Il Ddl Zan contro l’omotransfobia, da qualche mese, è un argomento sempreverde. Non importa quando se ne parli, qualsiasi giorno è buono per agganciarsi all’attualità.
Nelle ultime ore, il caso è tornato alla ribalta grazie a un botta e risposta via social tra Matteo Renzi e Chiara Ferragni. In mezzo c’è ovviamente finito anche Fedez, il marito della Ferragni, che oggi, in una campagna a favore del disegno di legge in corso da tempo, ha invitato proprio Alessandro Zan sulla sua pagina Instagram per parlare delle ultime novità.
L’influencer da oltre 24 milioni di followers ha alzato la polemica pubblicando una storia dal titolo “L’Italia è il Paese più transfobico d’Europa e Italia Viva si permette di giocarci su” con tanto di commento “che schifo i politici”.
Renzi, risentito, ha risposto chiedendo alla milanese un confronto pubblico “dove vuole e come vuole. Se ha questo coraggio, naturalmente”. Una frase sibillina che arriva al termine di un testo in cui l’ex Premier, sfidando a duello un’imprenditrice del mondo della moda, parla del funzionamento del voto segreto al Senato e degli “emendamenti Scalfarotto”.

Chiara Ferragni non ha risposto, ma ci ha pensato il marito Federico alle comunicazioni ufficiali. Niente giri di parole o perifrasi: “Matteo (…) c’è tempo per spiegare quanto sei bravo a fare la pipì sulla testa degli italiani dicendogli che è pioggia”. Pochi contenuti e molto umorismo spicciolo. Un cocktail di elementi che si traducono nell’unico risultato possibile: il successo social.
“Sapete chi fa davvero schifo in politica? – ha scritto Renzi su Facebook – fa schifo chi non studia, chi non approfondisce, chi non ascolta le ragioni degli altri, chi pensa di avere sempre ragione”. Una descrizione che in molti hanno associato a Fedez dopo l’ultima diretta Instagram condotta insieme a Zan, Marco Cappato e Giuseppe Civati.

Durante il discorso, il rapper commette alcuni errori di contenuto che non passano inosservati, soprattutto dopo la lunga campagna da lui stesso condotta contro la disinformazione.
Dice che Renzi odia i gay, ma dimentica la legge sulle unioni civili voluta dal leader di Italia Viva, allora segretario del PD, nel 2016. Sostiene che Renzi al Senato voglia far votare i suoi con il voto segreto per affossare la legge, ma dimentica che il regolamento del Senato, all’articolo 113 comma 4, prevede sempre il voto segreto per le “deliberazioni che attengono ai rapporti civili ed etico-sociali” e che quindi questa tutto sia tranne che un’iniziativa renziana.
“È perché si vergognano a votare in modo diverso dalle indicazioni dei partiti”, torna a dire Fedez. “No, si fa sempre così. È la prassi del Senato”, è costretto a ricordargli Cappato.
Insomma, una serie di imprecisioni dovute alla non conoscenza di meccanismi base della politica che, agli occhi di chi non osserva in quanto fan, rischiano di far perdere credibilità a un dibattito serio e interessante.
Sulla legge Zan, ora la discussione gravita attorno ad alcuni emendamenti voluti da Renzi ma soprattutto dalla Lega, osteggiati invece da Partito Democratico e Movimento 5 Stelle.

Renzi, che ha contribuito alla scrittura del Ddl, chiede che vengano effettuate alcune modifiche perché teme i “franchi tiratori”, cioè quei parlamentari che, forti del voto segreto, finiscono per esprimersi in contrasto con le indicazioni del proprio partito.
Gli emendamenti sono proposti per accontentare il maggior numero di onorevoli possibili e assicurarsi, almeno virtualmente, una maggioranza talmente estesa da limitare il potere dei “franchi”. Con numeri risicati, il rischio che il testo non passi è troppo elevato. Le modifiche sono quindi un modo per dare più probabilità al disegno di trasformarsi in legge, non per affossarlo.
Politica e social sono due mondi diversi. Possono incontrarsi, parlarsi e aiutarsi a vicenda, ma non possono mettersi sullo stesso piano quando si trattano argomenti di questo calibro. Farlo significa provocare confusione e incomprensione.
Fedez l’ha sottolineato più volte, anche durante il concertone del 1° maggio: il Ddl Zan è un disegno di iniziativa parlamentare. Commentarlo è un diritto e la libertà di parola è sempre garantita, ma senza avere le conoscenze adeguate si corre un grande rischio: banalizzare i concetti e comunicarli male o in modo incompleto. Esattamente com’è successo in questo caso.