato di sostenere la proposta di legge. Biden ha dato nuovo slancio alla legislazione questa settimana quando ha annunciato di essere disposto a firmare qualsiasi “pezzo” del disegno di legge sul clima e sulla spesa sociale. Il leader della maggioranza dem al Senato, Chuck Schumer, afferma di essere disposto a discutere con Manchin per far passare qualche proposta anche se non avrà la stessa grande visione di quella presentata dal presidente Biden. “Penso che dovremmo dire al senatore Manchin che ha vinto lui. E che ci faccia sapere il disegno di legge che lui è disposto a sostenere”, ha detto senatore democratico Ben Cardin. “A questo punto siamo disposti a esaminare qualsiasi proposta che possa ottenere 50 voti nel nostro caucus. Siamo a quel punto in cui dobbiamo davvero dare un’occhiata a cosa può ottenere quei 50 voti e penso che il senatore Manchin sia stato abbastanza chiaro sulle sue preoccupazioni e priorità”, ha detto.
Per tutta risposta Manchin ha detto che i negoziati “cominceranno semplicemente da zero”. Giovedì la speaker Nancy Pelosi ha suggerito ai compagni di partito di abbandonare il nome “Build Back Better” per aiutare i colloqui a ricominciare da capo.

Alcuni senatori democratici affermano di credere di poter convincere Manchin e la senatrice Kyrsten Sinema a sostenere un disegno di legge incentrato su disposizioni relative al clima, come il credito d’imposta sulla produzione dell’energia pulita, una proposta di compromesso per ridurre il costo dei farmaci da prescrizione e finanziamenti per l’assistenza all’infanzia e la scuola materna universale. Il presidente della commissione per l’ambiente e i lavori pubblici del Senato, Tom Carper, ha affermato che una proposta negoziata con Manchin per ridurre le emissioni di metano potrebbe ancora essere inclusa in un disegno di legge che passi sotto il processo di riconciliazione del bilancio.
Uno dei maggiori punti critici è il destino del credito d’imposta sui bambini, che i dem hanno approvato come parte dell’American Rescue Plan da 1.900 miliardi di dollari di dollari, scaduto il mese scorso. I colloqui tra Manchin e la Casa Bianca sono bloccati a dicembre dopo che Manchin si è opposto a una proroga di un anno del credito d’imposta, insistendo sul fatto che venisse inclusa invece una proroga di 10 anni in modo che gli elettori sapessero quanto la proposta avrebbe davvero aggiunto al debito federale. I democratici coinvolti nei negoziati ora affermano di pensare che Manchin potrebbe essere persuaso ad accettare una proroga di tre o quattro anni che consentirebbe di includere il credito d’imposta per i bambini senza escludere altre priorità di spesa.