A parte l’età, Mario Draghi e Joe Biden non sembrerebbero avere molto in comune. Il primo, nato a Roma da genitori della medio-alta borghesia, si è fatto un nome come autorevolissimo economista ed ex banchiere centrale. Il secondo, prodotto della classe media cresciuto tra Pennsylvania e Delaware, ha praticato per pochi anni la professione forense prima di dedicarsi anima e corpo alla politica all’alba dei 30 anni. Eppure, per entrambi il 2021 è stato l’anno della “discesa in campo”: pianificata per Biden, dopo aver sconfitto Trump alle elezioni (ma non secondo Trump); inaspettata per Draghi, che nel giro di qualche settimana si è ritrovato catapultato dal mondo dell’economia alla giungla della politica.
Quando il 3 febbraio scorso, al Quirinale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella conferiva a Draghi l’incarico di formare un esecutivo dopo le dimissioni di Giuseppe Conte, 7.200 km più ad ovest Biden iniziava a ri-prendere confidenza con lo Studio Ovale già solcato negli otto anni da vice-presidente di Obama. Nel giro delle due settimane tra il 20 gennaio e il 3 febbraio 2021, Palazzo Chigi e Casa Bianca cambiavano così inquilini.

Per entrambi, il primo e più urgente dossier sulla scrivania è stata la gestione del Covid-19. L’avvio della campagna vaccinale, allora in fase embrionale, faceva confidare in un rapido ritorno alla normalità pre-pandemica. Sia per Roma che per Washington la priorità è stata quindi assicurarsi quante più forniture di sieri e accelerarne la somministrazione. E un’accelerazione invero c’è stata: negli Stati Uniti, Biden ha potuto contare sulla potenza di fuoco a stelle e strisce – e sulla presenza in patria di tre dei principali produttori di vaccini, Pfizer, Moderna e J&J – per assicurare la disponibilità di dosi per ogni cittadino.
In Italia, la strategia di Draghi è stata quella di stravolgere la struttura messa in piedi dal precedente Governo M5S-PD: a capo della Protezione Civile via Borrelli dentro Curcio; Comitato tecnico-scientifico ridimensionato organicamente e dimensionalmente, e soprattutto via Arcuri dentro il generale Figliuolo come nuovo commissario straordinario. I risultati sembrano avergli dato ragione: nell’ultima settimana di Governo Conte-bis la media di somministrazioni giornaliere era un magro 10.730 (imputabili anche ai ritardi nelle forniture e alle poche fasce d’età coinvolte), mentre nella seconda settimana di Figliuolo la media è decuplicata a 137.420 (anche qui, per meriti non esclusivamente ascrivibili al generale).
Nonostante sia Draghi che Biden abbiano dovuto fare però i conti con una rumorosa schiera di no vax, che in America hanno potuto contare anche sull’appoggio di qualche governatore, la campagna vaccinale dei due leaders ha avuto un discreto successo: tra i Paesi europei, l’Italia è attualmente seconda, dopo la Spagna, per percentuale di popolazione vaccinata con almeno una dose (80%), mentre gli Stati Uniti rimangono fermi al 73% ma sono secondi nelle Americhe per somministrazione in percentuale di dosi booster (dopo il Cile).

Il contrasto alla pandemia è stata però solo una delle questioni al centro dell’agenda di Biden e Draghi. Entrambi hanno infatti dovuto approntare ingenti investimenti in grado di far ripartire le rispettive economie. Per Draghi, si è trattato di predisporre un piano serio e strutturato per sfruttare i 204,5 miliardi di euro in prestiti e sovvenzioni europei ottenuti dall’esecutivo Conte con i piani Next Generation EU e REACT-EU. Per Biden, invece, di tenere fede alle promesse elettorali di “Build Back Better“.
Ancora una volta, nel 2021 Draghi sembra aver fatto meglio di Biden: il PNRR italiano ha soddisfatto gli obiettivi richiesti da Bruxelles per il 2021. Tra 2-3 mesi, quindi, a Roma arriverà una tanto agognata prima tranche di 24,1 miliardi di euro. Il bilancio è più in chiaroscuro per la Casa Bianca, che da un lato è riuscita a far passare una legge bipartisan sulle infrastrutture dalla “modica” cifra di 1.200 miliardi di dollari, ma dall’altro ha dovuto finora rassegnarsi all’opposizione dei repubblicani e al fuoco amico del dem Joe Manchin sul suo cavallo di battaglia: il Build Back Better – una miscellanea di previsioni su lotta al cambiamento climatico, contrasto alla disoccupazione, politiche abitative più eque, sanità accessibile e meno tasse per la classe media. A nulla sono servite le miriadi di sunset clauses per convincere gli indecisi, al momento il mastodontico pacchetto di spesa sociale – quasi $2.000 miliardi, ma potrebbe essere quasi il doppio – è ancora fermo ai nastri di partenza.
Infine, sul piano internazionale, il 2021 ha visto il rinsaldamento dell’asse tra Italia e Stati Uniti – e tra Draghi e Biden – dopo anni tumultuosi dovuti alla dirompente politica estera trumpiana e dall’occhiolino strizzato da Conte alla Cina. La necessità di tenere testa a Pechino ha convinto Palazzo Chigi, su suggerimento dell’intelligence, a fare largo uso del golden power per impedire l’ingresso in settori strategici ai giganti del Dragone. Dal canto suo, Biden ha tenuto fede alla sua promessa di ricucire gli storici rapporti con gli alleati europei, almeno sul piano comunicativo. Ciononostante, nella sostanza non è mancato qualche scivolone geopolitico: dalla caotica ritirata statunitense dall’Afghanistan senza consultare gli alleati NATO al grand affront alla Francia con la cancellazione delle commesse di sottomarini di Parigi con l’Australia.

A conti fatti, quello che si appresta a concludersi è stato un anno molto più prospero per Draghi che per Biden. A testimoniarlo sono gli indici di gradimento: quello di Draghi si aggira intorno al 65%, mentre Biden sembra già essere un’anatra zoppa con il suo misero 43,4% alla vigilia delle elezioni di mid-term.
Va peraltro tenuto in considerazione come, tra le tante analogie, tra i due ci sia una fondamentale differenza. Draghi è un tecnico acclamato tanto dalla sinistra quanto dalla destra, a capo di un Governo piglia-tutto da cui sono rimasti fuori solo gli estremi opposti di Fratelli d’Italia e Liberi e Uguali. Biden è invece un politico, inviso alla grande maggioranza dei repubblicani (e, di conseguenza, a una grossa fetta del Paese) e tollerato per mera convenienza da qualche fronda interna al Partito Democratico. In sostanza, se Draghi può contare su un Parlamento a lui deferente per fama ed esperienza, al Congresso non si può dire che Biden abbia una maggioranza (specialmente al Senato).
Tutto ciò ha un peso sul futuro di Joe e Mario: Biden ha annunciato di volersi ricandidare alle elezioni del 2024 (ma potrebbe essere solo una mossa per evitare di diventare una lame duck), mentre le chances di vedere Draghi al Quirinale sembrano essere aumentate dopo l’affermazione sibillina dell’ex capo della BCE sul prossimo esecutivo romano (“L’opera del Governo può continuare al di là di chi lo guida“).
Se il 2021 è stato l’anno dell’avvento di Draghi e Biden, sarà perciò il 2022, con le elezioni per il Quirinale e la cruciale partita parlamentare di mid-term, a segnarne inequivocabilmente il destino politico.