La ripresa delle attività industriali e produttive dopo la fine del lockdown per l’emergenza pandemica ha generato un aumento di consumi e fabbisogno energetico, e materie prime quali il gas naturale hanno raggiunto prezzi record. A guardar bene, i costi del gas sono stati in costante aumento sin dalla primavera, ma incrementi significativi si sono registrati in tutta Europa solo a metà agosto. Questo perché a luglio 2021, le esportazioni di gas verso il Vecchio Continente si sono drammaticamente ridotte, a seguito del taglio da parte della russa Gazprom di circa i due terzi delle forniture che giungono all’Unione Europea attraverso il gasdotto Yamal-Europe (che passa per Russia, Bielorussia, Polonia e Germania) e NordStream1 (che dalla Russia attraversa il Mar Baltico e arriva direttamente in Germania). Il problema ha avuto un impatto sia sui consumatori che sulle imprese. In Italia, ad esempio, stando ai dati dell’Agenzia di Regolazione per l’Energia (ARERA), le bollette sono aumentate del 14,4% per il gas e del 29,8% per la luce.
Eppure, per ovviare alle richieste europee, il gigante russo si è ben guardato dall’aumentare le consegne verso l’Ucraina. Piuttosto ha riservato per novembre una capacità di transito aggiuntiva dall’operatore polacco Gas System per il gasdotto Yamal-Europe – tagliando fuori l’Ucraina, così privata di una fonte di reddito importante, proveniente proprio dalle tasse applicate al passaggio del gas russo. Dati i contrasti decennali tra Mosca e Kiev, storico obiettivo per la Russia è infatti aggirare il territorio ucraino, anche al fine di marginalizzarne la rilevanza agli occhi dell’UE. Non solo. Gazprom si è giustificata sottolineando la necessità preminente di riempire le riserve degli impianti di stoccaggio domestici prima di poter rifornire il resto dell’Europa – a riconferma, se mai ve ne fosse bisogno, di quanto il gas e la rete di gasdotti di proprietà Gazprom sia preziosa per la stessa unità dello Stato russo.

Questa serie di problemi a cascata ha provocato il risveglio tardivo della Commissione Europea che, attraverso l’Antitrust, ha iniziato un’ulteriore indagine contro il colosso russo, per aver messo in atto pratiche “anti-concorrenziali abusando della sua posizione dominante”. Gazprom conosce già bene il Dipartimento per la concorrenza della Commissione UE. Solo nel 2018 si concluse con un nulla di fatto un’inchiesta simile durata 7 anni, a danno dell’ex blocco sovietico – Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia e Bulgaria, tutti paesi che per eredità storica non dispongono ad oggi di infrastrutture alternative che li rendano indipendenti dal gas russo. Non è quindi un caso che anche stavolta l’avvio della procedura sia stato promosso soprattutto da Polonia e Paesi baltici, i quali, delusi da come finì l’inchiesta precedente, confidavano ora in sanzioni economiche importanti a danno del monopolista del gas naturale, tali da rimetterne in discussione le mire sul mercato tedesco ed europeo. Così non è stato. A fine ottobre, il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato a Gazprom – o meglio al suo amico personale, l’oligarca Aleksej Miller, CEO del gruppo aziendale – di riempire gli impianti di stoccaggio europei per aiutare ad alleviare la crisi energetica del continente. Martedì 9 novembre, la promessa è stata mantenuta e i prezzi del gas in Europa sono tornati a scendere.
Da un’osservazione degli attori coinvolti, è evidente che deve esserci qualcosa sotto. Non foss’altro che per le intrinsechezze della galassia del potere putiniano: l’attuale boss di Gazprom Miller, all’inizio degli anni ’90, lavorava sotto la supervisione di Putin nel Comitato per le relazioni esterne di San Pietroburgo. Al centro della questione c’è quindi il colosso russo nonché principale fornitore di energia all’Unione Europea (40% del totale). Non solo. Gazprom è descritto da molti studiosi come uno “Stato nello Stato”, una vera arma geopolitica con cui il Cremlino tenta di espandere la sua influenza in Europa, rendendosi indispensabile per la sicurezza energetica del continente.

La crisi del gas è quindi solo la punta di un iceberg che passa per il sottosuolo russo, precisamente nei pressi di Vyborg, a Nord di San Pietroburgo, si inabissa a largo delle coste finlandesi, lambisce quelle di Estonia, Lettonia, Svezia, Lituania e Polonia, e infine riaffiora in superficie vicino alla cittadina di Greifswald, in Germania, connettendosi al resto dell’Unione Europea, ma aggirando (non a caso) Polonia e Ucraina. È il NordStream2. La recente riduzione delle esportazioni da parte di Gazprom trova la sua ratio nella volontà della compagnia – quale agente della politica estera russa – di evidenziare il valore irrinunciabile del nuovo gasdotto. Un’iniziativa che gode della benedizione di Putin, il quale ha recentemente palesato che “naturalmente, se potessimo espandere le forniture lungo questa via [NordStream2], allora, al 100%, posso dire con assoluta certezza che la tensione sul mercato europeo dell’energia diminuirebbe significativamente, e questo influenzerebbe i prezzi.”
In questi mesi di scarsità energetica, insomma, la Russia ha colto un’opportunità per fare pressing sulla Germania e la burocrazia europea, al fine di mettere in servizio il nuovo impianto (completato il 10 settembre 2021), il prima possibile. Manca infatti ancora l’approvazione finale da parte di Berlino e Bruxelles, che negli scorsi anni sono state intimorite dalle sanzioni economiche imposte da Trump, furioso per la prospettiva di una Germania sempre più dipendente dal gas naturale russo. Dopo qualche tira e molla, Biden si è invece deciso a toglierle a metà del 2021, ma quel che è sembrato uno sbalzo d’umore quasi schizofrenico della presidenza democratica non deve confondere. Il mal di pancia americano verso un’ulteriore intimità russo-tedesca prima, russo-europea dopo, è rimasto costante sin da Obama. Ma se oggi Washington ha dato il via libera al gasdotto, accettando che l’incubo del legame fra Berlino e Mosca diventi protorealtà, è probabilmente perché gli USA hanno acconsentito al compromesso in nome di un interesse strategico più alto: il coinvolgimento dell’Europa occidentale nell’Indopacifico per il contenimento della Cina. Con buona pace di Polonia e Ucraina, bypassate energeticamente, ma tuttora fondamentali per gli USA ai fini di un altro contenimento, quello russo in Europa.
Discussion about this post