Un colpo di Stato silenzioso sta accadendo in Tunisia. Kais Saied, in carica come presidente dal 23 ottobre 2019, ha adottato misure eccezionali per rafforzare il proprio potere a scapito di governo e parlamento, che di fatto sostituirà legiferando per decreto.
Il suo è un processo lento, ma calcolato. Un paio di mesi fa, il 15 luglio, ha licenziato il primo ministro Hichem Mechichi, i ministri della Difesa e della Giustizia e sospeso i lavori del Parlamento, invocando l’art. 80 della Costituzione tunisina che rende possibile il congelamento dell’organo legislativo in caso di pericolo imminente. Ora, pubblicando sulla gazzetta ufficiale le nuove disposizione e modificando la costituzione nelle sue parti fondamentali, Saied punta a trasformare la politica tunisina in un sistema che ricorda da vicino la monarchia assoluta.
“Voglio creare una democrazia in cui il popolo sia veramente sovrano”, ha dichiarato senza esitazioni prima di accentrare su se stesso i poteri e togliere persino lo stipendio ai parlamentari, minando le conquiste democratiche della rivoluzione tunisina del 2011 che ha posto fine al dominio autocratico e innescato la primavera araba.

Ai partiti, privati di qualsiasi tipo di peso, non rimane che protestare. Nel parlamento tunisino, il gruppo maggiormente rappresentato è quella di Ennahda, un movimento con orientamento islamista che oggi occupa poco meno di un quarto dei seggi disponibili (52 su 217). Rached Ghannouchi, che di Ennahda è il leader, ha detto a gran voce che la nuova presa di potere di Saied equivale alla “cancellazione della costituzione e fa seguito al golpe già messo in atto a luglio. Noi non lo accetteremo”. Della stessa opinione anche Heart of Tunisia, il secondo partito tunisino, che ha chiesto esplicitamente a tutto il popolo “un allineamento nazionale contro il colpo di stato”.
Il piano di Saied è quello di sospendere l’attuale costituzione per offrirne una nuova versione attraverso un referendum popolare. “Non ho alcuna aspirazione dittatoriale”, ha fatto sapere alla stampa. Eppure, leggendo gli articoli del nuovo testo pensato per governare uno paese delicato come la Tunisia, le cose sembrano stare diversamente.
“I testi legislativi saranno promulgati sotto forma di decreti firmati dal Presidente della Repubblica”, recita uno degli articoli. “Il presidente esercita il potere esecutivo con l’aiuto di un consiglio dei ministri presieduto da un capo di governo”, si legge in un altro. “Il presidente della Repubblica presiede il Consiglio dei ministri e può dare mandato al capo del governo di sostituirlo”, sostiene un altro ancora.

Un presidenzialismo totale camuffato dalla presenza di un governo che rimane però alle dirette dipendenze del potere centrale. Inizialmente, l’intervento riformistico di Saied era stato apprezzato dai cittadini che l’avevano voluto alla guida della nazione. Esausti dopo anni di stagnazione economica e paralisi politica, la spinta rivoluzionaria di un presidente forte sembrava poter essere la ricetta giusta per uscire dalla crisi.
Tuttavia, con il passare delle settimane, la preoccupazione ha iniziato a dilagare nelle case dei tunisini. La poca coerenza tra le parole e i fatti del loro presidente e l’assenza di un primo ministro in carica ha insospettito una popolazione già tesa per via della difficile situazione sanitaria e sociale. Diversi imprenditori e parlamentari sono stati arrestati e all’insicurezza è subentrata la paura.
“Le costituzioni non sono eterne”, ha dichiarato Saied il 12 settembre. Forse, per lui, di eterno c’è solo il potere del Presidente.