Se per caso fosse in dubbio il carattere antifascista della struttura repubblicana dello Stato italiano, allora dovremmo altrettanto mettere in dubbio il principio di effettività delle maggioranze. Basti leggere, però, la Costituzione italiana per comprendere che si tratta di un Paese democratico.
Non ci sarebbe più alcunché da aggiungere: la democrazia ingloba già tutta l’essenza del come le aggregazioni partitiche, i movimenti, ecc. debbano approcciarsi alle interazioni politiche e del perché i cittadini abbiano un dovere di presidiare la politica stessa (interessandosene costantemente). Per tenere salda l’imprescindibilità della fisionomia democratica, i costituenti ebbero il sentimento giudizioso di calcificare lo scheletro sociale del Paese con un altro grandissimo principio: quello di solidarietà.
È l’articolo 2 della Costituzione che, nel riconoscere i diritti inviolabili della persona umana (sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità) fissa, a completamento dell’esaltazione democratica, una richiesta comunitaria verso gli italiani: l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Solidarietà politica che, organicamente in spirito e sostanza, è l’anticamera delle altre due citate.

L’Italia, ricordiamolo, usciva dal fascismo, mezza Europa moderna invece dal nazismo e dal comunismo: tutte queste declinazioni del potere, in altri termini, sono definibili con l’etichetta di totalitarismo. E cos’è, nella pratica politica, il totalitarismo? La filosofa tedesca Hanna Arendt lo definisce come forma di governo antidemocratica (si badi bene che forme di governo non equivale a forme di Stato e cioè, classicamente, repubblica o monarchia).
Tracciato il perimetro del totalitarismo, nella sintesi più semplice possibile, rimane sullo sfondo l’attualità italiana delle ultime settimane in cui si è innescato un dibattito divisivo, ma necessario da affrontare per la politica (attesi i fatti accaduti). Esiste un presunto ruolo “sponda”, consapevole o meno, di alcuni partiti rispetto a soggetti neo fascisti che, il 9 ottobre 2021 scorso, hanno proclamato e dato assalto della sede CGiL di Roma?
Su questo fronte due cose imprescindibili occorrono valutarsi:
- leggere sempre gli statuti delle forze partitiche quando si vuole additare di ambiguità politica (tra il democratico e il totalitarista);
- contestualizzare le dinamiche degli atti di violenza (perché lo richiede il senso di prudenza ed anche di serietà).
Un atto di violenza, come quello accaduto ai danni della sede sindacale romana, ha certamente di base l’agire delinquenziale. Il punto di analisi sta anche nel dover stabilire se si tratti di un fenomeno di matrice fascista o di riflesso fascista (che sul piano della condanna morale in sé non cambia poiché, universalmente, da considerarsi deplorevole).
Nel primo caso gli aizzanti della manifestazione del 9 ottobre potrebbero fare i conti giuridicamente con l’art. 294 c.p. che prevede, espressamente, l’ipotesi dell’attentato contro i diritti politici del cittadino nella misura in cui “Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da uno a cinque anni” (si ipotizzi il manifestante no green pass e/o no vax dissociatosi dall’azione di assalto sindacale o, di contro, aggregatosi all’assalto stesso tuttavia non essendo intimamente fascista). Nel secondo caso, cioè del riflesso fascista, il problema non è capire se gli aizzanti fossero fascisti in quanto tali (poiché a monte risaputo e che non è detto che tutta la piazza lo sapesse) ma come quest’ultimi abbiano determinato nell’agire collettivo, di chi ha assaltato la sede CGiL, il c.d. animus laedendi (intenzione di ferire).

Sembrerebbe una differenza poco utile quest’ultima, ma sul piano politico-costituzionale è necessaria averla a mente per aiutarci tutti a decifrare l’accaduto e a pulire il gioco democratico da attori ammaliati (o ammalati a seconda dei punti di vista) dall’antidemocraticismo (mi si faccia passare il termine). E ci sono almeno due motivi di base: il primo di radice costituzionale, perché è la Carta repubblicana che ci ricorda come i diritti inviolabili della persona richiedano l’adempimento inderogabile del dovere di solidarietà politica tra le forze partitiche e tra i cittadini; il secondo di radice logico-parlamentare atteso l’art. 49 Cost. che sancisce il principio di partecipazione, con metodo democratico, per come volto a “determinare la politica nazionale”.
Quanto appena detto ci torna utile per una ragione, semplice e palese, che impone alcune domande irrinunciabili per portare la riflessione non tanto sul fatto accaduto, sul come giuridicamente sia inquadrabile od umanamente definibile, ma sul come la politica stessa possa essere nuova nello spirito comune.
È disponibile il Parlamento tutto, nelle sue varie formazioni partitiche, a solidarizzare con le forze politiche che sarebbero oggetto di subdole infiltrazioni fasciste? Al pari, quest’ultime forze politiche sono disponibili a chiedere aiuto alle forze avversarie? È disponibile il Parlamento tutto a fare i conti con la propria storia, attualizzandola, stabilendo finalmente un momento solenne di riconciliazione tra una destra e una sinistra (democratici, liberali, riformisti, conservatori, ecc.) slegati e lontani dalle nefandezze criminali del comunismo, del fascismo, del nazismo?

È disponibile il Parlamento a non delegare la Magistratura di tutto il peso derivante dai fatti in analisi? È disponibile il Parlamento ad isolare coloro che necessitano di additare l’avversario, in barba al principio di leale collaborazione politica tra gli attori delle vicende legislative del Paese, di fascismo o comunismo new age(salvo, ovviamente, chi presenta simboli, liste, ecc. in tal direzioni su cui, a tal punto, occorre legiferare a tutto tondo)? Ed in ultimo, è disponibile la politica di vertice istituzionale ad auto-educarsi, per rispetto della evoluzione generazionale del Paese stesso, a non più utilizzare e sfruttare pugni chiusi, mani tese e quant’altro riecheggiante degenerazioni assegnate alla storia?
È una questione di delicatezza socio-culturale che non può più rimandarsi per un Paese che, avendo sconfitto moralmente e giustamente il totalitarismo pre-repubblicano, non deve rischiare di scivolare in un’altra forma latente di totalitarismo: la paura della decisione democratica verso le proprie singole storie di derivazione politica (alcuni partiti, in verità, l’hanno fatto autonomamente e bisogna darne atto).
Vogliamo essere davvero un Paese politicamente degno di rapportarsi al futuro?
È il tempo del coraggio, non del neo antidemocraticismo.
I cittadini, la stragrande maggioranza di essi, sono ben oltre i simboli del passato. Facciamone un valore nuovo. Una sorta di “Valore Nostrum”. Un’Italia riconciliata (ancora una volta).
Per rispetto, soprattutto, di chi ci ha lasciato per la libertà anche di poter far manifestare il proprio pensiero all’ultimo esaltato.